23 giugno 1994: muore Elio "Kapplerino" Di Scala
Un ritratto di Elio Di Scala, ucciso il 23 giugno 1994 nel corso di una rapina in banca. Oggi alle 16.30, come ogni anno, i suoi camerati lo ricorderanno con una cerimonia al cimitero del Verano. Dalla prima edizione di Fascisteria
Se
Alibrandi ha coronato nella “bella morte” un vitalismo forsennato che lo ha
spinto a bruciare in meno di tre anni tante esperienze, dalla milizia politica
alla malavita dalla guerra in Libano alla lotta armata
clandestina, tanti suoi camerati sembrano invece dannati, da una sorta di coazione
a ripetere, a entrare e a uscire dal carcere, nella routine di un’attività
criminale che sembra davvero una mala vita, fino alla morte. Così è stato per
Elio Di Scala, detto Kapplerino per la giovanissima età, morto nel corso di una rapina in banca al Portuense, in un conflitto a
fuoco col guardione. Capelli biondi e occhi azzurri, figlio di un professore
liceale di destra, Kapplerino si fa notare nella zona di Roma sud–ovest per la
propensione alla violenza. E’ arrestato a 15 anni per la partecipazione agli
scontri dopo il massacro di Acca Larentia e poi nell'aprile 1981 nel blitz
contro il Fuan, dove era uno dei discepoli di Morsello. Condannato a 8 anni per
banda armata e rapine, è accusato di due episodi in cui sono uccise guardie
giurate: nel maggio ‘80, alla ComIt del quartiere Fleming, alla quale avrebbe
partecipato anche Alibrandi e per la quale è condannato, l'altra nel novembre
‘92, all’interno del Bambin Gesù, rapina per la quale era stato arrestato e
poi scarcerato Massimiliano Taddeini, componente del nucleo operativo di TP.
Nell’ottobre 1993, dopo essere riparato in Inghilterra, si costituisce, si
dichiara innocente, i giudici gli credono e ottiene la libertà. A vent’anni,
mentre era detenuto per il FUAN i medici gli avevano diagnosticato un tumore
benigno al cervello e i radicali si battono per la sua libertà. Il 14 maggio
1987 a Roma, completamente “fatto” di cocaina e whisky, si mette a sparare
contro passanti, auto in sosta e i carabinieri che alla fine riescono a immobilizzarlo
senza far fuoco, per la presenza di numerosi bambini che si trovano nel
giardinetto di via Marmorata, nei pressi del palazzo della posta dove
“Kapplerino” ha scaricato più volte la sua 357 magnum. E’ lo stesso scenario
dell’omicidio del maresciallo Radici. Il raptus è scatenato da un banale litigio
con la madre. Nella sparatoria rimane leggermente ferito un passante. Dopo la
cattura è ricoverato in ospedale in stato confusionale. A casa trovano
settanta grammi di coca, un giubbotto antiproiettile, munizioni e alcuni
binocoli. È arrestato per tentato omicidio, detenzione di armi e cocaina.
Quando arriva in carcere i “camerati” che lo incontrano – e che pure ne hanno
viste di tutti i colori – sono sconvolti dalle evidenti tracce di un pestaggio
e di sigarette spente sulla pelle. I carabinieri incuranti del suo stato di sofferenza
mentale avevano pensato bene di “dargli una lezione”. Lo riconoscono incapace
di intendere e di volere e finisce al manicomio criminale di Montelupo
Fiorentino. Il buon esito dell’inchiesta
sulla rapina al Bambin Gesù lo incoraggia a coltivare la passione giovanile.
Fino al pomeriggio del 23 giugno ‘94, un pomeriggio da dimenticare per le
forze dell’ordine a Roma. Tre rapine con conflitto a fuoco in un paio d’ore.
Vicino al cadavere di “Kapplerino”, un complice ferito: Fabio Gaudenzi, 21
anni. Era stato fermato poco tempo prima a una manifestazione di Movimento
Politico, l’organizzazione degli skinhead. Erano tutti e due imbottiti
di cocaina. Sul muro della banca, per giorni, tanti fiori e scritte: “Muore
un camerata, ne nascono altri cento. Onore a Kapplerino”. Maurizio
Boccacci, il leader degli skin, intervistato a caldo da un giornalista
che brutalmente gli dà la notizia della morte dichiara: “Era un caro amico,
che aveva avuto il coraggio di fare le sue scelte. Lo conoscevo dal tempo del
Fuan anche se non lo vedevo da molto. Lui e Gaudenzi comunque restano due
camerati”. E alla richiesta di notizie su Gaudenzi replica secco: “Non
voglio parlarne. Comunque non ci finanziamo con rapine”. Anche Boccacci le
sue scelte le ha sempre fatte, scelte anche violente, ma sempre politiche.
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