Fava: al congresso sfido Salvini perché la Lega non perda le sue radici.
(G.p) Il consiglio federale della Lega Nord per l'indipendenza della Padania riunitosi a Milano nella giornata di lunedì 10 aprile ha stabilito che le "primarie" della Lega si terranno il prossimo 14 maggio mentre il Congresso Federale si terrà il 21 maggio.
Il regolamento per il congresso federale è stato approvato con l'unico voto contrario del presidente e fondatore Umberto Bossi, che ha rapporti complicati con l'attuale leader Salvini, il cui mandato è scaduto il 16 dicembre.
A contrastare Salvini, in nome di un ritorno alla Lega delle origini, né di destra né di sinistra ma federalista ed indipendentista ci sarà Giovanni Fava, assessore all'Agricoltura della Regione Lombardia, leghista di lungo corso, che in una intervista rilasciata al quotidiano La Stampa spiega le ragioni di questa sua candidatura alternativa a quella del felpato Matteo Salvini.
Intervista che riportiamo fedelmente.
«L’idea federalista e indipendentista è più attuale oggi di vent’anni fa. Molti militanti hanno paura che la Lega smetta di essere la Lega, che perda le sue radici. Per questo ho deciso di candidarmi come segretario». Gianni Fava, 49 anni, assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia, è nel Carroccio dai primi anni Novanta, come Salvini. E ora ha deciso di sfidarlo.
Una sfida in salita, contro un leader molto popolare.
«Sono realista, e vedo la disparità delle forze in campo. Ma noi siamo nati come un movimento post-ideologico, né di destra né di sinistra, che difende gli interessi del Nord. Un progetto nazionalista e lepenista non mi appassiona, e così tanti militanti a cui voglio dare voce. Dopo la crisi economica, l’insofferenza verso Roma e il centralismo è ancora più forte. Non solo tra i nostri militanti ma nel popolo che rappresentiamo, gli artigiani, le partite Iva».
Salvini ha preso un partito in agonia e l’ha portato sopra il 10%. Difficile scalzarlo.
«Per ora si tratta di sondaggi. Non nego i risultati che ha raggiunto, ma ora è giusto misurarsi in un congresso, discutere su dove vogliamo portare la Lega. Voglio un congresso vero, con un solo candidato sarebbe stato di plastica e senza contenuti. La svolta lepenista è un dato di fatto, noi vogliamo fermarla. Il Front National è uno dei blocchi più centralisti e conservatori d’Europa, cosa c’entra con noi? Non siamo mai stati di estrema destra. I dirigenti del Fn hanno quasi tutti il doppio cognome, noi siamo il partito degli straccioni. Ricordo un vecchio artigiano che mi disse: ‘Sbrighiamoci a fare la Padania, che io voglio tornare a votare a sinistra’. Questa era la Lega e lo deve essere ancora».
Lei è stato tra i colonnelli di Maroni che lo aiutò a detronizzare Bossi. Ora potrebbe ritrovarsi sulla barricata proprio con il Senatur?
«Con Bossi non ho parlato, ma la sua mi sembra una battaglia personale contro Salvini, la mia no. Io non cerco strappi. Anzi, Matteo dovrebbe ringraziarmi perché con la mia battaglia cerco di tenere dentro molti militanti che sono pronti ad andarsene».
Non vogliono il listone unico con la Meloni?
«Il punto non è solo il listone, ma la perdita del nostro dna indipendentista. Io non rimprovero a Salvini di andare a cercare voti al sud, anche se non mi pare che ne stia trovando molti. Anch’io in passato sono andato a sud, ci siamo persino alleati con l’Mpa, ma sempre come Lega per l’indipendenza della Padania».
Maroni la sosterrà?
«Non ho parlato con lui e non mi aspetto niente. La mia non è la battaglia dei colonnelli, ma dei soldati semplici. I dirigenti spesso sono impegnati a garantire se stessi».
La sua può passare come una battaglia difensiva. Si dice che Salvini voglia far fuori la vecchia guardia maroniana. E anche i militanti con le ampolle non gli servono più.
«In oltre trent’anni l’unica vera forza della Lega sono stati i militanti, lo zoccolo duro. Non credo gli convenga disfarsi del nostro popolo».
Magari vuole rottamare voi dirigenti…
«Se la base non sente più nessuno in giro che parla dei temi del Nord se ne va. Per questo la mia scelta sta riscuotendo un riscontro sopra le aspettative. Anche a chi alla fine voterà Matteo fa piacere che ci sia un pazzo visionario che fa da contrappeso. E io sono corpulento…».
La Lega di Salvini strizza l’occhio sia a Trump che a Putin.
«Non vado matto per nessuno dei due. Ma di certo scelgo gli Usa, che restano un avamposto liberale. Matteo ha deciso di dare una politica estera alla Lega, ma i risultati non mi paiono entusiasmanti. In Siria stiamo con Trump o Putin? Io sono frastornato. Sarebbe meglio tornare a occuparci delle nostre aziende in crisi».
E’ un candidato nostalgico dei vecchi riti?
«Ma per carità. Quello è folklore del passato che non seve più. Abbiamo molti argomenti per essere credibili agli occhi del ceto medio, senza bisogno di ampolle o pochette verdi sulla giacca».
Maroni sostiene che Zaia sarebbe meglio di Salvini come candidato premier. Concorda?
«Matteo ha carisma, ma non so se sarebbe vincente. Se provochi, la gente spesso ti dà ragione. Ma poi non è detto che ti voti…».
Il regolamento per il congresso federale è stato approvato con l'unico voto contrario del presidente e fondatore Umberto Bossi, che ha rapporti complicati con l'attuale leader Salvini, il cui mandato è scaduto il 16 dicembre.
A contrastare Salvini, in nome di un ritorno alla Lega delle origini, né di destra né di sinistra ma federalista ed indipendentista ci sarà Giovanni Fava, assessore all'Agricoltura della Regione Lombardia, leghista di lungo corso, che in una intervista rilasciata al quotidiano La Stampa spiega le ragioni di questa sua candidatura alternativa a quella del felpato Matteo Salvini.
Intervista che riportiamo fedelmente.
«L’idea federalista e indipendentista è più attuale oggi di vent’anni fa. Molti militanti hanno paura che la Lega smetta di essere la Lega, che perda le sue radici. Per questo ho deciso di candidarmi come segretario». Gianni Fava, 49 anni, assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia, è nel Carroccio dai primi anni Novanta, come Salvini. E ora ha deciso di sfidarlo.
Una sfida in salita, contro un leader molto popolare.
«Sono realista, e vedo la disparità delle forze in campo. Ma noi siamo nati come un movimento post-ideologico, né di destra né di sinistra, che difende gli interessi del Nord. Un progetto nazionalista e lepenista non mi appassiona, e così tanti militanti a cui voglio dare voce. Dopo la crisi economica, l’insofferenza verso Roma e il centralismo è ancora più forte. Non solo tra i nostri militanti ma nel popolo che rappresentiamo, gli artigiani, le partite Iva».
Salvini ha preso un partito in agonia e l’ha portato sopra il 10%. Difficile scalzarlo.
«Per ora si tratta di sondaggi. Non nego i risultati che ha raggiunto, ma ora è giusto misurarsi in un congresso, discutere su dove vogliamo portare la Lega. Voglio un congresso vero, con un solo candidato sarebbe stato di plastica e senza contenuti. La svolta lepenista è un dato di fatto, noi vogliamo fermarla. Il Front National è uno dei blocchi più centralisti e conservatori d’Europa, cosa c’entra con noi? Non siamo mai stati di estrema destra. I dirigenti del Fn hanno quasi tutti il doppio cognome, noi siamo il partito degli straccioni. Ricordo un vecchio artigiano che mi disse: ‘Sbrighiamoci a fare la Padania, che io voglio tornare a votare a sinistra’. Questa era la Lega e lo deve essere ancora».
Lei è stato tra i colonnelli di Maroni che lo aiutò a detronizzare Bossi. Ora potrebbe ritrovarsi sulla barricata proprio con il Senatur?
«Con Bossi non ho parlato, ma la sua mi sembra una battaglia personale contro Salvini, la mia no. Io non cerco strappi. Anzi, Matteo dovrebbe ringraziarmi perché con la mia battaglia cerco di tenere dentro molti militanti che sono pronti ad andarsene».
Non vogliono il listone unico con la Meloni?
«Il punto non è solo il listone, ma la perdita del nostro dna indipendentista. Io non rimprovero a Salvini di andare a cercare voti al sud, anche se non mi pare che ne stia trovando molti. Anch’io in passato sono andato a sud, ci siamo persino alleati con l’Mpa, ma sempre come Lega per l’indipendenza della Padania».
Maroni la sosterrà?
«Non ho parlato con lui e non mi aspetto niente. La mia non è la battaglia dei colonnelli, ma dei soldati semplici. I dirigenti spesso sono impegnati a garantire se stessi».
La sua può passare come una battaglia difensiva. Si dice che Salvini voglia far fuori la vecchia guardia maroniana. E anche i militanti con le ampolle non gli servono più.
«In oltre trent’anni l’unica vera forza della Lega sono stati i militanti, lo zoccolo duro. Non credo gli convenga disfarsi del nostro popolo».
Magari vuole rottamare voi dirigenti…
«Se la base non sente più nessuno in giro che parla dei temi del Nord se ne va. Per questo la mia scelta sta riscuotendo un riscontro sopra le aspettative. Anche a chi alla fine voterà Matteo fa piacere che ci sia un pazzo visionario che fa da contrappeso. E io sono corpulento…».
La Lega di Salvini strizza l’occhio sia a Trump che a Putin.
«Non vado matto per nessuno dei due. Ma di certo scelgo gli Usa, che restano un avamposto liberale. Matteo ha deciso di dare una politica estera alla Lega, ma i risultati non mi paiono entusiasmanti. In Siria stiamo con Trump o Putin? Io sono frastornato. Sarebbe meglio tornare a occuparci delle nostre aziende in crisi».
E’ un candidato nostalgico dei vecchi riti?
«Ma per carità. Quello è folklore del passato che non seve più. Abbiamo molti argomenti per essere credibili agli occhi del ceto medio, senza bisogno di ampolle o pochette verdi sulla giacca».
Maroni sostiene che Zaia sarebbe meglio di Salvini come candidato premier. Concorda?
«Matteo ha carisma, ma non so se sarebbe vincente. Se provochi, la gente spesso ti dà ragione. Ma poi non è detto che ti voti…».
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