"LA RISSA DI IERI? Sono i soliti "poveri" che vengono qui a picchiarci perché rosicano che siamo ricchi". L'adolescente seduto al centro di piazza Cavour insieme a due amici è un assiduo frequentatore della piazza. La centralissima piazza Cavour. Non sembra particolarmente colpito per l'accoltellamento di un suo coetaneo che è finito con 30 giorni di prognosi in ospedale "con ferite lacero- contuse da taglio su tutto il corpo". Quel che è accaduto venerdì notte, quando un gruppo di ragazzini ha circondato un altro per poi sfidarsi a colpi di bottiglia e di coltelli fino a sanguinare, sembra essere routine per lui. Stessa cosa per un gruppo di ragazzini - una sola femmina e gli altri 7 maschi, età media 16 anni - che seduto su un muretto davanti al bar di via Triboniano. "Quelli che ieri sera hanno picchiato altri due, sono tornati qui poco fa (sono le 16 del pomeriggio, ndr), mi sa che cercano guai...", dice il leader del gruppetto. "Sono sempre i soliti che ce l'hanno con quelli del Fronte della gioventù", interviene l'unica ragazza del gruppo, ma viene subito fermata da un coetaneo. "Macché, noi non siamo del Fronte della gioventù, la politica non c'entra niente, è solo un gioco", minimizza.
La storia della
rissa di piazza Cavour l'aveva raccontata il giorno dopo, sulle pagine di la Repubblica, Federica Angeli, ricostruendo anche il movente. Non un delitto politico, anche se i protagonisti del ferimento sono militanti neofascisti di Prati, ma sicuramente un delitto di classe, variante liquida e un po' demenziale (menarsi davanti alla Cassazione dove c'è un doppio presidio, di militari e carabinieri, e telecamere a palla è temerario al limite dell'autolesionismo) dell'antico e perenne scontro tra "ricchi e poveri":
Sono i giovani di Roma nord ("qui veniamo tutti da Prati, Ponte Milvio e Parioli", spiega un adolescente mentre lancia di continuo in aria per poi riprenderle le chiavi della macchinetta elettronica) che, a loro dire, vengono assaliti da chi non può permettersi telefonini e scooter di ultima generazione o di girare con 50 euro in tasca.
A confermare che le questioni ideologiche non c'entrano niente - come sembrava accreditare, in qualche modo, l'irruzione sulla scena della Digos - arriva il padre della vittima, anche in questo caso intervistato da un cronista di la Repubblica:
«Ai miei tempi ci si scontrava in piazza per un credo, politico soprattutto. Il fatto che questi ragazzi siano del Fronte della Gioventù non si lega a quanto subito da mio figlio. Non fa parte di gruppi politici lui, ma solo di un quartiere (Balduina) [in realtà il ragazzo è di Primavalle, il padre ha detto una piccola bugia..., ndb] che non è quello dei sette (Prati). Tanta violenza dunque senza un pensiero, un movente, una ideologia. Per quanto debbano essere sempre da condannare queste azioni, quando vi è dietro un motivo, ci si dà una spiegazione. Nel vuoto assoluto invece si fa fatica a capire come rimediare, come correggere».
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