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Marco Valle :Settant’anni fa il MSI. Un’anniversario agrodolce


di Marco Valle 

Il 26 dicembre 1946 nasceva il Movimento Sociale Italiano. Settant’anni fa. Una data tonda e pesante, un’anniversario agrodolce per un’esperienza unica e contradditoria conclusasi a Fiuggi nel 1995. In quasi mezzo secolo di vita, la fiamma rappresentò molte cose, forse troppe. Fu, innanzitutto, il coagulo degli sconfitti non domi — gli “esuli in patria”, riprendendo Marco Tarchi — e il riferimento simbolico per milioni d’italiani onesti. Al tempo stesso, grazie soprattutto alle sue organizzazioni giovanili — una galassia dinamica e generosa —, il MSI ebbe da subito una dimensione militante importante sul territorio. Ovunque, anche nei paesini sperduti del Meridione o nelle “zone rosse” più ostili, vi era una sede, una rappresentanza, un nucleo. Un patrimonio di fede e speranze ma anche di pensieri ed elaborazioni, di idee, di progetti.

Purtroppo non sempre i gruppi dirigenti seppero essere all’altezza delle aspettative e degni del carico di fiducia offerto, in assoluta buona fede, da un segmento non trascurabile e per nulla indegno del popolo italiano. Nel tempo, la nomenklatura di partito si atrofizzò sempre più in una bolla autoreferenziale e conservativa, alternando nostalgismi inutili a entrismi velleitari. Da qui le tante delusioni e le continue diaspore d’intelligenze — da Primo Siena ed Enzo Erra agli intellettuali della Nuova Destra — che afflissero il partito e il suo mondo giovanile. Per anni e anni, le polemiche sui “treni perduti”, “le occasioni mancate” divennero una sorta di mantra amaro e si intrecciarono ad un correntismo esasperato e deleterio.

Nei Settanta fu l’odio degli avversari, la loro volontà di spazzarci via, di cancellarci politicamente, persino di annientarci fisicamente (“uccidere un fascista non è reato”…) a saldare un mondo umano litigioso e spesso poco omogeneo. Il lungo assedio, il sangue dei caduti, il sacrificio di tanti attivisti (gente normale, normalissima ma rocciosa e determinata) diedero forza ed orgoglio ad un intera comunità.

La lunga traversata attraverso gli anni piombo significò per molti il superamento di vecchie logiche e di linguaggi desueti. Ancora una volta il mondo giovanile ritrovò un ruolo d’avanguardia e, negli Ottanta, sembrò possibile costruire finalmente un partito differente e competitivo. Ma le antiche malattie del neo o postfascismo — il frazionismo, il leaderismo, la “fiera delle occasioni” al posto di strategie complesse — impedirono ogni evoluzione positiva e ci perdemmo colpevolmente in dibattiti lunari e scontri tra opposte tifoserie. Agli inizi dei Novanta la fiamma era ridotta ad un lumicino. Poi arrivò Tangentopoli, Berlusconi, Fiuggi. Un’altra storia.

Conclusioni? Un sentimento di tenerezza — il MSI fu la nostra gioventù e la nostra casa — e un po’ di tristezza per ciò che poteva essere e non fu. Ma nessuna nostalgia per un tempo ormai terminato.

Bisogna guardare avanti, anche in questo deserto minimalista in cui la destra italiana si è insabbiata. Bisogna continuare a riflettere e sperimentare, senza trimpellare in visioni museali e autocelebrazioni. Oggi più che mai, non servono prefiche o becchini, ma pensieri lunghi e forti. Perchè, come ricordava Pino Rauti, “senza grandi idee non vi può essere grande politica”.


Fonte destra.it

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