Roma, riciclaggio: arrestati il re Mida dei Giochi e l'ex deputato Pdl Amedeo Laboccetta
Un sistema di scatole cinesi, società ovunque, un fiume di di denaro, che sfiora i 300 milioni di euro, passato dalle società del gioco gestite da Francesco Corallo e finito all'estero. Tutto per sottrarlo al fisco e alle casse dello Stato.
Dodici gli indagati dalla procura di Roma che ha riaperto due anni fa un fascicolo avviato dai colleghi di Milano. Con Francesco Corallo, arrestato ai Caraibi, sono indagati Giancarloe Sergio Tulliani, ex cognato ed ex suocero di Gianfranco Fini, e Amedeo Laboccetta, già parlamentare, coordinatore cittadino del Pdl a Napoli, anche lui arrestato. Nel novembre del 2011 era stato proprio quest'ultimo a opporsi al sequestro di un computer di Francesco Corallo, sostenendo che si trattava di un pc con materiali inerenti la sua attività di parlamentare.
Corallo, che dai Casino alle Antille ha sbaragliato la concorrenza all'affacciarsi in Italia dell'affare slot, con un gruppo di manager italiani e stranieri e il fidato Laboccetta è indagato per associazione per delinquere, peculato e riciclaggio di 85 milioni di euro, ovvero i tributi dovuti dall'Atlantis world group of companies e della BPlus Giocolegale Ltd, aggiudicataria della gestione telematica dei giochi.
Avrebbe sistematicamente omesso di versare la percentuale dovuta allo Stato. Che fosse consapevole di aver orchestrato un sistema perfetto è testimoniato dalle intercettazioni. "Bisogna eliminare gli importi del Preu (i tributi erariali, ndr) che stiamo trattenendo illegalmente", scriveva Corallo al suo socio.
Cinquanta degli 85 milioni, tra il 2004 ed il 2007, e poi fino al 2014, sarebbero finiti verso conti correnti esteri olandesi, ed inglesi di altre società del gruppo Corallo e successivamente verso un conto corrente di società offshore acceso a Saint Maarten (Antille Olandesi), sempre di Francesco Corallo. Attraverso uno scambio di liquidità sarebbero poi spariti dall'Atlantis altri 150 milioni transitati via Gran Bretagna e Shanghai a Saint Maarten, Curaçao, Santa Lucia e reinvestiti in attività immobiliari a Saint Maarten.
Giancarlo Tulliani avrebbe messo a disposizione di Rudolf Baetsen, braccio destro di Corallo, due società offshore per poter far transitare i soldi destinati alle Antille.
Proprio Baetsen avrebbe finanziato l'acquisto dell'appartamento di Monaco, in boulevard Princesse Charlotte 14, già di proprietà di Alleanza Nazionale, rilevato da Giancarlo Tulliani e poi passato da una sua società a un'altra. Attraverso i conti di Giancarlo e anche di Sergio Tulliani sarebbe passato il denaro sottratto al fisco da Corallo: 2 milioni e 400 mila euro, hanno ricostruito i magistrati e i finanzieri.
L'appartamento, stimato 300 milioni, da An sarebbe andato a una prima società di Tulliani e poi a una seconda. Per le due transazioni, poco sopra il valore, i soldi sarebbero arrivati da Corallo. Il terzo invio era indicato come “liquidation foreign assets - decree 78/2009, 2.4M Euro”. Ovvero, per gli investigatori, un preciso riferimento al decreto che ancora una volta andava incontro alle esigenze di Corallo, capace, come scrive il giudice di mettere insieme un castello per la gestione dei videoterminali per il gioco praticamente "a costo zero".
La norma che consentiva di utilizzare l'autorizzazione ai videoterminali come garanzia per ottenerne di nuove o di cedere a terzi anche solo la stessa autorizzazione aveva spalancato a Corallo le porte del grande business. E di questo il manager era evidentemente grato a Tulliani. "E la possibilità di offrire in pegno i diritti sulle VLT - scrive il gip - è stata ottenuta da Corallo con il decreto legge 78/2009, in relazione al quale viene beneficiato Sergio Tulliani per 2,4 milioni di euro".
L'indagine, coordinata dal procuratore Giuseppe Pignatone, dall'aggiunto Michele Prestipino e dal pm Barbara Sargenti, sulla base delle indagini dello Scico, è arrivata al primo giro di boa davanti al gip Simonetta D'Alessandro, nasce da una costola di quella sulla Bpm di Massimo Ponzellini, anche lui in affari con Corallo. Con il quale avrebbe messo in piedi una associazione dedita alla sistematica corruzione di quanti potessero influire sugli affari del 're Mida' del gioco.
In Parlamento, Laboccetta, trovando sponda anche in Marco Milanese, avrebbe rappresentato la lobby Corallo al momento del rinnovo delle gare per le concessioni.
Milanese, coinvolto e archiviato nella vicenda Bpm, contesta però la ricostruzione: "Lo stesso Corallo ammise di essere stato osteggiato da me".
Tuttavia, con un solido appoggio in Parlamento e nella consapevolezza che i suoi messaggi su Blackberry non venissero intercettati, il catanese Corallo, figlio di Gaetano, considerato uomo di fiducia nel settore dei Casino del boss Nitto Santapaola, dava direttive e impartiva spostamenti estero su estero per milioni di euro. Decisivo il paravento costruito da una batteria di legali, tra questi Carmelo Barreca, che nella chat segreta era soprannominato "peripoccu", piede di porco, probabilmente perché in grado di scardinare i vincoli che Corallo viveva con fastidio.
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