Il neofascismo in Sardegna. Un nuovo saggio storico
(G.p) Per la rubrica consigli per la lettura poniamo all'attenzione dei nostri lettori il volume di Giuseppe Serra e Angelo Abis "Neofascisti. Le origini del Movimento Sociale Italiano 1943-1949 recensito dal collega Giovanni Sessa e pubblicato sul sito del centro studi La Runa.
Negli ultimi anni, parallelamente all’uscita di scena della destra dal panorama politico italiano, sembrava che anche la storiografia più seria avesse nuovamente obliato l’esegesi delle destre nell’Italia repubblicana. Eppure c’era stata, nei decenni precedenti, una stagione nella quale storici di rilievo, sulla scorta della ricerca monumentale condotta da Renzo de Felice nei confronti del fascismo, avevano prodotto lavori significativi in argomento. Ci riferiamo, tra le altre, alle opere di Giuseppe Parlato, Marco Tarchi, Piero Ignazi ed Adalberto Baldoni. Finalmente l’importanza dell’indagine storica inerente le destre italiane nella seconda metà del Novecento sembra essere stata colta da due studiosi che dell’argomento si sono occupati, con competenza e persuasività di accenti, anche in loro precedenti pubblicazioni. Ci riferiamo al volume di Giuseppe Serra e Angelo Abis, Neofascisti. Le origini del Movimento Sociale Italiano in Sardegna 1943-1949, da poco a disposizione dei lettori per i tipi di Pietro Macchione Editore (per ordini: macchione.pietro@alice.it, 338/5337641, euro 20,00).
Come si evince dal sottotitolo si tratta della ricostruzione della microstoria del neofascismo sardo. Ciò non tragga in inganno! Infatti comprendere e studiare le dinamiche interne, le differenze ideali che distinguevano gli ambienti della destra sarda nell’immediato dopoguerra, risulta dirimente ai fini della contestualizzazione storica del neofascismo italiano e, più in generale, delle destre nel nostro paese. Va inoltre preliminarmente rilevato che gli autori si sono serviti di un’ampia documentazione, analizzata con metodo oggettivo. Hanno ascoltato e raccolto i ricordi di quanti furono protagonisti, tra la fine del conflitto e i primi anni della Repubblica, del tentativo di dare avvio ad una ripartenza dell’idea nazionale, tra difficoltà interne ed esterne di ogni tipo. Descrivono, quindi, una stagione politica di fermenti ideali, oggi inimmaginabile, data la mestizia teorico-pratica del tempo presente, sia per la Sardegna che per l’Italia. A connotare quegli anni furono lo spessore umano dei protagonisti, così come l’eccezionalità della contingenza che allora si viveva.
I soggetti politici presi in considerazione nel volume erano tra loro assai diversi (fascisti repubblicani, qualunquisti e neofascisti). Diversi, come ricorda nell’informata prefazione Giuseppe Parlato, per formazione culturale, per logica politica e per modalità di leadership. Il collante che riuscì a tenere insieme le loro anime e le loro diversità, fu la scelta di porsi all’opposizione del ciellenismo e del comunismo. Inoltre, coloro che nel 1943 nell’isola operarono in tal senso, fondamentalmente non accettavano di rassegnarsi alla sconfitta bellica. Dalla lettura si evince che le formazioni che si costituirono dopo il 25 aprile, eredi della visione del mondo del regime, erano eterogenee tra loro. Da ciò risulta che neofascismo è “… un termine che si usa correttamente per indicare non tanto un movimento, quanto un sentimento diffuso di una continuità umana prima che politica” (p. 10), rispetto al fascismo, oltre che un gruppo politico d’opposizione. Per i neofascisti, ricordo e nostalgia, ebbero una forte valenza emotiva, prima di essere richiamo ideologico. Per tali ragioni, In Sardegna come in Italia, il percorso seguito dai tali gruppi risultò articolato e complesso.
Durante la RSI si tentò, ad opera di Giovanni Martini ed altri suoi collaboratori, di creare un nucleo operativo che contribuisse attivamente alla guerra che si combatteva al Nord, ma senza successo. Gli appartenenti a questi primi gruppuscoli ebbero ne “La voce dei giovani” il loro organo di stampa (ne uscirono solo due numeri). Con la nascita del Movimento indipendente sardo dei reduci e poi dell’Uomo qualunque, i neofascisti iniziarono la collaborazione con le forze liberali e moderate. Alle elezioni per la Costituente il MISR si apparentò con l’Unione Democratica Nazionale, espressione partitica di monarchici e liberali. Per i neofascisti, anche in Sardegna, l’Uomo qualunque di Giannini svolse invece il ruolo di “partito ombrello”, una sorta di ricovero provvisorio scelto per la polemica contro la “dittatura antifascista”, sostenuta dal commediografo. Il primo raggruppamento politico, reale espressione del neofascismo sardo fu il Partito Fusionista, fondato da Eveno Arani, personaggio poco noto. Questi ebbe l’indubbio merito di creare, il giorno dopo la morte di Mussolini, il primo giornale del neofascismo italiano, il “Manifesto”. Con la nascita del MSI molti dirigenti ed iscritti fusionisti passarono nelle fila della nuova formazione, considerata più affidabile ed incisiva nell’azione politica grazie alla struttura nazionale di cui beneficiava e per l’appoggio ricevuto da ex-gerarchi, in particolare da Pino Romualdi. Questi fu “…una figura carismatica in grado di attrarre vecchi e giovani fascisti, sia coloro che vedevano in lui la RSI, sia coloro che vedevano in lui…un abile tessitore non lontano dai servizi americani” ( p.12). La Fiamma nacque in Sardegna nel 1947. A Cagliari i dirigenti si definirono, fin da subito ed esplicitamente, di destra, a Sassari si registrarono, al contrario, significative presenze della sinistra fascista.
Nel terzo capitolo, Serra e Abis analizzano la stampa periodica legata al partito, soffermandosi su testate filo-atlantiche quali il “Quarantotto”e il “Risveglio”, che miravano a far rientrare il MSI nell’area di governo. Tale progetto fu bloccato dall’esito delle elezioni del 18 aprile del 1948, il cui esito, data la propaganda democristiana, supportata da Vaticano e USA, non poteva arridere al Msi. A livello nazionale il partito ottenne il 2,0 per cento, in Sardegna, dove i dirigenti avevano impostato la campagna elettorale in termini “terzaforzisti”, il 2,7. Il successo più importante, in consenso, l’MSI l’ottenne alle elezioni regionali sarde del 1949, triplicando i propri voti, attestandosi tra il 9% e il 17% (assieme ai monarchici le destre nell’isola poterono allora contare su un lusinghiero 20%). Nel volume è possibile leggere importanti “medaglioni” dedicati ai protagonisti del neofascismo sardo. Tra essi vanno almeno menzionati Enrico Endrich, Giovanni Maria Angioy, Bruno Bagedda, Gavino Pinna e Mario Pazzaglia che, con la loro generosa azione, hanno segnato la storia del MSI isolano. Interessante, altresì, il racconto del viaggio compiuto in Sardegna tra il luglio ed il settembre del 1949, da Stanis Ruinas. Questi, vicino alle posizioni della sinistra fascista, credeva “…nella possibilità di una rivoluzione anticapitalista da attuarsi con il Partito comunista” (p. 142). Il carattere del viaggio fu politico: Ruinas avrebbe voluto consolidare i rapporti tra il gruppo che aveva fondato, facente capo al giornale “Il Pensiero Nazionale”, ed il Pci. In Sardegna non trovò consensi al suo progetto negli ambienti della destra locale.
In conclusione, il libro di Serra e Abis rappresenta un importante momento del recupero della memoria storica delle destre italiane. Ci auguriamo che altri proseguano lungo questa strada.
Negli ultimi anni, parallelamente all’uscita di scena della destra dal panorama politico italiano, sembrava che anche la storiografia più seria avesse nuovamente obliato l’esegesi delle destre nell’Italia repubblicana. Eppure c’era stata, nei decenni precedenti, una stagione nella quale storici di rilievo, sulla scorta della ricerca monumentale condotta da Renzo de Felice nei confronti del fascismo, avevano prodotto lavori significativi in argomento. Ci riferiamo, tra le altre, alle opere di Giuseppe Parlato, Marco Tarchi, Piero Ignazi ed Adalberto Baldoni. Finalmente l’importanza dell’indagine storica inerente le destre italiane nella seconda metà del Novecento sembra essere stata colta da due studiosi che dell’argomento si sono occupati, con competenza e persuasività di accenti, anche in loro precedenti pubblicazioni. Ci riferiamo al volume di Giuseppe Serra e Angelo Abis, Neofascisti. Le origini del Movimento Sociale Italiano in Sardegna 1943-1949, da poco a disposizione dei lettori per i tipi di Pietro Macchione Editore (per ordini: macchione.pietro@alice.it, 338/5337641, euro 20,00).
Come si evince dal sottotitolo si tratta della ricostruzione della microstoria del neofascismo sardo. Ciò non tragga in inganno! Infatti comprendere e studiare le dinamiche interne, le differenze ideali che distinguevano gli ambienti della destra sarda nell’immediato dopoguerra, risulta dirimente ai fini della contestualizzazione storica del neofascismo italiano e, più in generale, delle destre nel nostro paese. Va inoltre preliminarmente rilevato che gli autori si sono serviti di un’ampia documentazione, analizzata con metodo oggettivo. Hanno ascoltato e raccolto i ricordi di quanti furono protagonisti, tra la fine del conflitto e i primi anni della Repubblica, del tentativo di dare avvio ad una ripartenza dell’idea nazionale, tra difficoltà interne ed esterne di ogni tipo. Descrivono, quindi, una stagione politica di fermenti ideali, oggi inimmaginabile, data la mestizia teorico-pratica del tempo presente, sia per la Sardegna che per l’Italia. A connotare quegli anni furono lo spessore umano dei protagonisti, così come l’eccezionalità della contingenza che allora si viveva.
I soggetti politici presi in considerazione nel volume erano tra loro assai diversi (fascisti repubblicani, qualunquisti e neofascisti). Diversi, come ricorda nell’informata prefazione Giuseppe Parlato, per formazione culturale, per logica politica e per modalità di leadership. Il collante che riuscì a tenere insieme le loro anime e le loro diversità, fu la scelta di porsi all’opposizione del ciellenismo e del comunismo. Inoltre, coloro che nel 1943 nell’isola operarono in tal senso, fondamentalmente non accettavano di rassegnarsi alla sconfitta bellica. Dalla lettura si evince che le formazioni che si costituirono dopo il 25 aprile, eredi della visione del mondo del regime, erano eterogenee tra loro. Da ciò risulta che neofascismo è “… un termine che si usa correttamente per indicare non tanto un movimento, quanto un sentimento diffuso di una continuità umana prima che politica” (p. 10), rispetto al fascismo, oltre che un gruppo politico d’opposizione. Per i neofascisti, ricordo e nostalgia, ebbero una forte valenza emotiva, prima di essere richiamo ideologico. Per tali ragioni, In Sardegna come in Italia, il percorso seguito dai tali gruppi risultò articolato e complesso.
Durante la RSI si tentò, ad opera di Giovanni Martini ed altri suoi collaboratori, di creare un nucleo operativo che contribuisse attivamente alla guerra che si combatteva al Nord, ma senza successo. Gli appartenenti a questi primi gruppuscoli ebbero ne “La voce dei giovani” il loro organo di stampa (ne uscirono solo due numeri). Con la nascita del Movimento indipendente sardo dei reduci e poi dell’Uomo qualunque, i neofascisti iniziarono la collaborazione con le forze liberali e moderate. Alle elezioni per la Costituente il MISR si apparentò con l’Unione Democratica Nazionale, espressione partitica di monarchici e liberali. Per i neofascisti, anche in Sardegna, l’Uomo qualunque di Giannini svolse invece il ruolo di “partito ombrello”, una sorta di ricovero provvisorio scelto per la polemica contro la “dittatura antifascista”, sostenuta dal commediografo. Il primo raggruppamento politico, reale espressione del neofascismo sardo fu il Partito Fusionista, fondato da Eveno Arani, personaggio poco noto. Questi ebbe l’indubbio merito di creare, il giorno dopo la morte di Mussolini, il primo giornale del neofascismo italiano, il “Manifesto”. Con la nascita del MSI molti dirigenti ed iscritti fusionisti passarono nelle fila della nuova formazione, considerata più affidabile ed incisiva nell’azione politica grazie alla struttura nazionale di cui beneficiava e per l’appoggio ricevuto da ex-gerarchi, in particolare da Pino Romualdi. Questi fu “…una figura carismatica in grado di attrarre vecchi e giovani fascisti, sia coloro che vedevano in lui la RSI, sia coloro che vedevano in lui…un abile tessitore non lontano dai servizi americani” ( p.12). La Fiamma nacque in Sardegna nel 1947. A Cagliari i dirigenti si definirono, fin da subito ed esplicitamente, di destra, a Sassari si registrarono, al contrario, significative presenze della sinistra fascista.
Nel terzo capitolo, Serra e Abis analizzano la stampa periodica legata al partito, soffermandosi su testate filo-atlantiche quali il “Quarantotto”e il “Risveglio”, che miravano a far rientrare il MSI nell’area di governo. Tale progetto fu bloccato dall’esito delle elezioni del 18 aprile del 1948, il cui esito, data la propaganda democristiana, supportata da Vaticano e USA, non poteva arridere al Msi. A livello nazionale il partito ottenne il 2,0 per cento, in Sardegna, dove i dirigenti avevano impostato la campagna elettorale in termini “terzaforzisti”, il 2,7. Il successo più importante, in consenso, l’MSI l’ottenne alle elezioni regionali sarde del 1949, triplicando i propri voti, attestandosi tra il 9% e il 17% (assieme ai monarchici le destre nell’isola poterono allora contare su un lusinghiero 20%). Nel volume è possibile leggere importanti “medaglioni” dedicati ai protagonisti del neofascismo sardo. Tra essi vanno almeno menzionati Enrico Endrich, Giovanni Maria Angioy, Bruno Bagedda, Gavino Pinna e Mario Pazzaglia che, con la loro generosa azione, hanno segnato la storia del MSI isolano. Interessante, altresì, il racconto del viaggio compiuto in Sardegna tra il luglio ed il settembre del 1949, da Stanis Ruinas. Questi, vicino alle posizioni della sinistra fascista, credeva “…nella possibilità di una rivoluzione anticapitalista da attuarsi con il Partito comunista” (p. 142). Il carattere del viaggio fu politico: Ruinas avrebbe voluto consolidare i rapporti tra il gruppo che aveva fondato, facente capo al giornale “Il Pensiero Nazionale”, ed il Pci. In Sardegna non trovò consensi al suo progetto negli ambienti della destra locale.
In conclusione, il libro di Serra e Abis rappresenta un importante momento del recupero della memoria storica delle destre italiane. Ci auguriamo che altri proseguano lungo questa strada.
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