Altro che avvisi di garanzia, Roma va rasa al suolo
Giuseppe Sala. Paola Muraro. Virginia Raggi. Non è in alcun modo accettabile che un semplice avviso di garanzia, cioè la mera ipotesi che sia stato commesso un reato, possa troncare o gravemente compromettere la carriera di un esponente politico o distruggere la reputazione di un qualsiasi cittadino senza incarichi pubblici (qualcuno ricorderà, forse, il caso di quel padre accusato di aver violentato il figlioletto di due anni, e quindi massacrato dai mass media, poi risultato innocente). L’’informazione di garanzia’, voluta fortemente dalle sinistre sull’onda della disastrosa riforma del Codice di Procedura Penale, partorita da Gian Domenico Pisapia, padre dell’ex sindaco, aveva la pia intenzione, come dice il nome stesso, di tutelare il cittadino verso il quale siano in corso delle indagini penali, non tenendo conto della potenza di fuoco che hanno assunto attualmente i mass media dove, accanto ai giornali, furoreggia il mondo web, che rende virale, e distruttiva, anche la più labile delle notizie. Così l’’informazione di garanzia’ si è tradotta nel suo contrario: in una sentenza anticipata di condanna, prima di un rinvio a giudizio (che comunque condanna non è ancora) o di una sentenza di primo grado. E’ tipico del nostro Paese passare da un estremo all’altro. Per un decennio abbiamo avuto un presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che era stato più volte rinviato a giudizio, condannato in primo e secondo grado, salvato dalla prescrizione e questa totale anomalia è stata di fatto accettata. C’è voluta una sentenza definitiva della Cassazione per buttar fuori il ‘delinquente naturale’ dalle Istituzioni, ma non dalla politica di cui questo bucaniere continua imperterrito a solcare i mari, ricevuto con tutti gli onori dai vari presidenti della Repubblica.
Un esponente politico dovrebbe essere pregato, anzi obbligato, a togliere il disturbo solo dopo un rinvio a giudizio, perché in questo caso gli indizi raccolti dai Pubblici ministeri sono stati convalidati da un giudice, il giudice delle indagini preliminari (gup). Adesso un avviso di garanzia vale, a seconda dei casi per la destra o per la sinistra, quanto un rinvio a giudizio. Di più: si fa strame di un politico ‘a prescindere’. E’ il caso del sindaco di Roma, Virginia Raggi, che non è stata raggiunta da nessun ‘avviso di garanzia’, ma di cui si chiedono da molte parti, anche all’interno del suo stesso movimento, le dimissioni. Quali sono le colpe della Raggi? L’arresto di Raffaele Marra, dirigente amministrativo di lungo corso e direttore del Dipartimento organizzazione e risorse umane del Campidoglio. Sfido chiunque a trovare in Roma, negli ambienti amministrativi e dirigenziali, qualcuno di cui si possa essere sicuri che non sia stato coinvolto, in passato, nell’illegalità diffusa della Capitale. Già nel 1955 lo scrittore Manlio Cancogni pubblicava sull’Espresso un articolo dal significativo titolo “Capitale corrotta=nazione infetta”. Da allora la situazione non ha fatto che peggiorare. Roma ha effettivamente infettato l’intero Paese. Non si tratta della mafia, della camorra, della ’ndrangheta che sono perlomeno organizzazioni strutturate e quindi, almeno in linea teorica, individuabili. Non si tratta di un cancro ma di una metastasi. Nel 1980 pubblicai sul Settimanale un’inchiesta intitolata “Via da Roma la capitale”. La classe dirigente piemontese che aveva fatto l’Italia unita si spogliò generosamente del ruolo di capitale, che all’inizio era Torino, pensando che Roma, per la sua centralità geografica, fosse più adatta. Fu una scelta generosa ma sbagliata. Roma è come una cozza che ha finito per raccogliere, moltiplicare ed espandere tutto ciò che di marcio c’è nel nostro Paese. Gli uomini politici, d’affari, gli intellettuali che intervistai per quell’inchiesta dissero che la mia proposta provocatoria era utopica e inattuabile, ma qualcuno suggerì di spostare perlomeno da Roma alcuni ministeri e competenze come avviene in altri paesi democratici (Bonn e Berlino, per esempio, in Germania). Ma naturalmente non se n’è mai fatto nulla. Roma è un fatto quasi unico nel mondo occidentale. Come Londra, Parigi, Vienna, Roma è capitale a tutti gli effetti, è cioè la città più importante del Paese, ma a differenza di Londra, di Parigi, di Vienna non ha nessuna dimensione e nessun retroterra industriale. E’ la tipica città che consuma e non produce. Con tutte le conseguenze del caso.
Da quella lontana inchiesta del 1980 Roma ha accentrato ancora più poteri. Nei settori dei media per esempio. Tutti i network più importanti hanno la loro sede principale a Roma. La Rai di Milano, per non parlare di quella di Torino, è stata praticamente spogliata. I giornali che contano possono aver sede anche a Milano ma i loro direttori fanno riferimento a Roma e molto spesso sono scelti dai poteri romani. Molti giornalisti che contano sono contigui, se non affiliati, ai politici della Capitale. Anche il mondo dell’imprenditoria, ovunque si trovi, deve render conto a Roma. E così via.
Come si può pensare che un giovane sindaco come Virginia Raggi possa guarire questo cancro metastatico? Ci vorrebbero decenni. Roma dovrebbe essere rasa al suolo come fecero i lanzichenecchi che la ridussero a 37 mila abitanti. Oggi ce la potrebbe fare, forse, solo Al Baghdadi se pianterà la sua bandiera nera sul Vaticano e su tutto ciò che vi sta intorno. In attesa, noi preferiamo tenerci la Raggi pur con tutte le sue debolezze.
Infine consentitemi, pardon permettetemi, di parlare di una questione personale. Nel suo bel libro, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Franco Recanatesi che mi conobbe agli esordi di Repubblica fa di me questo ritrattino. “Fini…anarchico di talento, frequentatore di mondi borderline, bettole e compagnie equivoche, enfant prodige dell’Europeo di Tommaso Giglio, resistette tre mesi appena sotto la cappa radical chic di Repubblica”. Trovo questo bozzetto azzeccato e mi ci riconosco. Ad eccezione di un punto. Non ho mai frequentato ‘compagnie equivoche’ tranne che nei tre mesi in cui sono stato a Repubblica.
Il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2016
"Nel suo bel libro, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Franco Recanatesi che mi conobbe agli esordi di Repubblica fa di me questo ritrattino. “Fini…anarchico di talento, frequentatore di mondi borderline, bettole e compagnie equivoche, enfant prodige dell’Europeo di Tommaso Giglio, resistette tre mesi appena sotto la cappa radical chic di Repubblica”. Trovo questo bozzetto azzeccato e mi ci riconosco. Ad eccezione di un punto. Non ho mai frequentato ‘compagnie equivoche’ tranne che nei tre mesi in cui sono stato a Repubblica." Sarà la terza - quarta volta che leggo questo. Perché?
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