Adriano Tilgher: così Avanguardia partecipò al golpe Borghese
L’allora vicepresidente di Avanguardia Nazionale, Adriano Tilgher, per la prima volta racconta la «sua» notte della Madonna, partendo dalla nascita del Fronte Nazionale e dai rapporti di Avanguardia con il principe nero:
“Quando nasce il Fronte Nazionale noi
non aderiamo, tranne alcune nostre componenti, come a Reggio
Calabria. Certo, c’era nel nostro ambiente questa esigenza di
ordine e questa voglia di un uomo forte. Ma bisogna rapportarsi al
clima di quegli anni. Parliamo della fine degli anni Sessanta.
L’autunno caldo, le bombe dell’estate sui treni, poi quelle del
12 dicembre. La violenza della sinistra contro di noi che comincia ad
aumentare. Una incapacità incredibile dello Stato nel venirne fuori.
Tanto è vero, che si dica quel che si vuole, ma la stagione delle
stragi aumenterà e non diminuirà il consenso del Pci, ponendolo
alla fine dentro l’area di governo dalla quale non uscirà mai
più...
C’era insomma questo clima di attesa dell’uomo della
provvidenza. E, per noi, ovviamente la pietra miliare di tutto questo
era il Comandante Borghese. Tutto questo ambiente fa capo al
cosiddetto «circolo dei selvatici». Che in realtà non era altro
che il circolo degli ex combattenti della Rsi, che ruotava intorno al
costruttore Fioravanti e allo stesso Comandante. Tutto nasce da lì.
Il Fronte Nazionale, la rifondazione di Avanguardia, il giornale
L’Occidentale. Tutto prende il via da questa contaminazione tra
generazioni diverse, tra vecchi e giovani fascisti. Ricordo quando
proiettammo il primo documento ufficiale su piazzale Loreto. Fu una
serata drammatica. Può immaginare cosa accadde. Urla, strepiti,
commozione infinita. Erano ferite ancora aperte. Molti dei
protagonisti di quella stagione erano ancora vivi... Ecco perché non
si possono giudicare, a freddo, certi contesti senza tener conto del
clima in cui avvengono”.
Torniamo al golpe:
Torniamo al golpe:
“Se ne parlava da
mesi. Noi sapevamo che il Fronte Nazionale lavorava per questo, che
il colpo di Stato ci sarebbe stato e che eravamo inseriti in questa
progettualità. Ma non sapevamo altro. Tilgher precisa che cosa
intende per «noi»: Intendo tutti i gruppi della destra radicale
coinvolti nel progetto. Quindi Avanguardia, certo, ma anche Lotta di
Popolo, anche il Movimento Politico Ordine Nuovo. Perché quando
facevamo le riunioni preparatorie c’era anche Clemente Graziani...
Poi descrive il ruolo del Msi:
Il ruolo del Msi era molto ambiguo.
Donato Lamorte, ambasciatore del Msi nel nostro ambiente, dice agli
atti processuali che era stato mandato da Giorgio Almirante per controllare
cosa stessimo facendo. Diciamo che il Msi era della partita, anche se
poi Almirante ha sempre negato. Certo, quella notte il partito non fu
mobilitato, se non in alcune componenti, ma era della partita. Sì,
c’era anche Sandro Saccucci, ma in un ruolo un po’ emarginato, tanto che
gli diedero solo il compito di raccogliere un po’ di gente nella
palestra di via Eleniana.
Veniamo alla notte del 7 dicembre... Il 6
dicembre ci dicono: ci siamo. Il momento è arrivato. La decisione
del golpe arriva improvvisamente, tanto che Stefano Delle Chiaie, che
in quel momento si trova a Barcellona, non farà in tempo a
organizzare un suo rientro immediato in Italia e resterà in Spagna,
rimanendo in continuo contatto telefonico con noi che siamo a Roma.
In quel momento il presidente di Avanguardia Nazionale è Sandro
Pisano; io e Guido Paglia siamo i suoi vice. Perché, quando a inizio
’70 decidiamo di rifondare Avanguardia, Stefano aveva incaricato
Pisano, che faceva già parte della «vecchia» Avanguardia – che
si chiamava Avanguardia Nazionale Giovanile, sciolta nel ’65 –,
di fare un po’ da pontiere tra la vecchia generazione e la nostra,
che è quella emergente. Tenga presente che il nostro rapporto con il
Comandante Borghese era talmente stretto che lui ci pagava anche
l’affitto della nostra sede di via Arco della Ciambella. La sera
del 7 convoco in sede una quarantina di militanti, fondamentalmente
di Roma centro. Ma non li avverto del vero motivo della convocazione.
Siccome c’è la visita di Tito a Roma e c’è il pericolo di
incidenti e disordini, dico: «Dobbiamo tenerci pronti a ogni
eventualità». Intorno alle 22 in via Arco della Ciambella ci sono
una cinquantina di persone. Siamo in tre a sapere la verità. Ogni
tanto arrivano delle staffette a portarci notizie sull’andamento
dell’operazione”.
Ecco come erano disposti gli altri
militanti di Avanguardia:
“C’era un gruppo, che veniva dal
Quadraro, che si era dato appuntamento nel negozio di un camerata, a
Cinecittà. Altri si erano radunati nell’appartamento di uno
studente fuori sede, nella zona intorno a piazzale delle Province,
altri ancora si erano dati appuntamento in altri appartamenti sparsi
per la città. Fin dalla mattina, nostri nuclei di militanti, con
l’aiuto dei poliziotti del corpo di guardia, erano entrati al
ministero dell’Interno e si erano nascosti nei bagni, in attesa di
irrompere nell’armeria, dopo la chiusura degli uffici. Quel giorno,
comunque, non tutti i militanti di Avanguardia rispondevano a me.
L’organizzazione era diversa. A me avrebbero risposto solo quelli
che stavano in sede insieme al sottoscritto. Tutti gli altri avevano
capi indicati dal Comandante. Al suo fianco c’erano i vertici della
vecchia Avanguardia, che davano disposizioni a tutti i nuclei sparsi
per Roma.
Parliamo di Flavio Campo, Maurizio Giorgi, Giulio
Crescenzi. Alle 22 i camerati nascosti nei bagni del Viminale escono
fuori e, aiutati dagli agenti, fanno entrare nel palazzo il gruppo
del Quadraro, che era partito dal negozio di Cinecittà. Sono tutti a
bordo di un convoglio di automobili. Entrano nel corpo di guardia e
si prendono i circa 200 Mab custoditi dalla polizia. Si piazzano nel
corpo di guardia e attendono l’ordine. Il loro compito è quello di
occupare e presidiare il Viminale. Non di andarsene in giro con i Mab
del corpo di guardia. Alle 23 arrivano in via Arco della Ciambella
alcuni emissari del vertice dell’operazione e ci annunciano: «Tra
mezz’ora arriva un camion che vi porterà delle armi e vi
trasporterà: diventerete operativi». Poco dopo arrivano due persone
che appartengono a un gruppuscolo romano dell’estrema destra, il
Fronte Delta, e ci dicono: «Sappiamo che stasera c’è una cosa
importante, fateci stare con voi». Noi rispondiamo: «Siamo qui per
Tito, mica è una cosa tanto importante...» E questi se ne vanno
delusi...
Ma a quel punto, con l’arrivo imminente del camion e
delle armi, dobbiamo avvertire i camerati di quel che sta per
accadere. Li riunisco e dico loro: «Tito non c’entra niente,
stanotte si fa il colpo di Stato». Urla, pianti, canti, abbracci...
Succede di tutto. Eccitazione e adrenalina a mille. Poi accade un
episodio particolare. Io chiedo a tutti se se la sentono o meno di
partecipare. Rispondono tutti di sì, tranne una persona. Dice: «Non
me la sento». Allora ordino a un secondo militante: «Tu resterai
qui con lui fino alla conclusione dell’operazione». Non potevamo
certo permetterci di lasciarlo andare via in quel momento. Ma lui
stesso, intendo quello che aveva detto no, è un ostaggio volontario,
nel senso che si rende conto della situazione e non fa problemi.
La
persona scelta da me per fargli compagnia si incazza. Mi dice che non
vuole restare là in sede, che vuole partecipare al colpo di Stato.
Gli ribadisco che deve eseguire il mio ordine e lui, odiandomi, mi
dice che obbedirà. Parliamo di tutte persone mai coinvolte in
inchieste di nessun tipo. Pensi che la persona arrabbiata oggi fa il
prete e quello che si rifiutò oggi fa il commerciante e conduce una
vita normalissima... Poco dopo arriva il camion, ne discendono alcune
persone che ci dicono: «Tutti a casa. Come non detto, non se ne fa
più nulla». Ma noi ci incazziamo e rispondiamo: «Andiamo avanti
nell’operazione, consegnateci le armi. È troppo tardi per fermare
tutto».
La situazione è estremamente tesa. Poco dopo arrivano i
nostri referenti, quelli che avevano seguito l’operazione insieme
al Comandante, per convincerci a tornare a casa. Alla fine, dopo urla
e insulti, decidiamo di smantellare tutto. Ma resta da avvertire
Stefano, che è in contatto telefonico con noi. Lo chiamiamo e gli
comunichiamo il contrordine. Lui si incazza come un riccio. Comincia
a urlare, a imprecare, dice che non si torna indietro, una volta
partiti. Che ne va del nostro onore. Che dobbiamo andare avanti. Ma
ormai la decisione è stata presa. Al contrordine, anche il gruppo
che stava al Viminale lascia il palazzo, portandosi per ricordo non
uno, come si è sempre detto, ma due Mab...
Il nostro gruppo avrebbe
dovuto presidiare il ministero degli Esteri, che sarebbe dovuto
essere assaltato dalla colonna di Forestali che veniva da
Cittaducale. Anche l’occupazione della Rai, in via Teulada, avrebbe
dovuto essere portata a termine da un nucleo di Avanguardia. C’erano
poi, sparsi per Roma, diversi gruppi operativi, che avevano l’ordine
di occuparsi di alcune personalità politiche e istituzionali. Per
esempio, la vicenda del gruppo che resta bloccato in un ascensore è
vera. Ma non è vero che avessero sbagliato palazzo. Era quello
giusto. La personalità da prelevare era il capo della polizia, Angelo Vicari. Erano molte le persone che dovevano essere arrestate. No, non
ne conosco i nomi. So per certo che il socialdemocratico Mario Tanassi era
inserito nel golpe”.
Tilgher rivela perché Borghese ordinò il dietro-front:
“Purtroppo molti reparti militari, indispensabili per la riuscita del golpe, dopo una iniziale adesione, quella sera, all’ultimo momento, si tirarono indietro. Non se la sentirono. Tanto è vero – ne ho la prova – che alcune colonne militari, in Piemonte e in Calabria, quella sera si erano già mosse. Anche a Latina era scesa in strada una colonna corazzata. Mentre abbiamo saputo che in Emilia alcuni reparti dei carabinieri restarono in caserma. E si rifiutarono di partecipare all’operazione. E senza presidiare le zone rosse come l’Emilia e la Toscana, non avremmo potuto controllare la situazione. Questa è la vera storia del golpe Borghese. C’era il proclama che il Comandante avrebbe dovuto leggere alla televisione e alla radio. Era pronta una lista di ministri che, per quanto ne so, comprendeva anche il nome di Tanassi. E Delle Chiaie quella sera era in Spagna. Ci ha sempre detto: se fossi stato a Roma, il golpe sarebbe andato avanti...”
Tilgher rivela perché Borghese ordinò il dietro-front:
“Purtroppo molti reparti militari, indispensabili per la riuscita del golpe, dopo una iniziale adesione, quella sera, all’ultimo momento, si tirarono indietro. Non se la sentirono. Tanto è vero – ne ho la prova – che alcune colonne militari, in Piemonte e in Calabria, quella sera si erano già mosse. Anche a Latina era scesa in strada una colonna corazzata. Mentre abbiamo saputo che in Emilia alcuni reparti dei carabinieri restarono in caserma. E si rifiutarono di partecipare all’operazione. E senza presidiare le zone rosse come l’Emilia e la Toscana, non avremmo potuto controllare la situazione. Questa è la vera storia del golpe Borghese. C’era il proclama che il Comandante avrebbe dovuto leggere alla televisione e alla radio. Era pronta una lista di ministri che, per quanto ne so, comprendeva anche il nome di Tanassi. E Delle Chiaie quella sera era in Spagna. Ci ha sempre detto: se fossi stato a Roma, il golpe sarebbe andato avanti...”
FONTE: La trilogia della Celtica/N. Rao
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