Bossi la canottiera, Salvini un guardaroba
(G.p)Dalle felpe localistiche, Roma ex ladrona compresa, alla divisa estiva da poliziotto. Una attenta analisi politica ed antropologica condotta dal collega Stefano Scansani e pubblicata da la Gazzetta di Reggio Emilia, sui cambi d'abito dell'ex comunista padano convertito al sovranismo identitario Matteo Salvini, aspirante candidato premier ad ipotetiche primarie per la coalizione di centro destra.
In origine fu la canottiera di Bossi. Era il 24 agosto 1994 e il segretario fondatore della Lega seminudo, mutandato nero e con catena d’oro brianzola si mostrò dal balcone della sua stanza d’albergo, nella fatidica Ponte di Legno. Scandalo. Il movimento dirompente, secessionista antir omano così si mostrava nudo o quasi, al suo stato nascente.
Certo che lo sapeva: Bossi con quell’apparizione rompeva con gli abiti sartoriali dell’appassita Democrazia cristiana e il prêt-à-portertardocomunista occhettiano. Nord e canottiera liberi. La volpe Bossi era perfettamente cosciente della segnalazione trasmessa al subconscio dell’elettorato. Tanto che, invecchiato e col pelo grigio, nel 2011 replicò la passerella di moda intima.
Emergenza. C’era da rinfrancare la base disorientata dalla scissione fra il berlusconiano Popolo della Libertà e il finiano Futuro e Libertà. Così, per far rima, la Lega evidenziava la sua identità. Dalla canottiera di Bossi alla t-shirt estiva da poliziotto infilata da Salvini a Ponte di Legno martedì scorso, d’acqua ne è passata sotto i ponti leghisti. E l’Italiano-tipo, l’italiano-medio, che fa? Si irrita, non comprende l’abito, i sindacati moderati e di sinistra dellaPolizia di Stato s’indignano, il ministro dell’Interno Alfano soprassalta, chiama Salvini Pulcinella, perché l’atto del segretario leghista è un sopruso, un uso indebito e strumentale della divisa.
APPARIRE. Perché, invece, non interpretare il ricorso alle uniformi, tanto praticato da Salvini, come a un costante travestimento, non per mimetizzarsi o nascondersi, ma per apparire. Pensate: la Lega è passata dal nudismo di Bossi al guardaroba sovrabbondante di Salvini. Ogni cambio d’abito del leader degli ex Lumbàrd è una mossa studiata, corrisponde a un progetto politico. Perché il partito fondato da Bossi che si radicava su un’identità lombarda e poi veneta, di seguito piemontese, quindi padana, oggi cerca un’identità italiana.
Incredibile. In origine un leghista della prima generazione mai avrebbe infilato una felpa con la scritta Roma, perché già sotto il Po iniziava l’areale straniero, la Capitale era ladrona e il Sud profittatore, passivo, opportunista. Filo spinato e fossato. A livello più antropologico che politico questa evoluzione nel disorientamento è molto interessante e può fornire risposte al “dimmi come di vesti e ti dirò chi sei” o al proverbio per il quale “l’abito non fa il monaco”. Scrivo che lo fa di volta in volta, di situazione in situazione.
A CASA TUTTI. Non so quante felpe-souvenir personalizzate siano ripiegate nel guardaroba di Salvini: è certo però che ognuna fa la sua stagione a seconda dei movimenti geografici del segretario. Vale anche per le magliette tematiche contro l’euro, o con stampigliato l’appello “a casa i due marò”, “a casa Renzi”, “a casa gli immigrati”. La sequenza del “a casa” la dice lunga sul senso dell’appartenenza territoriale e della “casa nostra” alla quale la Lega è legata (il gioco di parole è voluto). Ora che il movimento autonomista ha perduto la sua voglia di tirar su confini dentro lo Stivale ed è diventato italiano, si preoccupa della sicurezza totale dei cittadini italiani: incolumità, patrimonio, cultura, tradizioni. Questo assillo è ben descritto nell’evoluzione delle divise e dei travestimenti.
IN ARMATURA. Negli ultimi anni Ottanta i leghisti, ancora credenti nelCarroccio e nell’Alberto da Giussano, amavano vestire in armatura, con lo scudo e le spade di legno. Negli anni Novanta, sempre nella fatidica Pontida, cominciarono ad apparire i leghisti mascherati in uniforme blu nordista (quella da 7° Cavalleggeri e Rintintin) nonostante la Lega parteggiasse per i pellerossa perché veri nativi, veri oppressi in casa loro. Molto apprezzati i baffoni spioventi e i cappelli larghi da generale Custer.
Poi, quando la Lega cominciò a darsi segni strutturanti, ecco l’invenzione delleGuardie Padane, tutte verdi pisello, quasi quasi in concorrenza con le forze dell’ordine vere. Vi furono denunce e processi. Per segni strutturanti, oltre l’uniforme, intendo la bandiera col Sole delle Alpi, l’ampolla con l’acqua del Po, l’inno Va’ Pensiero, l’idea di una propria moneta simbolica (le Leghe), addirittura la ricerca di una capitale… Infine, dall’armatura medievale in simil-latta la vicenda è andata rotolando in direzione delle ronde. Cioè la Lega insiste. Salvini l’ha emancipata dalle anticaglie della corazza e dell’alabarda (longobarda) vestendosi da poliziotto contemporaneo, indossando la divisa estiva con tanto di mostrine fiamme-oro, e proclamando «Ripuliremo le città».
L’ORDINE COSTITUITO. Se prima le Guardie Padane erano contrapposte alle forze dell’ordine costituito, oggi Salvini si rappresenta forza dell’ordine costituita, si introduce nella loro uniforme. L’abito leghista muta di volta in volta. Questa modalità è tipica dei condottieri, dei trascinatori del popolo, degli infiammatori delle piazze: a un certo punto della carriera devono personificare, mostrare simboli, portarli addosso. Succede - ma non ce ne accorgiamo - quando il rappresentante di una nazione o il portatore di un’idea, un monarca o un autocrate nel pieno d’un conflitto si infila in una divisa, si militarizza. E siccome riviviamo nel mondo delle immagini, ecco che addirittura uno slogan, una parola, incollata su una felpa può conchiudere una chiamata o trasmettere l’appartenenza. Immaginiamo il potere di un’uniforme.
SEGNALI RUDIMENTALI. A fronte di una così sofisticata forma di comunicazione i leghisti in evoluzione coniugano segnali più rudimentali.Preistorici. Ad esempio quello dialettale, Lumbàrd tàs!, che però con l’italianizzazione del partito appartiene a un’altra lingua. Quello virilista che veniva espresso da Bossi quando affermava che la Lega ce l'ha… oppure escogitato come nome di un profumo da uomo previsto nel merchandising del movimento. Non è un francesismo: Dür. Fino ad arrivare a Bergamo, nel 2012, con l’autopulizia con le scope di plastica e le ramazze di saggina contro il Cerchio Magico bossiano e gli scandali interni. Fino ad arrivare al 25 luglio scorso, quando sul palco di Soncino Salvini ha comiziato con una bambola gonfiabile per schernire la Boldrini. Via la bambola, ventitré giorni dopo il segretario a Ponte di Legno ha fatto l’incursione travestito da poliziotto. Deve esserci un equivoco sul significato dei costumi della politica.
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