Turchia, Israele dietro il tentato golpe.
(G.p) Il professore Claudio Moffa, dalle colonne di Rinascita, quotidiano di Sinistra Nazionale, diretto da Ugo Gaudenzi offre un suo personale ed articolato punto di vista sul golpe fallito in Turchia, in virtù del quale ci sarebbe lo stato d'Israele dietro il tentativo golpista.
Sono dunque gli Stati Uniti e la NATO, giustamente schiaffeggiata da Erdogan, i nemici della Turchia democratica salvatasi dai golpisti? O è invece il solito oltranzismo occidentale, che alberga dentro gli Stati Uniti, l’Unione europea e l’Alleanza atlantica? Una ‘sottigliezza’ che conta …
Il colpo di stato è rientrato, i dubbi restano, tra cui il volo di Erdogan verso la Germania e il presunto diniego della Merkel all’atterraggio del suo aereo. Un fatto è comunque evidente: il tentativo golpista è una risposta, sulla stessa onda degli attentati che hanno insanguinato la Turchia negli ultimi mesi, alla inversione di rotta, prima lenta e poi determinata, della politica regionale e internazionale di Ankara, Nelle ultime settimane si sono succedute infatti alcune iniziative significative dell’intenzione di Erdogan di rompere con quanto da lui perpetrato negli scorsi anni e in particolare nel 2015: il sostegno non solo ai cosiddetti ribelli moderati antiAssad, ma anche all’Isis; la violazione del territorio iracheno a caccia del petrolio rubato in proprio o acquistato dal Daesh; l’abbattimento di un aereo russo lungo il confine con la Siria; il riversamento attraverso il mare Egeo sull’Europa, di centinaia di migliaia di sfollati e profughi, cessato dopo il comunque discutibile accordo con la UE.
Erdogan si schiera con Putin
Tutto questo è stato dichiaratamente rimosso o rinnegato dal capo di stato turco: a marzo appunto l’accordo con l’UE, indubbiamente proficuo per Ankara; a giugno Erdogan ha chiesto scusa a Putin per l’aereo abbattuto; il suo primo ministro Binali Yildirim annunciava intanto la volontà di allacciare rapporti di cooperazione con l’Iraq, l’Iran e persino la Siria di Assad, ponendo così fine all’alleanza pro-Isis di Ankara con il Qatar, l’Arabia saudita e Israele. Anche con quest’ultimo Yildrim ha dichiarato di volere un accordo, ma ritirando il suo sostegno all’Isis e comunque mantenendo le distanze da Tel Aviv sulla questione curda. Mai Erdogan cederà su questo punto: nell’estate del 2014, mentre Netanyahu dichiarava secondo tradizione israeliana, il suo sostegno al Curdistan indipendente (fonte tra le tante, Rainews24), il presidente turco sfilava tra due ali di folla in un villaggio della Turchia orientale, a fianco di un rappresentante locale dei curdi. Un successo, ma dentro una idea di stato unitario. Nulla dunque a che vedere col Pkk, a cui non a caso è stato attribuito un sanguinoso attentato contro una decina di soldati di Ankara nel giugno scorso. Così come non a caso, al rientro all’aereoporto Ataturk. Erdogan ha ribadito davanti ai suoi seguaci, il suo quadruplice motto che esclude ogni “particolarismo” curdo: “una nazione, una bandiera, una patria, uno stato”.
Dentro questi vecchi ma anche nuovi confini, chi può avere avuto interesse a tentare un golpe? A Israele, se Erdogan manterrà la parola su Assad, non resterà in mano nulla. Ma all’esterno ci sono tanti altri amici di Netanyahu e nemici di Putin, di Assad, dell’Iran: ed ecco che spunta fuori il nome di Hillary Rodham Clinton, non solo perché notoriamente proisraeliana fino al punto di baciare sulla bocca Sarkozy durante la guerra di Libia, ma anche per la specifica notizia che Fetullah Gulen è stato un suo sostenitore nelle primarie, e tale resterà nelle presidenziali di novembre. Un milione di dollari in favore della signora Rodham, che vanno ad aggiungersi ad altri fondi sostanziosi, tra cui quelli di George Soros.
Chi è Gulen? E ovviamente un turco, anche lui islamico, ma è un nemico acerrimo di Erdogan, esule in Pennsylvania dal 1999: e la Pennsylvania è esattamente lo Stato USA citato dal presidente nello stesso discorso del 16 luglio all’aereoporto di Ataturk, come il luogo dei mandanti del golpe. Da cui la sua richiesta di estradizione a Washington
Tutto dunque torna: all’interno della Turchia il nome di Gulen è associabile a quello “Stato parallelo” denunciato ripetutamente da Erdogan come promotore dopo il 2010 di un paio di tentativi di golpe della vecchia guardia kemalista laica e proisraeliana, coperta e protetta anche da una parte della magistratura, a sua volta artefice di processi per corruzione contro uomini dell’entourage del governo di Ankara. E’ uno “stato” ramificato e diffuso, perché si avvale di due bacini sociali e ideologici turchi convergenti nell’odio verso l’attuale capo di Stato. Da una parte, appunto, i forti residui del kemalismo laico e di derivazione massonica, i Giovani Turchi che nel 1908 rovesciarono l’allora sultano Abdul Hamid per poi procedere durante la grande guerra alle stragi di cristiani armeni. . E dall’altra un islamismo diverso da quello nazionalitario di Erdogan, quello appunto di Fetullah Gelun: un islamismo all’occorrenza proisraeliano. Vedi l’episodio della nave turca della flottilla pro-palestinese attaccata dai soldati di Tel Aviv: in quei giorni di giugno del 2010, mentre Erdogan reagìva con parole dure contro lo Stato ebraico per i 9 morti e per la violazione della sovranità turca su quella imbarcazione di aiuti per Gaza, Gulen criticava l’ONG che aveva organizzato la spedizione: “Ciò cui ho assistito non è stato bello. È stato spiacevole”. Il fallimento degli “organizzatori” nel non aver tentato di raggiungere un accordo con Israele prima di inoltrare i loro aiuti fu da lui giudicato “un segno di sfida all’autorità” che non avrebbe portato “a risultati fruttuosi”. Così il Wall Street Journal del 6 giugno, citato in Wikipedia
Altro che golpe da operetta: è una nuova sconfitta di Israele
La svolta in atto è dunque in tutti i sensi significativa, profonda, altro che golpe da operetta come sostenuto superficialmente da alcuni. Importante non solo per le migliaia di arresti seguiti alla sconfitta dei militari ribelli, ma anche per la nuova sconfitta subita da Israele nello scacchiere: dopo la guerra del 2006 contro il Libano, dopo l’accordo sul nucleare iraniano e dopo l’intervento di Putin a fianco di Assad. Questo è il segno principale del fallito golpe, con le sue propaggini lobbistiche in tutto il mondo e nei paesi occidentali in particolare. Un segnale secondario potrebbe essere la locuzione usata dal ministro degli esteri Gentiloni, che in distonia verbale con la corretta posizione della Mogherini, ha parlato di una mera “iniziativa militare” per definire l’assalto liberticida alla democrazia turca. Ma questo è un aspetto minimale. Quel che conta, e che dà il segno a tutta la vicenda è l’aggancio Gulen-“stato parallelo”-Rodham Clinton. Posto che diventi presidente (si noti al proposito quanto corretta è stata la presa di posizione pur prudente di Donald Trump) la candidata democratica ha già subito la prima disastrosa umiliazione, conseguenza della sua politica di sudditanza a Tel Aviv. E a Erdogan i soliti opinionisti già affibbiano il titolo di Sultano.
Ma è o non è il governo legittimo, eletto democraticamente dal popolo turco? E se c’un golpe bisogna trattare i golpisti con i guanti e considerare come un fatto scandaloso la reazione alla violazione dello stato di diritto con la sospensione dello stato di diritto nei loro confronti, ad hoc e ad personam?
Le incognite sul futuro della Turchia
Ma questo aspetto positivo della vittoria di Erdogan, e la sua reazione dignitosa anche contro la NATO, non vuol dire né che Erdogan denuncerà come suo nemico lo Stato d’Israele – preferendo parlare dei soli e soliti Stati Uniti, senza distinguo interni, e questo nonostante la posizione in suo favore espressa subito da Obama – né che il percorso che imboccherà adesso la Turchia nello scacchiere mediterraneo e vicino orientale non ripeterà gli errori del passato. Il sacrosanto schiaffo in faccia alla base NATO in Turchia – il governo ha staccato la luce, bellissimo – è una misura preventiva contro eventuali interferenze degli ambienti oltranzisti della NATO nel tentato golpe. Ma la NATO, come ha dimostrato anche il vertice di Varsavia, e in quel contesto la netta presa di posizione di Hollande contro la definizione di Putin come nemico o avversario dell’Alleanza, è anche quella che proprio nel mare Egeo, da mesi permette il tranquillo passaggio delle navi russe verso la Siria, a combattere l’Isis già sostenuto da Erdogan e oggi finalmente da lui (dichiaratamente?) rinnegato. La NATO ha paradossalmente aiutato il capo di stato turco a uscire fuori dal cul de sac della connivenza nello scacchiere mediorientale con Israele, il Qatar e l’Arabia saudita,. Che siano forze interne all’Alleanza che abbiano tentato di liquidarlo è sicuramente ben possibile. Ma la distinzione tra Stoltenberg e Rasmussen. il segretario generale dell’aggressione alla Libia, resta.
Si dirà che sono sottigliezze, ma non è così: la distinzione nell’Occidente tra oltranzisti e dialoganti con la Russia di Putin, con i BRIC, con la Cina, è la chiave di volta per capire (gli analisti) e per decidere (i politici). Negli Stati Uniti c’è anche Donald Trump. In questo contesto, il futuro di Erdogan rischia di essere incerto, per il semplice e solito motivo che il nazionalismo ha sempre due facce: quello giusto e sacrosanto di autodifesa, che impone il rispetto della sovranità dello Stato leso nella sua autonomia da complotti sponsorizzati dall’esterno. E quello che pretende di imporre i suoi valori e i suoi contenuti ai Popoli e agli Stati altri. Da questo punto di vista Erdogan ha uno scheletro nell’armadio: è quella tendenza cosiddetta neo-ottomana della Turchia di cui si è parlato anni fa, che in tempi recentissimi lo ha portato a schierarsi contro la Siria di Assad manu armata, e nel 2011 a sostenere gli anglo-francesi contro la Libia di Gheddafi.
Il tentativo di esportare la scelta nazionalitaria e islamica turca in Medio Oriente è allo stesso tempo inconsistente e pericolosa: inconsistente perché fondata su un islam nazionale turco che ha da fare i conti con l’identitarismo arabo di tutti gli altri stati del Medio Oriente, e perché l’Islam di Erdogan non ha nulla da insegnare né all’Islam sciita iraniano o libanese, né a quello di tanti altri sunniti dello scacchiere. Pericolosa perché il cosiddetto neo-ttomanesimo ha una valenza egemonista irrispettosa delle sovranità statali altrui, il tutto a vantaggio di quelle stesse forze che hanno tentato di rovesciare il legittimo governo di Ankara.
Staremo a vedere: per ora la pagina di storia turca del 16 luglio è assolutamente esaltante, ennesimo colpo per i nemici della pace e della cooperazione tra stati che alberga non soltanto nell’Islam mediorientale, ma anche nel mondo occidentale, Israele (ben) compreso.
Fonti:
http://ilmanifesto.info/erdogan-inverte-la-rotta-e-ora-punta-al-dialogo-anche-con-siria-ed-egitto/
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-07-16/chi-sono-militari-che-hanno-tentato-colpo-stato-084824.shtml?uuid=AD3tStt
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-06-29/putin-pace-la-turchia-embargo-prorogato-all-europa–173944.shtml?uuid=ADxx1Ol
http://www.wallstreetitalia.com/chi-ha-creato-lisis-il-figlio-del-presidente-turco/
Followers Of A Mysterious Turkish Islamic Cleric Have Donated Heavily To Hillary’s Campaign And Family Charity
http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2016/6/6/ISIS-Il-doppio-gioco-di-Erdogan-al-confine-siriano/709524/
http://it.sputniknews.com/politica/20160629/3002351/Erdogan-diplomazia-geopolitica.html
P.S. Potrebbe darsi che il colpo di stato sia stato in qualche modo provocato da Erdogan, con il finto volo verso la Germania, e col fine di stanare tutti gli eversori, ma che sia creato dal nulla da lui, come sostiene Antonio Ferrari, è assurdo. Erdogan ha subito almeno un paio di tentati golpe dopo il 2010, e la polemica con e su Gulen è di vecchia data. Ad esempio già nell’ottobre scorso il presidente turco aveva chiesto l’estradizione del suo nemico – potentissimo e ricchissimo, e legato ai Clinton, come da foto allegata e come nessuno ovviamente dice – agli Stati Uniti. Più in generale lo stato kemalista anche dopo le vittorie di Erdogan è rimasto diffuso capillarmente, e sicuramente ha agito da stato nello stato, secondo una tradizione massonica che risale ai Giovani Turchi, Dunque la posizione di Ferrari serve a demonizzare Erdogan e a nascondere il fatto che i golpisti sono veri e sono stati sconfitti, e con loro, appunto, Israele. Tranne che Erdogan, una volta diventato più forte all’interno, non pensi di rimangiarsi l’accordo con la Russia e la promessa del suo ministro di aprire non solo all’Iraq e all’Iran ma anche alla Siria di Assad. Per ora non ci sono segnali in questo senso, né è tale la chiusura della base americana anti-Isis, perché come sempre, bisogna sapere di quali americani si tratti, se quelli legati a Israele e alla sua lobby, o gli americani doc, egemonisti erga omnes magari, ma non disposti a sottomettere la superpotenza USA alle direttive di altri, compreso Netanyahu.
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