Non ci sono innocenti: la vita e le opere di Freda e Ventura
La collega Marina Simeone, ci invia un interessante contributo della presentazione romana del libro, che pubblichiamo per intero.
“Non ci sono innocenti”, romanzo dalle sfumature storiche, edito dalle edizioni Ar e scritto dalla penna riconoscibile e immaginifica di Anna K. Valerio e Silvia Valerio, è stato presentato a Roma. La testata Giustizia Giusta ha voluto organizzare una pubblica presentazione presso il Circolo Trionfale Lazio di Paolo Signorelli, per onorare e rimembrare la vita e l’azione di Franco Giorgio Freda e Giovanni Ventura.
Esili e sorridenti le due scrittrici prendono la parola e la sala ammutolisce, catturata dalla delicatezza dura del racconto. A Silvia Valerio l’onore di ripercorrere le fasi salienti del testo, lei esperta di narrativa e scrittura riesce a sintetizzare perfettamente la storia di fronte alla quale si troverà il lettore. Dal ’67 al’69, senza passare per piazza Fontana, il protagonista del romanzo, Giulio, agisce e induce all’azione le tante presenza quasi secondarie della storia. Figure sbiadite di uomini e donne, dalle diverse inclinazioni, dall’opposto carattere, incorniciano l’Autocrate, definendone meglio i tratti ideali, fisici, interiori. Nella storia principale, squarci di ricordo in corsivo, in cui è l’infanzia di Freda ad evidenziarsi in un, alla fine chiarissimo, incontro con il destino. Le citazioni, le ambientazioni, gli usi e costumi, il tutto è ricostruito con dovizia di particolari tale da permettere un viaggio nel tempo, per accendere il faro sugli anni ombra del ’68, quelli di cui nessuno si ricorda, concependoli come semplice preparazione all’autunno caldo. Eppure è stato allora che un piccolo gruppo padovano, animato dall’Autocrate, stimolato dalla sua volontà, comincia a pensare all’incontro con la sinistra, sulla strada del nemico comune. Il nazimaoismo, come si definirà, era solo la risposta al sistema, che non poteva rappresentare con il suo liberismo, il suo liberalismo, la sua sottomissione americana, le anime di quelli che dalla guerra degli anni ’30 non erano ancora tornati.
Anna Valerio esplicita il messaggio ideale da cui si origina il libro, per niente apologetico, anzi descrittivo del vero in tutte le sue sfumature, che per quanto grigiastre non hanno mai opacizzato lo sguardo limpido di chi nella politica ha smarrito la sua professione, la sua giovinezza, la sua libertà, senza chiedere nulla in cambio, neanche la gratitudine. Giulio e Giuseppe, quindi Freda e Ventua, scelgono in quegli anni la rivoluzione, il cambiamento di una realtà, che poteva avvenire in vario modo, dalla controcultura e la scelta editoriale all’azione diretta e la scelta militante. Giulio appare cinico, ma si lascia impensierire dalla triste storia di Giuseppe; si lascia disturbare dal rancore di Viviana, percossa e violentata dai partigiani; si lascia mordere dalla ricerca della rettitudine. I suoi occhi fermi sui singoli obiettivi abbracciano fino a circoscriverli gli scorci paesaggistici mirabilmente disegnati, non facendo esondare nemmeno la fiumana di sole dorato, con cui Anna e Silvia amano chiudere o cominciare il racconto del giorno. Sotto il suo sguardo si sveste completamente la forza rivoluzionaria di una sinistra urlante e nevrotica, però inconcludente e di una destra reverente verso un eroico passato, tanto da rimanerne vinta. Giulio è un “Anarchico da destra”, sodalizza con i compagni e schernisce i borghesi, disprezza gli americani e i frutti della loro colonizzazione, rigetta l’elemosina partitocratica e il conformismo ideologico. Ama le donne proprie e degli altri, se non intralciano l’impegno politico, il dovere di fare ciò che va fatto, che non “è un obbligo contrattuale a durata definita. Non ha mai fine.” Sorretto da una fascinazione evoliana che ha in odio la diplomazia e il compromesso, quasi quanto la vigliaccheria, Giulio si infiamma dinanzi la mancanza di precisione di un sodale e si incupisce dopo la partenza improvvisa di un amico. Però si eccita imprudentemente nel superare limiti tecnici, che avrebbero potuto compromettere il proposito. Come Anna Valerio ha sostenuto la sua forza è stata la sua limpidità, per mezzo della quale ogni cosa, anche il tritolo diveniva limpido tra le sue mani. L’intento era talmente chiaro, che ogni teorema costruito in seguito era dovuto a ignoranza e sopravvalutazione di quelle che erano le forze concrete; ma in fondo lì dove c’è una volontà c’è una strada.
Il libro sta attraversando l’Italia accompagnato dalle due scrittrici, suscitando critiche positive ed entusiasmo politico; innestando sangue all’interno di un ambiente oramai anemico. E’ la forza della verità con la quale le tante menzogne elargite dallo strapotere dei dominatori si percepiscono appena. Potrebbe essere un ottimo canovaccio per un buon film, rispondente all’intento di raccontare la storia di un’epoca e non di improvvisarne significati, come nel caso di “Romanzo di una strage”, sceneggiata cinematografica in cui al di là dei nomi il resto corrisponde a pura fantasia.
Per arrivare a “Non ci sono innocenti” le nostre scrittrici hanno atteso pazientemente cinque anni. Cinque anni di ricerca e di sperimentazione della verità, non inseguita per difendere un’innocenza negata, ma per affermare un’essenza vissuta all’insegna del coraggio, dell’onore, della fedeltà.
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