Eccidio di Schio: la medaglia al partigiano che uccise 54 italiani
(G.p) Con il termine eccidio di Schio si intende il massacro compiuto nella notte tra il 6 ed il 7 luglio del 1945, ben due mesi dopo la fine della guerra da ex partigani e agenti della Polizia ausiliaria Partigiana che causò la morte di 54 italiani.
Una cerimonia ufficiale, ad aprile, nella sede della prefettura di Vicenza. La consegna di un’onorificenza, la medaglia della Resistenza. Poi la scoperta: sì, quel partigiano è stato un eroe della Liberazione. Ma circa due mesi dopo il 25 aprile — era la notte tra il 6 e il 7 luglio 1945 — Valentino Bortoloso, «Teppa» il suo nome di battaglia, oggi 93 anni vigorosamente portati, si macchiò, assieme ad altri, di un crimine orrendo: quello passato alla storia come «l’eccidio di Schio». Una carneficina che vide la morte di 54 persone, incluse 15 donne, massacrate, come in un’esecuzione, dentro il carcere del borgo veneto che oggi conta 40 mila abitanti.
Condannato a morte, poi l’amnistia
Un mese fa «Teppa» era lì in piedi, nella sala della prefettura: celebrato con quella medaglia pur essendo stato condannato a morte da un tribunale di guerra alleato (era il 1945), pena commutata all’ergastolo e amnistiata nel 1955. Schio è un luogo dove il conflitto mondiale, soprattutto sul finire e con le armate della Wehrmacht in rotta, passò con ferocia. Un paio di episodi su tutti: l’arresto di un partigiano, Giacomo Bagotto, da parte delle Brigate nere. Torturato, seviziato, gli occhi cavati, sotterrato ancora vivo. Poi la strage di Pedescala, località non lontana da Schio: siamo al 30 aprile, i partigiani attaccano un convoglio tedesco diretto al Brennero. Vengono uccisi sei soldati. La rappresaglia non si fa attendere: e il paesotto viene devastato. I morti sono 82.
Il raid nel carcere
Quando il commando di partigiani, in tutto una dozzina, fa irruzione nel carcere di Schio il ricordo di quei sanguinosi precedenti è vivo. Voglia di vendetta e giustizia sommaria si fondono. Poi però si scopre che tra i giustiziati, di fascisti — lo scrive una sentenza del Tribunale di Milano nel 1955 — ce n’erano una ventina al massimo. Vennero uccise delle ragazze — è la ricostruzione dello storico Silvano Villani recensita sul Corriere della Sera da Silvio Bertoldi — perché erano figlie di militari Rsi ed erano nel carcere come fossero ostaggi, per far sì che i padri si consegnassero. Poi una casalinga di 38 anni: un inquilino moroso, per non pagare la pigione, l’aveva denunciata come fascista. «E pure lei cadde sotto i colpi di quell’improvvisato plotone d’esecuzione».
I partigiani medagliati
Il caso è esploso ad aprile. La medaglia della Resistenza viene consegnata (nel corso di un’iniziativa che si celebra da un paio d’anni) a numerosi partigiani in diverse città italiane. A Vicenza sono in 84. Tra loro c’è anche Valentino Bortoloso. Lì per lì nessuno fa caso a quel nome. Poi qualcuno lo riconosce, ricorda il suo passato, ne fa cenno al sindaco di Schio Valter Orsi — che adesso parla di «insignazione inopportuna» — alla guida di una coalizione civica che ha messo tutti all’opposizione: Pd, Forza Italia, Lega e M5S. Il patto per la Concordia E qui conviene fare un passo indietro. Ricordando più in dettaglio quel che successe a Schio, dove nel 2005, per sanare le ferite profonde dovute a quella strage, venne celebrata un’iniziativa bella e forse insolita, in Italia: ovvero il «patto della Concordia», incontri e commemorazioni tra familiari delle vittime e di chi sparò, tenendo sempre in mano il libriccino della Costituzione. «...la nostra fede democratica è perciò oggi sufficientemente matura da indurci a riconoscere come l’Eccidio di Schio — sono le parole agli atti del Comune che accompagnarono all’epoca quell’intesa — fu particolarmente ingiusto e insensato...». «...occorre dunque riconoscere il dolore reciproco non come un fattore di disunione, ma invece come cemento della nostra ritrovata concordia civica».
Ex carabiniere sul fronte russo
«Teppa» aveva 22 anni quando partecipò all’eccidio. Sino all’8 settembre aveva vissuto in divisa: quella da carabiniere. Poi l’invio sul fronte russo, la miracolosa sopravvivenza nella ritirata lungo la steppa. Il ritorno a casa e subito sulle montagne. Dove s’intruppa con la Brigata Garibaldi, partecipa con coraggio a numerose azioni. Imboscate, raid, scontri a fuoco. Sino a quella maledetta notte. Dentro al carcere quei dodici «aprono il fuoco contro tutti e tutte — è la ricostruzione di Bertoldi sul Corriere — sangue a rivoli che fluisce dalle scale fin sulla strada e l’orrore dei primi che accorrono e incrociano gli assassini in ritirata, calmi ma non ancora placati. Al punto di minacciare gli infermieri che portano le barelle e di costringerli a ritirarle». Due mesi dopo Bortoloso viene catturato dalla Military Police Usa. Per farlo parlare lo torturano — raccontò lui — ferocemente. Finisce che confessa. Intanto gli organizzatori dell’eccidio su cui gravano ancora tantissime ombre, rivelerà Massimo Caprara, a lungo segretario di Togliatti, espatriarono all’Est dopo un incontro con lo stesso Togliatti, a Roma.
Chi ha indicato il nome
Resta da chiarire adesso chi abbia indicato «Teppa» tra i partigiani da celebrare. Il sindaco Orsi — che si dice «rammaricato per quel che è successo» in quella cerimonia dove lui si è fatto rappresentare da un assessore — annuncia di voler scrivere al ministero della Difesa «per sapere come sono stati formulati i nomi da insignire e se erano al corrente dei fatti». Dal ministero chiariscono: le valutazioni sui nomi vengono fatte dalle associazioni partigiane, sei nell’albo ufficiale. «È in capo a loro la stesura di quell’elenco».
Tra i protagonisti del massacro, ancora in vita vi è Valentino Bortoloso, di anni 93, che faceva parte del commando della brigata Garibaldi che fece irruzione nelle carcere, dove furono uccisi 54 detenuti, fascisti e no.
Valentino Bortoloso è stata premiato, ad aprile con la consegna di una onorificenza, la Medaglia della resistenza.
Una onorificenza, contestata dal sindaco di Schio, che l'ha definita inopportuna e contro la quale scriverà al ministero per sapere chi l'ha scelto, come ci racconta il collega Alessandro Fulloni dalle colonne de Il corriere della Sera.
Articolo che proponiamo per intero.
Il partigiano Valentino Bortoloso, che oggi ha 93 anni, faceva parte del commando della brigata Garibaldi che fece irruzione nelle carceri. Uccisi 54 detenuti, tra i quali molti fascisti. Il sindaco: «Onoreficenza inopportuna, scriverò al ministero per sapere chi l’ha scelto»
Una cerimonia ufficiale, ad aprile, nella sede della prefettura di Vicenza. La consegna di un’onorificenza, la medaglia della Resistenza. Poi la scoperta: sì, quel partigiano è stato un eroe della Liberazione. Ma circa due mesi dopo il 25 aprile — era la notte tra il 6 e il 7 luglio 1945 — Valentino Bortoloso, «Teppa» il suo nome di battaglia, oggi 93 anni vigorosamente portati, si macchiò, assieme ad altri, di un crimine orrendo: quello passato alla storia come «l’eccidio di Schio». Una carneficina che vide la morte di 54 persone, incluse 15 donne, massacrate, come in un’esecuzione, dentro il carcere del borgo veneto che oggi conta 40 mila abitanti.
Condannato a morte, poi l’amnistia
Un mese fa «Teppa» era lì in piedi, nella sala della prefettura: celebrato con quella medaglia pur essendo stato condannato a morte da un tribunale di guerra alleato (era il 1945), pena commutata all’ergastolo e amnistiata nel 1955. Schio è un luogo dove il conflitto mondiale, soprattutto sul finire e con le armate della Wehrmacht in rotta, passò con ferocia. Un paio di episodi su tutti: l’arresto di un partigiano, Giacomo Bagotto, da parte delle Brigate nere. Torturato, seviziato, gli occhi cavati, sotterrato ancora vivo. Poi la strage di Pedescala, località non lontana da Schio: siamo al 30 aprile, i partigiani attaccano un convoglio tedesco diretto al Brennero. Vengono uccisi sei soldati. La rappresaglia non si fa attendere: e il paesotto viene devastato. I morti sono 82.
Il raid nel carcere
Quando il commando di partigiani, in tutto una dozzina, fa irruzione nel carcere di Schio il ricordo di quei sanguinosi precedenti è vivo. Voglia di vendetta e giustizia sommaria si fondono. Poi però si scopre che tra i giustiziati, di fascisti — lo scrive una sentenza del Tribunale di Milano nel 1955 — ce n’erano una ventina al massimo. Vennero uccise delle ragazze — è la ricostruzione dello storico Silvano Villani recensita sul Corriere della Sera da Silvio Bertoldi — perché erano figlie di militari Rsi ed erano nel carcere come fossero ostaggi, per far sì che i padri si consegnassero. Poi una casalinga di 38 anni: un inquilino moroso, per non pagare la pigione, l’aveva denunciata come fascista. «E pure lei cadde sotto i colpi di quell’improvvisato plotone d’esecuzione».
I partigiani medagliati
Il caso è esploso ad aprile. La medaglia della Resistenza viene consegnata (nel corso di un’iniziativa che si celebra da un paio d’anni) a numerosi partigiani in diverse città italiane. A Vicenza sono in 84. Tra loro c’è anche Valentino Bortoloso. Lì per lì nessuno fa caso a quel nome. Poi qualcuno lo riconosce, ricorda il suo passato, ne fa cenno al sindaco di Schio Valter Orsi — che adesso parla di «insignazione inopportuna» — alla guida di una coalizione civica che ha messo tutti all’opposizione: Pd, Forza Italia, Lega e M5S. Il patto per la Concordia E qui conviene fare un passo indietro. Ricordando più in dettaglio quel che successe a Schio, dove nel 2005, per sanare le ferite profonde dovute a quella strage, venne celebrata un’iniziativa bella e forse insolita, in Italia: ovvero il «patto della Concordia», incontri e commemorazioni tra familiari delle vittime e di chi sparò, tenendo sempre in mano il libriccino della Costituzione. «...la nostra fede democratica è perciò oggi sufficientemente matura da indurci a riconoscere come l’Eccidio di Schio — sono le parole agli atti del Comune che accompagnarono all’epoca quell’intesa — fu particolarmente ingiusto e insensato...». «...occorre dunque riconoscere il dolore reciproco non come un fattore di disunione, ma invece come cemento della nostra ritrovata concordia civica».
Ex carabiniere sul fronte russo
«Teppa» aveva 22 anni quando partecipò all’eccidio. Sino all’8 settembre aveva vissuto in divisa: quella da carabiniere. Poi l’invio sul fronte russo, la miracolosa sopravvivenza nella ritirata lungo la steppa. Il ritorno a casa e subito sulle montagne. Dove s’intruppa con la Brigata Garibaldi, partecipa con coraggio a numerose azioni. Imboscate, raid, scontri a fuoco. Sino a quella maledetta notte. Dentro al carcere quei dodici «aprono il fuoco contro tutti e tutte — è la ricostruzione di Bertoldi sul Corriere — sangue a rivoli che fluisce dalle scale fin sulla strada e l’orrore dei primi che accorrono e incrociano gli assassini in ritirata, calmi ma non ancora placati. Al punto di minacciare gli infermieri che portano le barelle e di costringerli a ritirarle». Due mesi dopo Bortoloso viene catturato dalla Military Police Usa. Per farlo parlare lo torturano — raccontò lui — ferocemente. Finisce che confessa. Intanto gli organizzatori dell’eccidio su cui gravano ancora tantissime ombre, rivelerà Massimo Caprara, a lungo segretario di Togliatti, espatriarono all’Est dopo un incontro con lo stesso Togliatti, a Roma.
Chi ha indicato il nome
Resta da chiarire adesso chi abbia indicato «Teppa» tra i partigiani da celebrare. Il sindaco Orsi — che si dice «rammaricato per quel che è successo» in quella cerimonia dove lui si è fatto rappresentare da un assessore — annuncia di voler scrivere al ministero della Difesa «per sapere come sono stati formulati i nomi da insignire e se erano al corrente dei fatti». Dal ministero chiariscono: le valutazioni sui nomi vengono fatte dalle associazioni partigiane, sei nell’albo ufficiale. «È in capo a loro la stesura di quell’elenco».
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