A Milano mille fiaccole e braccia tese per Borsani, Ramelli e Pedenovi
Si è conclusa pochi minuti fa a Milano la suggestiva cerimonia con cui migliaia di persone hanno ricordato solennemente il sacrificio di Carlo Borsani, Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi, tre vittime dell’odio comunista, assassinati in anni diversi, ma dalle stesse persone e per gli stessi motivi: erano fascisti, e uccidere un fascista allora non era reato. Migliaia di fiaccole accese nella notte milanese e migliaia di braccia tese hanno fatto rabbrividire la piazza di Milano con il loro “Presente!” indirizzato a quei testimoni della loro fede incrollabile in un’Italia migliore. Il nostro mondo, un mondo che proviene dal Movimento Sociale Italiano e, prima ancora, dalla Repubblica Sociale Italiana, attraverso un percorso terribile e straordinario, fatto di sangue ma anche di speranza e di bellezza, sa benissimo chi erano queste tre persone che si sono volute oggi ricordare là dove furono assassinate. Carlo Borsani non lo abbiamo conosciuto, giacché fu assassinato dai partigiani dopo uno dei soliti processi-farsa del 1945, ma anche dal libro che su di lui scrisse Giorgio Almirante, sappiamo che era del 1917 e che durante la Seconda Guerra Mondiale fu ferito gravemente, rimanendo cieco, e meritandosi per il suo eroismo la Medaglia d’Oro al Valor militare, lui vivente. Dopo l’8 settembre 1943 aderì senza esitazioni alla Rsi, dove fu presidente dell’Associazione mutilati e invalidi di guerra e dirigendo il quotidiano La Repubblica fascista, essendo Borsani un letterato e un poeta, oltre che un giornalista. La sera del 25 aprile 1945 lo vide all’albergo Nord di Milano in compagnia di giovani della Decima Mas. Il 26 mattina rifiutò l’offerta del comandante Junio Valerio Borghese che gli aveva proposto l’espatrio. Il giorno successivo, grazie a una spiata, fu catturato e rinchiuso nei sotterranei del Palazzo di Giustizia. Il giorno successivo fu portato insieme a don Tullio Calcagno a piazzale Susa dove fu assassinato con un colpo alla nuca dai partigiani. Il suo cadavere fu gettato su un carretto della spazzatura e al collo gli fu appeso il cartello: “Ex Medaglia d’Oro” e portato in giro per la città per terrorizzare i cittadini. Oggi riposa al cimitero del Musocco, al Campo 10, in compagnia di centinaio di suoi camerati.
I tre crimini sono avvenuti a Milano nel 1945, 1975 e 1976
Il 29 aprile di trent’anni dopo, nel 1975, toccò al giovanissimo Sergio Ramelli, che non aveva neanche vent’anni, morire dopo un sonno di 47 giorni dovuto a una feroce e brutale aggressione sotto casa da parte di un commando di Avanguardia Operaia, che lo aggredì in pieno giorno con pesanti chiavi inglesi, provocandone il coma e poi la morte. Oggi i suoi assassini sono tutti liberi, dopo aver scontato pene a nostro avviso non proporzionate all’efferatezza del crimine. Sergio era uno studente della scuola Molinari, era fiduciario del Fronte della Gioventù, e non aveva mai fatto male a nessuno. Non nascondeva le sue idee, certo, e fu un tema di italiano, in cui aveva ricordato l’eccidio dei sette fratelli Govoni, che lo mise nel bersaglio degli ultrà di sinistra che iniziarono a perseguitarlo, a minacciarlo, fino ad ucciderlo, come avevano fatto con Borsani 30 anni prima. Quando arrivò la notizia della morte del giovane fascista in consiglio comunale a Milano, ci fu chi applaudì e festeggiò. Così andavano le cose nell’Italia degli anni di piombo, gli anni Settanta, quando, come già detto, uccidere un fascista non era reato. Il funerale di Sergio si svolse in un clima surreale, tra le minacce della sinistra e quelle delle forze dell’ordine, che proibirono agli amici di Sergio persino di seguire il funerale in corteo, tanto temevano la furia comunista. In seguito gli esponenti di Avanguardia Operaia si resero protagonisti di altri episodi di intolleranza nei confronti di chi non la pensava come loro. La guerra, da parte loro, fu totale, ogni fascista preso doveva essere ucciso, e lo dimostrarono esattamente un anno dopo, quando proprio il 29 aprile assassinarono il consigliere provinciale del Msi Enrico Pedenovi, 49 anni, avvocato, sposato con figli, ex ragazzo di Salò anch’egli, della Decima. Nel pomeriggio Pedenovi avrebbe dovuto commemorare Sergio Ramelli, ma quel discorso non lo pronunciò mai: alle 7,45 un commando di Prima Linea lo attese al distributore di viale Lombardia dove sapeva che si sarebbe fermato. Gli spararono da due diverse direzioni e lo uccisero. Nel 1984 la corte d’Assise di Milano condannò i tre responsabili a due ergastoli e a 28 anni di reclusione. Dagli atti del processo risultò che Pedenovi era stato scelto sia perché era un bersaglio facilissimo, ma soprattutto perché era il prototipo del missino pericoloso per la sinistra: onesto, perbene, coraggioso, incorruttibile. Andava eliminato. Concludiamo questo racconto ricordando un particolare non molto conosciuto: una notte, a casa Ramelli squillò il telefono. Rispose Mario, il papà, e una voce gli disse: “Adesso tocca a Luigi, ha 48 ore di tempo per sparire”. Luigi era il fratello di Sergio, anche lui del Fronte della Gioventù. Sergio era ancora agonizzante. Dopo il “presente!” gruppi di musica alternativa hanno suonato le canzoni che Sergio amava tanto. Siamo sicuri che quelle note gli sono arrivate.
Il 29 aprile di trent’anni dopo, nel 1975, toccò al giovanissimo Sergio Ramelli, che non aveva neanche vent’anni, morire dopo un sonno di 47 giorni dovuto a una feroce e brutale aggressione sotto casa da parte di un commando di Avanguardia Operaia, che lo aggredì in pieno giorno con pesanti chiavi inglesi, provocandone il coma e poi la morte. Oggi i suoi assassini sono tutti liberi, dopo aver scontato pene a nostro avviso non proporzionate all’efferatezza del crimine. Sergio era uno studente della scuola Molinari, era fiduciario del Fronte della Gioventù, e non aveva mai fatto male a nessuno. Non nascondeva le sue idee, certo, e fu un tema di italiano, in cui aveva ricordato l’eccidio dei sette fratelli Govoni, che lo mise nel bersaglio degli ultrà di sinistra che iniziarono a perseguitarlo, a minacciarlo, fino ad ucciderlo, come avevano fatto con Borsani 30 anni prima. Quando arrivò la notizia della morte del giovane fascista in consiglio comunale a Milano, ci fu chi applaudì e festeggiò. Così andavano le cose nell’Italia degli anni di piombo, gli anni Settanta, quando, come già detto, uccidere un fascista non era reato. Il funerale di Sergio si svolse in un clima surreale, tra le minacce della sinistra e quelle delle forze dell’ordine, che proibirono agli amici di Sergio persino di seguire il funerale in corteo, tanto temevano la furia comunista. In seguito gli esponenti di Avanguardia Operaia si resero protagonisti di altri episodi di intolleranza nei confronti di chi non la pensava come loro. La guerra, da parte loro, fu totale, ogni fascista preso doveva essere ucciso, e lo dimostrarono esattamente un anno dopo, quando proprio il 29 aprile assassinarono il consigliere provinciale del Msi Enrico Pedenovi, 49 anni, avvocato, sposato con figli, ex ragazzo di Salò anch’egli, della Decima. Nel pomeriggio Pedenovi avrebbe dovuto commemorare Sergio Ramelli, ma quel discorso non lo pronunciò mai: alle 7,45 un commando di Prima Linea lo attese al distributore di viale Lombardia dove sapeva che si sarebbe fermato. Gli spararono da due diverse direzioni e lo uccisero. Nel 1984 la corte d’Assise di Milano condannò i tre responsabili a due ergastoli e a 28 anni di reclusione. Dagli atti del processo risultò che Pedenovi era stato scelto sia perché era un bersaglio facilissimo, ma soprattutto perché era il prototipo del missino pericoloso per la sinistra: onesto, perbene, coraggioso, incorruttibile. Andava eliminato. Concludiamo questo racconto ricordando un particolare non molto conosciuto: una notte, a casa Ramelli squillò il telefono. Rispose Mario, il papà, e una voce gli disse: “Adesso tocca a Luigi, ha 48 ore di tempo per sparire”. Luigi era il fratello di Sergio, anche lui del Fronte della Gioventù. Sergio era ancora agonizzante. Dopo il “presente!” gruppi di musica alternativa hanno suonato le canzoni che Sergio amava tanto. Siamo sicuri che quelle note gli sono arrivate.
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