Dal boom del ’93 alla rissa finale. L’eterno congresso degli ex An
(G.p)Dalla mancata elezioni dell'allora segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale Gianfranco Fini, alla diaspora del 2016. Dal marciare compatti per Fini, il nostro Mussolini alla attuale balcanizzazione della "destr-utta" per dirla alla maniera di Pietrangelo Buttafuoco.
Il collega Antonio Rapisarda, dalle colonne de Il Tempo, storico quotidiano romano, con un interessante articolo, che proponiamo per intero, descrive la parabola negativa della destra romana, capace in poco più di un ventennio, di passare dal 30% dei consensi, all'attuale situazione di marginalismo politico.
Dal miracolo sfiorato del ’93 alla piaga nel deserto della diaspora del 2016. Dal marciare compatti per «Fi-ni-sinda-co» alla balcanizzazione della «destr-utta» per dirla con Pietrangelo Buttafuoco. Ai nipoti della Fiamma - da Amministrative ad Amministrative - a Roma si è ristretto lo spazio, in una città dove la destra non è mai stata un dettaglio né pura testimonianza ma militanza diffusa e pezzo di storia tracciato sui muri e fissato sulle lapidi dei martiri. Eppure, per la prima volta dalla fine della Prima Repubblica i postfascisti rischiano davvero di uscire dai titoli di apertura della Capitale, di risultare comparse, terzi nemmeno incomodi. Del resto tra chi sostiene Guido Bertolaso, ex Dc con simpatie rutelliane; chi Alfio Marchini, costruttore e finanziere con il cuore - di famiglia - a sinistra (vedremo se avrà il portafogli a destra); chi Francesco Storace, quello di destra (che sembra una notizia); e chi ancora la galassia di candidati identitari, il gradino massimo del podio a cui aspirare rimane il terzo.
Eppure, quando ancora si chiamava Movimento Sociale italiano, ci fu un momento in cui la destra a Roma sognava unita la conquista in solitaria del Campidoglio, con Gianfranco Fini che al secondo turno perdeva con Rutelli ma con un partito che superava il 30%; un momento in cui - qualche anno dopo - le sezioni di An erano prese di assalto non dagli antifascisti ma dai cittadini per tesserarsi. Era una stagione in cui a destra non mancava di certo lo scontro ma si risolveva (anche con le sediate in testa) all’interno del partito: prima «rautiani» contro «almirantiani» poi «sociali» contro «protagonisti», con le fazioni che se le davano però mettendo in campo anche contenuti, immaginario, miti.
Con la fine di An e la rapida implosione del Pdl, le truppe si sono tramutate in clan. Non prima, però, del colpaccio. Nel segno di una unità «di scopo» si arrivò infatti alla vittoria impensabile: quella di Gianni Alemanno nel 2008, un postmissino al Campidoglio. In quella notte, tra braccia levate in segno di vittoria, una comunità sembrava aver trovato finalmente l’occasione per ristabilire una pax tra le tribù: quelle che, fin dal Fronte della Gioventù degli anni ’80, si erano date battaglia. E invece fu l’inizio della frammentazione: da una parte l’opposizione di Francesco Storace - da tempo in rotta con gli aennini - dall’altra la divaricazione («l’eterna lotta», come si dice tra chi conosce l’antropologia della destra romana) tra Colle Oppio e Trieste Salario, per dirlo con una metonimia. È su questa direttrice che si innesta lo scontro tra le sezioni che vedono di casa rispettivamente la corrente di Fabio Rampelli, uomo-partito di Fratelli d’Italia, e Andrea Augello, già rautiano e oggi sponsor del civico Marchini dopo la parentesi in Ncd. Se questo è il processo micro (all’interno del quale si innestano codici e ritualità irriducibili), dal punto di vista macro è la crisi tra Fini presidente della Camera e Silvio Berlusconi premier a rompere gli argini. Venendo meno il riferimento nazionale le carte si sono rimescolate tra chi - mai finiano - seguirà l’ex leader in Fli, come Umberto Croppi, e chi - da ex colonnello finiano, come Maurizio Gasparri - resterà nel Pdl.
Col ritorno a Forza Italia la situazione si ingarbuglia: al centro nasce il partito di Alfano (al quale aderiranno diversi augelliani), a fine 2012 Giorgia Meloni e Fabio Rampelli avevano già fondato FdI. Nemmeno i funerali a Roma diventano un momento di riconciliazione: a quello di Pino Rauti, ad esempio, Gianfranco Fini - l’avversario interno di sempre - fu duramente contestato e costretto ad andare via. E nemmeno sul patrimonio storico comune - come il simbolo, la Fiamma - i contendenti risparmieranno i regolamenti di conti: l’assemblea della Fondazione An, infatti, altro non è stata che l’ennesima tappa del congresso «missino».
Si arriva così all’appuntamento centrale - Roma - in ordine che più sparso non si può: ragion per cui non stupisce più che un avversario di Storace come Fini sia uno dei suoi sponsor per il Campidoglio; che ex An come Barbara Saltamartini sia oggi tra le speaker di Matteo Salvini a Roma; che con Marchini si siano schierati pezzi importanti della comunità del Trieste Salario e che dietro al veto di FdI su Alfio non è difficile riscontrare anche le antichi ruggini dell’«eterna lotta». Eppure negli ultimi giorni un’occasione di concordia c’è stata: la consegna del Premio intitolato a Pinuccio Tatarella - il ministro dell’Armonia scomparso nel 1999 - dove si sono incontrati Fini, La Russa, Gasparri, Matteoli. Foto di un’era fa. Quando le sedie volavano in casa. E per la destra non c’era niente «maggior di Roma...».
Il collega Antonio Rapisarda, dalle colonne de Il Tempo, storico quotidiano romano, con un interessante articolo, che proponiamo per intero, descrive la parabola negativa della destra romana, capace in poco più di un ventennio, di passare dal 30% dei consensi, all'attuale situazione di marginalismo politico.
Dal miracolo sfiorato del ’93 alla piaga nel deserto della diaspora del 2016. Dal marciare compatti per «Fi-ni-sinda-co» alla balcanizzazione della «destr-utta» per dirla con Pietrangelo Buttafuoco. Ai nipoti della Fiamma - da Amministrative ad Amministrative - a Roma si è ristretto lo spazio, in una città dove la destra non è mai stata un dettaglio né pura testimonianza ma militanza diffusa e pezzo di storia tracciato sui muri e fissato sulle lapidi dei martiri. Eppure, per la prima volta dalla fine della Prima Repubblica i postfascisti rischiano davvero di uscire dai titoli di apertura della Capitale, di risultare comparse, terzi nemmeno incomodi. Del resto tra chi sostiene Guido Bertolaso, ex Dc con simpatie rutelliane; chi Alfio Marchini, costruttore e finanziere con il cuore - di famiglia - a sinistra (vedremo se avrà il portafogli a destra); chi Francesco Storace, quello di destra (che sembra una notizia); e chi ancora la galassia di candidati identitari, il gradino massimo del podio a cui aspirare rimane il terzo.
Eppure, quando ancora si chiamava Movimento Sociale italiano, ci fu un momento in cui la destra a Roma sognava unita la conquista in solitaria del Campidoglio, con Gianfranco Fini che al secondo turno perdeva con Rutelli ma con un partito che superava il 30%; un momento in cui - qualche anno dopo - le sezioni di An erano prese di assalto non dagli antifascisti ma dai cittadini per tesserarsi. Era una stagione in cui a destra non mancava di certo lo scontro ma si risolveva (anche con le sediate in testa) all’interno del partito: prima «rautiani» contro «almirantiani» poi «sociali» contro «protagonisti», con le fazioni che se le davano però mettendo in campo anche contenuti, immaginario, miti.
Con la fine di An e la rapida implosione del Pdl, le truppe si sono tramutate in clan. Non prima, però, del colpaccio. Nel segno di una unità «di scopo» si arrivò infatti alla vittoria impensabile: quella di Gianni Alemanno nel 2008, un postmissino al Campidoglio. In quella notte, tra braccia levate in segno di vittoria, una comunità sembrava aver trovato finalmente l’occasione per ristabilire una pax tra le tribù: quelle che, fin dal Fronte della Gioventù degli anni ’80, si erano date battaglia. E invece fu l’inizio della frammentazione: da una parte l’opposizione di Francesco Storace - da tempo in rotta con gli aennini - dall’altra la divaricazione («l’eterna lotta», come si dice tra chi conosce l’antropologia della destra romana) tra Colle Oppio e Trieste Salario, per dirlo con una metonimia. È su questa direttrice che si innesta lo scontro tra le sezioni che vedono di casa rispettivamente la corrente di Fabio Rampelli, uomo-partito di Fratelli d’Italia, e Andrea Augello, già rautiano e oggi sponsor del civico Marchini dopo la parentesi in Ncd. Se questo è il processo micro (all’interno del quale si innestano codici e ritualità irriducibili), dal punto di vista macro è la crisi tra Fini presidente della Camera e Silvio Berlusconi premier a rompere gli argini. Venendo meno il riferimento nazionale le carte si sono rimescolate tra chi - mai finiano - seguirà l’ex leader in Fli, come Umberto Croppi, e chi - da ex colonnello finiano, come Maurizio Gasparri - resterà nel Pdl.
Col ritorno a Forza Italia la situazione si ingarbuglia: al centro nasce il partito di Alfano (al quale aderiranno diversi augelliani), a fine 2012 Giorgia Meloni e Fabio Rampelli avevano già fondato FdI. Nemmeno i funerali a Roma diventano un momento di riconciliazione: a quello di Pino Rauti, ad esempio, Gianfranco Fini - l’avversario interno di sempre - fu duramente contestato e costretto ad andare via. E nemmeno sul patrimonio storico comune - come il simbolo, la Fiamma - i contendenti risparmieranno i regolamenti di conti: l’assemblea della Fondazione An, infatti, altro non è stata che l’ennesima tappa del congresso «missino».
Si arriva così all’appuntamento centrale - Roma - in ordine che più sparso non si può: ragion per cui non stupisce più che un avversario di Storace come Fini sia uno dei suoi sponsor per il Campidoglio; che ex An come Barbara Saltamartini sia oggi tra le speaker di Matteo Salvini a Roma; che con Marchini si siano schierati pezzi importanti della comunità del Trieste Salario e che dietro al veto di FdI su Alfio non è difficile riscontrare anche le antichi ruggini dell’«eterna lotta». Eppure negli ultimi giorni un’occasione di concordia c’è stata: la consegna del Premio intitolato a Pinuccio Tatarella - il ministro dell’Armonia scomparso nel 1999 - dove si sono incontrati Fini, La Russa, Gasparri, Matteoli. Foto di un’era fa. Quando le sedie volavano in casa. E per la destra non c’era niente «maggior di Roma...».
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