«Mi salvai ad Acca Larentia Cerco la verità sulla strage»
(G.p)Il collega Antonio Rapisarda dalle colonne de Il Tempo, storico quotidiano romano, intervista Maurizio Lupini uno dei sopravvissuti alla strage di Acca Larentia dove persero la vita tre militanti del Fronte della Gioventù, raggruppamento giovanile del Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale: due, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavetta colpiti a morte da una raffica di mitra Skorpion sparata alle loro spalle, Stefano Recchioni, per un colpo di pistola esploso da un carabiniere dopo momenti di tensioni tra militanti missini e forze dell'ordine.
Lupini, come vive ogni 7 gennaio?
«Ho paragonato il mio trauma a quello di chi ha subìto l’attacco alle Torri gemelle. Da quel giorno nulla è stato più come prima. A vent’anni il sogno è immaginare ciò che avverrà: quando ti trovi spezzata la realtà, invece, ti cambia la vita. Ogni Capodanno per me è traumatico, i colpi dei botti ricordano i colpi di pistola. Perché la strage è avvenuta giusto qualche giorno dopo...».
Le ultime rivelazioni sugli assassini cambiano qualcosa?
«Leggendo le dichiarazioni dell’ex brigatista Etro emerge un quadro: la circostanza del terrorismo di allora era divisa in due parti, una ancorata all’antifascismo militante. È stata quella che ha scaturito la strage: a pensarci bene potrebbe risultare la più verosimile. Io ho pensato per anni a un attentato nel clima del sequestro Moro: l’ho sempre ricondotto a un diversivo militare per alzare il livello di tensione a Roma. Quello che dice Etro mi sconfessa: perché sostiene che ci sia stato un diverbio tra di loro, con una frangia che era discorde a compiere questa iniziativa che gli poteva creare problemi sul sequestro».
Come vi sentivate a essere vittime della caccia alle streghe?
«Quell’odio lo percepivano ma non ce ne facevamo una ragione. Noi rivendicavamo le conquiste sociali, che come tali non potevano essere né di destra né di sinistra. Cercammo pure dei contatti e riuscimmo a imbastire un discorso di distensione, ma è sempre prevalsa la pregiudiziale antifascista e la terribile frase "uccidere un fascista non è reato"».
Lei ha perso uno dei suoi migliori amici quel giorno.
«Francesco Ciavatta, con il quale avevo condiviso amicizia, ideali, militanza. Da quella circostanza ho avuto una pace interiore però, non ho mai avuto voglia di vendette né coltivato odio».
Come si vive sapendo che su quella strage non è stata mai fatta giustizia?
«Ho pensato e sperato sempre che la verità emergesse. Sarebbe bello, a distanza di tanti anni e dopo che gli odi sono scemati, che venisse fuori. Non per mandare in galera qualcuno, ma per conoscere la verità. Non solo su Acca Larenzia».
Lei ha deciso di continuare a fare politica.
«Ho continuato con la coscienza di voler cambiare le cose vivendo la realtà non rimanendo sulla nuvoletta. In un primo periodo l’ho vissuta molto marginalmente, poi quando è emersa la peggiore politica, la corruzione, mi sono chiesto: perché la parte migliore del Paese sta in stand-by? Perché non rimettersi in gioco e cercare di cambiare? Mi sono sentito in dovere di farlo pure per rispetto dei ragazzi di Acca Larenzia».
Come ha deciso di trascorrere questo 7 gennaio?
«Abbiamo pensato di celebrare una messa per ricordare in silenzio. Meditare per immergersi in quel momento avvenuto trentotto anni fa: è il modo giusto per onorare quei ragazzi. Sono tre anni che, personalmente, non vado ad Acca Larenzia proprio perché non ho condiviso che ci siano gruppi che si arrogano il diritto di rivendicare il ricordo. Il ricordo è di una comunità intera per i messaggi positivi che da questa sono giunti. Il ricordo di ragazzi che avrebbero voluto vivere come noi e oggi non ci sono più».
Lupini, come vive ogni 7 gennaio?
«Ho paragonato il mio trauma a quello di chi ha subìto l’attacco alle Torri gemelle. Da quel giorno nulla è stato più come prima. A vent’anni il sogno è immaginare ciò che avverrà: quando ti trovi spezzata la realtà, invece, ti cambia la vita. Ogni Capodanno per me è traumatico, i colpi dei botti ricordano i colpi di pistola. Perché la strage è avvenuta giusto qualche giorno dopo...».
Le ultime rivelazioni sugli assassini cambiano qualcosa?
«Leggendo le dichiarazioni dell’ex brigatista Etro emerge un quadro: la circostanza del terrorismo di allora era divisa in due parti, una ancorata all’antifascismo militante. È stata quella che ha scaturito la strage: a pensarci bene potrebbe risultare la più verosimile. Io ho pensato per anni a un attentato nel clima del sequestro Moro: l’ho sempre ricondotto a un diversivo militare per alzare il livello di tensione a Roma. Quello che dice Etro mi sconfessa: perché sostiene che ci sia stato un diverbio tra di loro, con una frangia che era discorde a compiere questa iniziativa che gli poteva creare problemi sul sequestro».
Come vi sentivate a essere vittime della caccia alle streghe?
«Quell’odio lo percepivano ma non ce ne facevamo una ragione. Noi rivendicavamo le conquiste sociali, che come tali non potevano essere né di destra né di sinistra. Cercammo pure dei contatti e riuscimmo a imbastire un discorso di distensione, ma è sempre prevalsa la pregiudiziale antifascista e la terribile frase "uccidere un fascista non è reato"».
Lei ha perso uno dei suoi migliori amici quel giorno.
«Francesco Ciavatta, con il quale avevo condiviso amicizia, ideali, militanza. Da quella circostanza ho avuto una pace interiore però, non ho mai avuto voglia di vendette né coltivato odio».
Come si vive sapendo che su quella strage non è stata mai fatta giustizia?
«Ho pensato e sperato sempre che la verità emergesse. Sarebbe bello, a distanza di tanti anni e dopo che gli odi sono scemati, che venisse fuori. Non per mandare in galera qualcuno, ma per conoscere la verità. Non solo su Acca Larenzia».
Lei ha deciso di continuare a fare politica.
«Ho continuato con la coscienza di voler cambiare le cose vivendo la realtà non rimanendo sulla nuvoletta. In un primo periodo l’ho vissuta molto marginalmente, poi quando è emersa la peggiore politica, la corruzione, mi sono chiesto: perché la parte migliore del Paese sta in stand-by? Perché non rimettersi in gioco e cercare di cambiare? Mi sono sentito in dovere di farlo pure per rispetto dei ragazzi di Acca Larenzia».
Come ha deciso di trascorrere questo 7 gennaio?
«Abbiamo pensato di celebrare una messa per ricordare in silenzio. Meditare per immergersi in quel momento avvenuto trentotto anni fa: è il modo giusto per onorare quei ragazzi. Sono tre anni che, personalmente, non vado ad Acca Larenzia proprio perché non ho condiviso che ci siano gruppi che si arrogano il diritto di rivendicare il ricordo. Il ricordo è di una comunità intera per i messaggi positivi che da questa sono giunti. Il ricordo di ragazzi che avrebbero voluto vivere come noi e oggi non ci sono più».
Condivido pienamente il desiderio di Maurizio, quello di conoscere "la verità" su quanto accadde quel giorno ad Acca Larentia (...non per mandare in galera qualcuno...) però finchè non si aprirà un vero Tribunale della Verità - per intenderci, sulla falsa riga di quanto avvenne in Sudafrica, dopo la fine dell'Apartheid - su tutto quel periodo storico, da Piazza Fontana in poi, non ne usciremo mai... La verità in cambio dell'Impunità... Vogliamo parlarne? O qualcuno ha davvero paura di conoscerla, quella verità?
RispondiElimina