Msi e la fiamma, una storia di destra
(G.p)Il 26 dicembre del 1946 un gruppo, composto da pochi pionieri, reduci dalla sconfitta della seconda guerra mondiale fondarono, a Roma, il Movimento sociale Italiano. Il collega Antonio Rapisarda, dalle colonne de il Tempo, storico quotidiano romano, con un interessante articolo, che proponiamo per interno, ci descrive vita, morte e miracoli di questo storico partito, dal '48 agli exploit del '72 e del 93, il successo del 27 marzo 1994 con tre ministri di cultura e provenienza missina nel primo governo Berlusconi, fino ai nostri giorni, dove il partito unico della destra, di tradizione post missina non esiste più e ci sono diversi soggetti politici che si richiamano a quella esperienza.
Sessantanove anni fa veniva accesa la fiamma che rappresenterà la casa per la vasta comunità degli sconfitti italiani – o «esuli in Patria» - della Seconda guerra mondiale e che ancora oggi rappresenta un patrimonio guardato con rispetto e nostalgia da un’ampia fetta di Paese e come un testimone da rivendicare da parte dei suoi epigoni in diaspora. In quel 26 dicembre 1946 con il Movimento sociale italiano i pionieri (molti dirigenti del regime fascista ma soprattutto reduci della Repubblica Sociale Italiana), riuniti nello studio del gerarca romano Arturo Michelini, firmavano l’atto costitutivo del movimento che rappresenterà per cinquant’anni la destra politica in Italia e che fin dal nome si richiamava all’esperienza radicale e «rivoluzionaria» della Repubblica di Salò. La genesi del partito, diretta espressione dell’esperienza appena conclusa del Ventennio, è preparata dai forum aperti da riviste molto vivaci: dal Meridiano d’Italia a Rataplan , fino a Rivolta ideale . Fin dalla sua fondazione il Msi sarà animato dalla caratteristica che lo differenzierà dai movimenti nostalgici: quella di porsi, cioè, come movimento che agisce pienamente all’interno del regime democratico. Non a caso – dopo un inizio burrascoso, reso per lo meno agibile dall’amnistia di Togliatti – fin dal primo momento inizia a conquistare porzioni sempre più importanti di opinione pubblica.
PRIME AFFERMAZIONI E MICHELINI Nel 1948, ad esempio, alle Politiche conquisterà il 2,1% alla Camera, ossia sei deputati. Accanto alla battaglia parlamentare e testimoniale, il Msi nel suo sviluppo si caratterizzerà per le campagne a sostegno di cause dimenticate (o ostracizzate) dai grandi partiti di allora: lo si vedrà a cavallo tra gli anni ’50 e i ’60 in prima fila alle manifestazioni per Trieste italiana così come a sostegno dell’identità tricolore di Bolzano. All’interno del Msi, pur nella ridotta agibilità politica, si sviluppa fin da subito una dialettica vivace tra le anime della famiglia post-fascista: caratteristica che rappresenterà una costante della particolarità missina. Ha fatto scuola, ad esempio, la convivenza tra le anime antinomiche che diventerà staffetta: dopo la prima segreteria del «socializzatore» Giorgio Almirante, infatti, è Arturo Michelini dal 1954 a occupare la segreteria. Uomo mite e preoccupato di far entrare la destra nel gioco politico ufficiale quest’ultimo, esponente della sinistra missina, colto e radicale il primo, la stagione dell’«entrista» Michelini si schianterà davanti al primo vero successo di strategia politica: l’appoggio al governo del democristiano Tambroni, rovinato dalla scelta di tenere il congresso missino della «vittoria» a Genova nel 1960.
LA SEGRETERIA ALMIRANTE Segue una stagione di forte isolamento per i missini (sorge l’arco costituzionale) e la nascita di fatto dell’antifascismo sistematico di massa. Con la scomparsa del moderato Michelini tocca nuovamente ad Almirante (che era stato di fatto il primo segretario dal ’47 al ’50) gestire un partito tenuto scientificamente ai margini del sistema. Proprio qui Almirante dimostrerà quelle capacità che lo hanno reso il leader scolpito nell’immaginario della destra: a parte le grandi doti oratorie, il segretario dal 1969 alternò politica antisistema a progetti visionari di «grande destra». Ciò portò al «trionfo» delle elezioni del 1972 – con il Msi, diventato Msi-Destra nazionale grazie all’alleanza con i Monarchici - che arrivò a sfiorare il 9% con picchi a due cifre al Centro-Sud e a Roma. Vittoria di Pirro, però, in quanto non bastarono questi risultati per accreditare il Msi all’interno dell’arco: veniva ancora percepito come estraneo al sistema democratico, e non bastarono gli innesti di personalità non legate al passato fascista per rompere l’isolamento. Assieme a questo Almirante dovette far fronte da una parte alla drammatica scissione interna (rimasta di vertice) di Democrazia nazionale, dall’altra all’odio antifascista riversatosi violentemente contro i giovani del Fronte della Gioventù e contro quadri e dirigenti missini.
FINISCE UN’ERA. ARRIVA FINI Gli anni ’80 e l’avvento della stagione Craxi rappresentano la prima riapertura di canali ufficiali per l’Msi: la riforma in senso presidenzialista, ad esempio, avvicinava non di poco i due segretari, mentre nelle scuole gli studenti missini ricominciavano a mietere affermazioni in nome del «contropotere studentesco». Poco prima della sua morte Almirante indicò Gianfranco Fini, allora segretario del Fdg, come suo delfino ed erede. Dall’87, passando per la caduta del Muro di Berlino, fino al congresso di Fiuggi – a parte la breve parentesi di Pino Rauti alla segreteria – sarà Fini a traghettare il Msi dalla onorata marginalità antisistema al sogno considerato irrealizzabile: diventare forza di governo. Il banco di prova – dopo aver cavalcato la protesta giustizialista con Tangentopoli – arriva alle elezioni comunali del ’93: qui Fini registrò l’exploit personale sfiorando addirittura il successo al secondo turno contro Francesco Rutelli a Roma. La grande occasione è solo rimandata: saranno le Politiche del 1994 a sancire l’arrivo del Msi al governo del Paese con tre ministri nel primo governo Berlusconi. Secondo i dirigenti missini del tempo, però, quel traguardo richiedeva la creazione di un nuovo soggetto politico inclusivo a partire dalla destra: con questo spirito nel gennaio del ’95 si tenne il congresso di Fiuggi che sancì il passaggio (non senza traumi, fuoriuscite e infinite polemiche) dal Msi ad Alleanza nazionale.
E OGGI? Dopo lo scioglimento di An nel Pdl, avvenuto nel 2009, e ben tre esperienze di destra di governo, la destra italiana oggi è priva del suo partito unico. Gli eredi della Fiamma, infatti, sono divisi in diversi soggetti che si richiamano direttamente a quella tradizione che riacquista ulteriore valore dopo il non esaltante «ventennio di governo». Segno, questo, che quel simbolo possiede ancora valore, peso specifico e suscita non solo fascino tra gli eredi di una storia nata quel 26 dicembre del ’46.
PRIME AFFERMAZIONI E MICHELINI Nel 1948, ad esempio, alle Politiche conquisterà il 2,1% alla Camera, ossia sei deputati. Accanto alla battaglia parlamentare e testimoniale, il Msi nel suo sviluppo si caratterizzerà per le campagne a sostegno di cause dimenticate (o ostracizzate) dai grandi partiti di allora: lo si vedrà a cavallo tra gli anni ’50 e i ’60 in prima fila alle manifestazioni per Trieste italiana così come a sostegno dell’identità tricolore di Bolzano. All’interno del Msi, pur nella ridotta agibilità politica, si sviluppa fin da subito una dialettica vivace tra le anime della famiglia post-fascista: caratteristica che rappresenterà una costante della particolarità missina. Ha fatto scuola, ad esempio, la convivenza tra le anime antinomiche che diventerà staffetta: dopo la prima segreteria del «socializzatore» Giorgio Almirante, infatti, è Arturo Michelini dal 1954 a occupare la segreteria. Uomo mite e preoccupato di far entrare la destra nel gioco politico ufficiale quest’ultimo, esponente della sinistra missina, colto e radicale il primo, la stagione dell’«entrista» Michelini si schianterà davanti al primo vero successo di strategia politica: l’appoggio al governo del democristiano Tambroni, rovinato dalla scelta di tenere il congresso missino della «vittoria» a Genova nel 1960.
LA SEGRETERIA ALMIRANTE Segue una stagione di forte isolamento per i missini (sorge l’arco costituzionale) e la nascita di fatto dell’antifascismo sistematico di massa. Con la scomparsa del moderato Michelini tocca nuovamente ad Almirante (che era stato di fatto il primo segretario dal ’47 al ’50) gestire un partito tenuto scientificamente ai margini del sistema. Proprio qui Almirante dimostrerà quelle capacità che lo hanno reso il leader scolpito nell’immaginario della destra: a parte le grandi doti oratorie, il segretario dal 1969 alternò politica antisistema a progetti visionari di «grande destra». Ciò portò al «trionfo» delle elezioni del 1972 – con il Msi, diventato Msi-Destra nazionale grazie all’alleanza con i Monarchici - che arrivò a sfiorare il 9% con picchi a due cifre al Centro-Sud e a Roma. Vittoria di Pirro, però, in quanto non bastarono questi risultati per accreditare il Msi all’interno dell’arco: veniva ancora percepito come estraneo al sistema democratico, e non bastarono gli innesti di personalità non legate al passato fascista per rompere l’isolamento. Assieme a questo Almirante dovette far fronte da una parte alla drammatica scissione interna (rimasta di vertice) di Democrazia nazionale, dall’altra all’odio antifascista riversatosi violentemente contro i giovani del Fronte della Gioventù e contro quadri e dirigenti missini.
FINISCE UN’ERA. ARRIVA FINI Gli anni ’80 e l’avvento della stagione Craxi rappresentano la prima riapertura di canali ufficiali per l’Msi: la riforma in senso presidenzialista, ad esempio, avvicinava non di poco i due segretari, mentre nelle scuole gli studenti missini ricominciavano a mietere affermazioni in nome del «contropotere studentesco». Poco prima della sua morte Almirante indicò Gianfranco Fini, allora segretario del Fdg, come suo delfino ed erede. Dall’87, passando per la caduta del Muro di Berlino, fino al congresso di Fiuggi – a parte la breve parentesi di Pino Rauti alla segreteria – sarà Fini a traghettare il Msi dalla onorata marginalità antisistema al sogno considerato irrealizzabile: diventare forza di governo. Il banco di prova – dopo aver cavalcato la protesta giustizialista con Tangentopoli – arriva alle elezioni comunali del ’93: qui Fini registrò l’exploit personale sfiorando addirittura il successo al secondo turno contro Francesco Rutelli a Roma. La grande occasione è solo rimandata: saranno le Politiche del 1994 a sancire l’arrivo del Msi al governo del Paese con tre ministri nel primo governo Berlusconi. Secondo i dirigenti missini del tempo, però, quel traguardo richiedeva la creazione di un nuovo soggetto politico inclusivo a partire dalla destra: con questo spirito nel gennaio del ’95 si tenne il congresso di Fiuggi che sancì il passaggio (non senza traumi, fuoriuscite e infinite polemiche) dal Msi ad Alleanza nazionale.
E OGGI? Dopo lo scioglimento di An nel Pdl, avvenuto nel 2009, e ben tre esperienze di destra di governo, la destra italiana oggi è priva del suo partito unico. Gli eredi della Fiamma, infatti, sono divisi in diversi soggetti che si richiamano direttamente a quella tradizione che riacquista ulteriore valore dopo il non esaltante «ventennio di governo». Segno, questo, che quel simbolo possiede ancora valore, peso specifico e suscita non solo fascino tra gli eredi di una storia nata quel 26 dicembre del ’46.
RispondiEliminaPiccola storia di come la democrazia, prenda "in ostaggio" il neofascismo , rendendolo innocuo nel corso degli anni per portarlo lentamente ed inesorabilmente alla sua liquidazione/dissoluzione e senza grossi incidenti di percorso.
A parte il fatto che a distanza di 70 anni , molti di quei figli dispersi,
si sentono (.... per fortuna) ancora estranei " alla attuale democrazia ".