"Saluto a Ramelli, condannato ma non mi pento"
(G.p) Oggi, lo storico quotidiano milanese "Il Giornale" pubblica considerazioni di Federico Goglio, in arte Skoll sulla condanna ricevuta per la commemorazione di Carlo Borsani, Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi. E' una sorta di lettera, di articolo, principalmente sullo spirito che anima il corteo commemorativo del 29 aprile che pubblichiamo per intero.
"Saluto a Ramelli, condannato ma non mi pento"
Per Goglio "il Fascismo non c'entra nulla, un rito per tre italiani uccisi"
Non ricordo esattamente la mia prima volta al corteo commemorativo di Carlo, Sergio ed Enrico.
Ricordo però che allora, come oggi, avrei voluto che tutti gli assenti fossero lì a vedere con i loro occhi quello che accadeva. Su quella commemorazione si scriveva di tutto. Oggi nulla è cambiato. E a me resta quel desiderio. Una commemorazione silenziosa, fatta di ragazzi, famiglie, bambini che partecipano a un rito che non umilia Milano, come qualcuno ha scritto sotto la spinta dell'ideologia cieca, ma che la rende semplicemente più umana e aperta al rispetto degli «altri», di chi chiede solo il diritto di poter ricordare pacificamente tre Italiani morti a Milano. Spaventa la chiamata del «Presente»? Spaventa la risposta di qualche ragazzo e qualche ragazza che solleva la mano destra verso l'alto, facendo il saluto romano? Lo Stato, nella tutela della libertà religiosa, consente la celebrazione di ogni rito religioso e commemorativo, ma condanna penalmente chi partecipa alla commemorazione del 29 aprile, una celebrazione funebre che segue un rito antico ed italiano. Un rito, quello del «Presente», perpetrato dalle nostre Forze Armate, scolpito addirittura nella pietra di luoghi unici ed evocativi come Redipuglia. La dottrina politica del Fascismo, in quanto tale, c'entra poco o nulla. Ecco perché bisognerebbe essere presenti, giudicare con il proprio cuore. Sono stato condannato a 30 giorni di reclusione per avere chiamato il Presente in ricordo della medaglia d'oro al valore militare Carlo Borsani. Oltre a me, come me, sono stati condannati altri quindici ragazzi e ragazze. E ad un risarcimento di 18.500 euro all'Associazione nazionale partigiani, costituitasi parte civile (a quale titolo legittimo non lo capiremo mai). Una condanna lieve? Le condanne, per le persone che hanno una coscienza a posto, non si misurano in giorni ma nel principio. Sono deluso e mi sento tradito. Non sono iscritto ad alcun partito o movimento politico. Mio nonno paterno ha combattuto in nord Africa fino ad El Alamein. È stato l'uomo più buono e ottimista che io abbia mai incontrato. Mi ha insegnato il dono della gentilezza. E mi ha sempre detto di amare il Tricolore, con serenità e fermezza. Chiamando quel «Presente» credo di aver rispettato i suoi insegnamenti e il suo esempio. Sono felice di averlo fatto. Mi sento tradito da uno Stato che non vuole si difenda l'identità di questa nazione. Da un'Italia che condanna chi non fa altro che amarla. Forse, gli uomini e le donne che in nome di questo Stato hanno emesso la sentenza, hanno dei figli. Spero che quei figli siano come i ragazzi che si ritrovano, composti e silenziosi, per celebrare Carlo, Sergio ed Enrico. Perché, allora, quei figli daranno concrete e genuine soddisfazioni ai loro genitori. E questi ultimi potranno essere fieri di loro. Viva l'Italia.Federico Skoll Goglio
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