Le relazioni pericolose del Carroccio: il Manifesto recensisce Rapisarda... E Israele blocca Salvini
Il giro del mondo in quattro tappe di Matteo Salvini si è fermato all'ombra del Cremlino di Putin. L'ambasciata d'Israele a Roma congela la missione che il leader del Carroccio aveva pianificato per queste settimane a Gerusalemme, con l'obiettivo di incontrare imprenditori ma soprattutto esponenti della destra israeliana. Una doccia fredda per l'eurodeputato, che scalpita per accreditarsi oltre confine, dopo che anche la Nigeria il 29 settembre scorso aveva negato il visto di accesso per un viaggio di quattro giorni. Salvini ne aveva fatto un caso politico. Con Israele le cose sono andate diversamente. Tutto si è consumato (finora) nella massima discrezione, anche perché il disco rosso di Israele assume tutto un altro peso. L'ambasciata a Roma che fa capo a Naor Gilon ha fatto sapere in via ufficiosa come la missione venga considerata politicamente inopportuna alla luce delle posizioni che il capo leghista ha assunto sulle politiche per l'immigrazione, ma anche per le alleanze "estreme" strette in Europa.
(G.p)Così la Repubblica di oggi annuncia il secondo stop internazionale, in poche settimane, per il leader del Carroccio. Nella lotta contro la moneta unica europea, la grande finanza apolide e cosmopolita, i tecnocrati ed i burocrati di Bruxelles sono cresciuti i rapporti tra la Lega Nord per l'indipendenza della Padania e l'estrema destra, finalizzati secondo il collega Guido Caldiron alla formazione di un "partito della crisi". Dalle colonne de il Manifesto, storico giornale comunista Caldiron propone un suo personale sentiero di lettura del libro di Antonio Rapisarda di cui ci siamo occupati
Non è passato molto dal fracassante debutto della piazza
fascioleghista, come i cronisti definirono l’abbraccio tra il Carroccio e Casa
Pound celebrato lo scorso 28 febbraio a Roma. Eppure, all’indomani del
passaggio bolognese delle consegne tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini per
la guida della coalizione delle destre plurali, c’è il rischio che si proceda
ad una rapida archiviazione di quanto avvenuto solo pochi mesi fa. Cessato
l’allarme, i fascisti del terzo millennio sono andati alla manifestazione bolognese
in polemica per la presenza del Cavaliere, la Lega rischia di tornare ad essere
considerata come un’anima tra le tante del centrodestra.
Al di là dell’incontro tra il Carroccio e la componente più visibile dell’estrema destra nostrana, la definizione di «fascioleghismo» rimanda al tentativo in atto da parte della Lega di ridefinire la propria identità nei termini di un vero «partito della crisi»: in questo senso la radicalizzazione leghista sul piano politico è speculare alla costituzione materiale scandita da impoverimento e precarizzazione di massa.L’alleanza con Marine Le Pen in Europa e con i neofascisti in patria, lo spostamento del terreno del conflito dalla Padania promessa all’intero territorio nazionale, il passaggio dalla battaglia contro «Roma
ladrona» a quella contro i tecnocrati di Bruxelles e l’Euro, la retorica
dell’intolleranza e della xenofobia a base di ruspe e dell’elogio della
legittima difesa, definiscono il quadro di un movimento politico che, sotto la
guida di Salvini, celebra l’approdo leghista nella nuova estrema destra
europea.
Passaggi di testimone
Del resto, come suggerisce Pietrangelo Buttafuoco
nell’introduzione a All’armi siam leghisti (Aliberti Wingsbert House),
l’indagine sulla conquista della destra sociale da parte di Salvini realizzata
da Antonio Rapisarda già giornalista del Secolo d’Italia e ora tra gli
animatori di Barbadillo.it, tra i siti più frequentati del web postfascista,
anche la conquista della leadership del centrodestra sembra un risultato
diretto della situazione circostante. «Perché quest’Italia, che non è di
sinistra, dovrebbe darsi rappresentanza con un leghista adesso? Forse perché è
la realtà che torna a determinare, oggi, la politica. Dopo l’ubriacatura di
fiction, di selfie, di slide, a chi è capace di cogliere gli aspetti concreti
tocca oggi il testimone».
Allo stesso modo, è con la stagione della crisi che matura
l’eclisse dei famosi moderati, il «soggetto» sempre evocato a proposito di un
centrodestra più immaginifico che reale. Eppure, come suggerisce il politologo
Marco Tarchi, autore di Italia populista (Laterza), evocando le fortune
elettorali di Marine Le Pen, «che giova inseguire le enclave moderate se le
praterie dell’inquietudine e della protesta sono spalancate?».
Ma ad alimentare la definitiva torsione fascioleghista del
Carroccio, capace di intercettare quella che Rapisarda definisce come «la
maggioranza silenziosa 2.0 che oggi è intenzionata ad urlare il proprio
disagio: contro l’Europa dei burocrati, contro il mostro impalpabile della
finanza virtuale, contro l’immigrazione clandestina», sono anche elementi di
lungo corso della vicenda leghista che ottengono ora una nuova, sinistra
centralità. A far da cornice, l’agitazione di tematiche xenofobe, una costante
della proposta politica della Lega. Come nota l’antropologa francese Lynda
Dematteo in L’idiota in politica (Feltrinelli), uno degli ultimi studi dedicati
al movimento prima dell’ascesa alla segreteria da parte di Salvini, «gli
studiosi italiani preferiscono tacere degli aspetti più esasperati della
propaganda razzista della Lega, ma nel frattempo i leghisti continuano a
ottenere consensi elettorali sfruttando l’intolleranza verso i diversi».
Una strategia propedeutica alla crescita elettorale del
Carroccio, visto che fin «dagli anni Novanta, la Lega ha distribuito volantini
che riportavano graficamente il parallelo tra ingresso di migranti ed
espansione della criminalità nel tentativo di giustificare “scientificamente”
il legame immigrato-delinquente su cui si basano le sue argomentazioni». Su
queste basi il movimento ha sempre fatto «il pieno di voti promettendo agli
abitanti dei piccoli centri o dei quartieri periferici, dove abitualmente si
insediano i rom, di cacciarli o di smantellare i loro campi», mentre «buona
parte dell’azione istituzionale dei leghisti è determinata dall’uso politico
delle tensioni latenti tra abitanti locali ed extracomunitari».
L’«offensiva delle ruspe» induce naturalmente allo sdegno.
Allo stesso tempo non si può evitare di sottolineare come proprio la Lega sia
stata nel nostro paese il principale imprenditore politico dell’intolleranza
nell’arco degli ultimi 25 anni. Anche per questa via, ben prima dell’ascesa di
Salvini, nel Carroccio sono confluiti a più riprese, dalla fondazione del
movimento in poi, figure provenienti dal mondo dell’estrema destra: da Mario
Borghezio, proveniente da Giovane Europa, a Gilberto Oneto, figura di primo
piano della cultura leghista, precedentemente impegnato ne La Voce della fogna
con Tarchi, fino a Giancarlo Giorgetti, già capogruppo leghista alla Camera,
cresciuto nella Comunità giovanile di Busto Arsizio, uno dei primi esperimenti,
negli anni Ottanta, di «centro sociale di destra».
La generazione nero-verde
In tempi più recenti, suggerisce Rapisarda, va notata, a
livello locale, «la sostanziale sovrapposizione nell’immaginario giovanile fra un
movimento di destra radicale come Forza Nuova e la Lega. Inizialmente i
rapporti tra le due formazioni politiche sono stati pessimi per via della
campagna secessionista della Lega; in seguito fra i due movimenti c’è stato
spesso un travaso di militanti. Analoghamente, alcune esperienze territoriali
hanno svolto la funzione di apripista nella costruzione di relazioni tra la
Lega e il mondo dell’estrema destra. Come nei casi dell’amministrazione
trevigiana a lungo guidata dal «sindaco sceriffo» Giancarlo Gentilini, del
«laboratorio identitario» della comunità varesina di Terra Insubre, ma
soprattutto del «modello Verona», dove Flavio Tosi, prima di abbandonare la
Lega, ha flirtato con la destra radicale, nominando alla guida del locale
Istituto storico della Resistenza un esponente politico proveniente dalle fila
del Veneto Fronte Skinheads.
Ma è soprattutto in Rete — i siti come Il Talebano o Primato
Nazionale, legato a Casa Pound Italia — che ha preso forma quella che l’autore
di All’armi siam leghisti definisce la «generazione nero-verde». Un eslemento,
questo, rilevante nell’identità radicale della Lega cresciuta nell’intreccio di
lungo corso tra la politica del movimento e le istanze della nouvelle droite
intellettuale. Un intreccio che ha avuto una tappa importante nell’incontro
pubblico a Milano della leadership leghista con Alain de Benoist, il capofila
di una tendenza intellettuale nata alla fine degli anni Sessanta all’interno
del neofascismo francese con l’obiettivo dichiarato di rinnovarne il vocabolario
e il rapporto con la realtà circostante — la genesi del cosiddetto «gramscismo
di destra» -. Un incontro che ha preceduto di poco la conquista della
segreteria leghista da parte di Salvini, anche se i riferimenti alle tesi
dell’intellettuale antimoderno ricorrono sovente nell’impianto ideologico della
Lega.
L’orizzonte euroasiatico
Alla Lega che evocava l’Europa delle regioni, declinata
attraverso i sentimenti tristi delle piccole patrie carnali, Alain de Benoist,
ospite a più riprese degli amministratori del Carroccio perlomeno a partire
dagli anni Novanta, ha offerto lo strumento del differenzialismo culturale come
archetipo dell’impossibilità pratica di un incontro tra culture. E se i
leghisti ritenevano di poter evocare lo spazio dovuto alla patria dei
produttori padani nell’ambito dei processi di globalizzazione, magari via
Bruxelles, il vate neodestro proponeva invece la sua visione di un’Europa
imperiale come unica via contro l’omologazione mercantile, spiegando come «solo
l’appartenenza posta come principio consente di difendere la causa dei popoli»
e di proteggere «le nostre rispettive identità contro il sistema globale». Allo
stesso modo in cui oggi, per attraversare l’età della crisi, dopo che la Lega
ha spostato l’asticella sul piano nazionale, e eletto la Ue a nemico pubblico
n°1, de Benoist indica l’orizzonte del blocco eurasiatico e la tradizione
anticosmopolita di Mosca come direzione di marcia. I ripetuti interventi di
Salvini a favore di Putin e le bandiere russe in tutte le piazze leghiste,
confermano che anche in questo caso il messaggio è andato a buon fine.
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