26 agosto 1974, muore Borghese, così Avanguardia beffò la polizia ai funerali e rese onore al Comandante
Quarantun anni fa morì a Cadice, Junio Valerio Borghese. Per motivi di ordine pubblico (il Comandante era morto da latitante) la cerimonia funebre in Italia fu organizzata in forma privata nella cappella di famiglia nella Basilica di Santa Maria Maggiore, senza gli onori previsti per le medaglie d'oro al valore militare. I giovani di Avanguardia decisero di non rispettare il diktat di polizia. Uno dei partecipanti ci racconta come andò. Qui potete leggere invece una testimonianza sul Comandante Borghese di Stefano Delle Chiaie.
Così onorammo il migliore di noi
Il 27/08/1974 muore a Cadice il Comandante Junio Valerio Borghese. Con lui finisce un’epoca: l’Uomo che aveva rappresentato per noi giovani un riferimento certo, sicuro ed affidabile in un’epoca di pressappochismo, vigliaccheria e relativismo non c’è più. Il mito vivente, colui che aveva, per amore dell’Italia, rimesso in gioco la sua persona anche in età avanzata, che aveva combattuto eroicamente la guerra del mare sui barchini e sul sommergibile Scirè, che aveva violato i porti inglesi di Malta, Suda e Gibilterra, che aveva gloriosamente difeso le fabbriche italiane del nord dalla distruzione dei Tedeschi prima e degli americani poi, che aveva frenato la criminale avanzata dei partigiani titini nell’Istria, non poteva più rappresentare una speranza per il futuro. Ci sentivamo orfani! La notizia rimbalza in Italia con fragore, non ci vogliamo credere. I soliti provocatori iniziano a mettere in giro strane illazioni sul come è avvenuto il decesso: sono queste le ore in cui nascono le leggende metropolitane. La realtà è che non ci vogliono far sapere quando la salma arriverà in Italia per timore di incidenti, non vogliono concedere gli onori militari ad un’eroica medaglia d’oro, vogliono che tutto si svolga alla chetichella e senza i dovuti riconoscimenti. Il funerale viene fissato per il giorno 2 settembre senza nemmeno sapere se la salma sarà disponibile. Il giorno 1 settembre veniamo a sapere che il feretro è rientrato, che il rito funebre sarà officiato nella Basilica di Santa Maria Maggiore all’interno della cappella privata della famiglia Borghese, che non vi saranno gli onori militari dovuti per legge, che gli unici eventi di contorno saranno la lettura della preghiera del marinaio da parte dell’ammiraglio Birindelli e i tre fischi da parte di un nostromo. Il 2 settembre la piazza antistante la Basilica di Santa Maria Maggiore è presidiata massicciamente dalle Forze dell’ordine. Sin dalla sera precedente cecchini forniti di giubbotti antiproiettile sono piazzati sui tetti di tutti i palazzi nei dintorni. Blindati e mezzi cingolati stazionano nelle vicinanze. Nonostante il silenzio stampa, la mancanza di informazioni e questo schieramento preventivo e dissuasivo, nella piazza e nella Basilica arrivano a migliaia da tutta Italia i cittadini, richiamati dal “tam tam” d’ambiente, per l’ultimo saluto al Comandante. Chi ha sperato che fosse una cerimonia sottotono rimane deluso: la folla è tanta e la tensione pure. Il risentimento che aleggia nella Chiesa e nella piazza cresce sempre più man mano che si apprendono le assurde prese di posizione del Prefetto e del Governo: il Comandante fa paura anche da morto. Controllati, squadrati, presi di mira dai cecchini ci sentiamo di essere privati del nostro sacrosanto diritto di onorare un nostro morto: il migliore di tutti noi. Il rito può essere seguito da poche centinaia di persone perché la Cappella laterale è troppo piccola, la bara non c’è, il prete officiante non cita una volta il Comandante, nessuno fa riferimento alle sue leggendarie gesta, che dovrebbero essere di esempio e riferimento per gli Italiani tutti. Niente di tutto quello che speravamo!
Alla fine prende la parola l’amm. Birindelli, ma anche lui, ligio agli ordini ricevuti, legge solo la preghiera del marinaio. Concludono la cerimonia i tre fischi del nostromo. Delusione, frustrazione, rabbia sono i sentimenti che si percepiscono nella folla. Un vecchio combattente della RSI inizia ad intonare la preghiera del legionario, con voce sommessa e commossa la gente lo segue: “ Iddio che accendi ogni fiamma e fermi ogni cuore, rinnova ogni giorno la passione mia per l’Italia.” La folla si accalca per accedere nella cripta sotterranea dove giace il Comandante. “Rendimi sempre più degno dei nostri morti affinchè loro stessi i più forti rispondano ai vivi: presente.” Lo spazio è angusto, il percorso è lungo e disagiato, pieno di scalette che scendono in basso.”Quando il futuro soldato mi marcia accanto nei ranghi, fa che io senta battere il suo cuore fedele” La ressa è tanta, la fila lunghissima, le persone più anziane iniziano a sentirsi male. “Quando passano i gagliardetti e le bandiere che tutti i volti si riconoscano in quello della Patria.” Devono intervenire medici e paramedici ; beffa si aggiunge a beffa. “La Patria che noi faremo più grande portando ognuno la sua pietra al cantiere.” La situazione si fa insostenibile, la misura è colma. “O Signore, fa della tua croce l’insegna che precede il labaro della mia legione” Decidiamo di intervenire. “E salva l’Italia, l’Italia del Duce sempre e nell’ora di nostra bella morte.”
Insieme ad altri sei militanti di Avangurdia Nazionale mi faccio largo tra la folla, scendiamo verso la cripta. Sergio, il più mingherlino fra noi, arriva per primo all’altezza della chiostrina che precede l’ultima scaletta prima della bara del Comandante; la folla rumoreggia, il malessere e la rabbia aumentano. Le guardie che controllano la discesa nella cripta cercano di chiudere il cancello. Non c’è tempo da perdere, dobbiamo impedirlo, ma la folla ci rende difficile proseguire celermente. Stiamo sulla scalinata che immette nella chiostrina, io e Carmelo afferriamo “gnappetta”, la nostra mascotte, e lo lanciamo letteralmente sul cancello. Il nostro militante mette le mani sullo stipite della porta e resiste ai pugni, calci e morsi che le guardie gli rifilano per fargli mollare la presa e poter così chiudere il cancello, finché giungiamo noi, cacciamo le guardie e ci chiudiamo all’interno. Ora siamo al buio, in sei, solo delle luci votive illuminano la scena: la bara del Comandante è adagiata spoglia su un basamento. La strada percorsa per arrivare non si può percorrere nuovamente perché fuori gli agenti sono aumentati, il cancello è chiuso e c’è troppa gente. Decidiamo di procedere attraverso uno stretto ed oscuro cunicolo sulla destra, quindi solleviamo il feretro e ci addentriamo nello stretto budello: il peso è notevole e lo spazio talmente angusto che non possiamo tenere la bara sulle spalle perché la testa non passa. In alcuni tratti addirittura son le mani che corrono il rischio di rimanere stritolate. Dopo varie contorsioni e funamboliche manovre ci arrestiamo davanti ad un portoncino. Lo apriamo ed usciamo all’esterno.
Siamo in cima alla scalinata di Santa Maria Maggiore, dalla parte opposta, in Piazza Esquilino. Siamo stanchi ed anche preoccupati: la piazza è deserta, la folla è tutta nella Basilica e nella piazza dall’altra parte. Basta una carica di qualche “solerte” funzionario o tenente e la bara con dentro il Comandante può finire per terra. Iniziamo la discesa e giriamo sulla destra per raggiungere la parte anteriore di Santa Maria Maggiore. Da alcuni autobus di linea che passano si iniziano a sentire le prime grida di sostegno ed a vedere i primi saluti romani. Dalla piazza qualcuno ci vede, ci vengono incontro i nostri, qualcuno ci dà il cambio. Inizia a formarsi un corteo; mando a chiamare Sandro Saccucci, perché si metta alla testa; mi sembra giusto dato che è stato in prigione con l’accusa di aver partecipato al cosiddetto “golpe Borghese”. Quando giungiamo sulla piazza la folla esulta: inni, cori, grida, saluti. L’eccitazione è alle stelle. I carabinieri non sanno che fare: devono caricare? Ma si tratta sempre di un corteo funebre. Devono lasciar perdere? Ma hanno il divieto di far fare cose diverse da una semplice ed anonima messa. Nella loro indecisione riusciamo ad arrivare davanti alla Basilica in zona extraterritoriale dove non potrebbero intervenire. Il portone è chiuso, vorrebbero farci entrare da una porticina laterale: non lo riteniamo dignitoso per il Comandante. Il corteo si ferma andiamo a prelevare il prete che ha le chiavi, oppone un po’ di resistenza, ma alla fine lo convinciamo, ci consegna le chiavi che gli saranno restituite, ed apriamo il portone centrale. La folla che è ancora accalcata nella grande Basilica non capisce, perché non sa ancora nulla, anche se ascolta le grida ed il trambusto all’esterno. Forse proprio per questo non è ancora uscita.
Quando si apre il portale centrale ed entra il feretro un boato rimbomba nelle volte della grande Chiesa. Tutti capiscono al volo. L’emozione mista ad eccitazione assale tutti. Le spoglie del Comandante vengono adagiate nella navata centrale davanti all’altare maggiore. Qualcuno mette sulla bara un gagliardetto della X ed una bandiera di Avanguardia Nazionale. Il figlio Livio fa un’appassionata commemorazione del padre con voce stentorea: sono le parole che tutti volevamo sentire, sono la vita, le opere e le azioni che hanno fatto grande il Comandante, che gli hanno fatto avere la medaglia d’oro in vita e la stima dei nemici, anche degli Inglesi, cui ha arrecato tanti danni e tanti lutti.
Lo spostiamo sempre a braccia nella cappella Borghese; qui si schiera un drappello di uomini di Avanguardia con le braccia conserte; attorno si pongono i figli per ricevere le condoglianze dei numerosi amici, parenti, ma soprattutto seguaci ed ammiratori del padre. Mi chiedono di stare al loro fianco per ricevere anch’io il ringraziamento da parte di tutti per aver reso possibile l’omaggio al padre. Finalmente abbiamo onorato il Comandante e spero che tutto questo gli abbia fatto piacere. Il 12 settembre su tutti i quotidiani di Roma esce un necrologio:” Livio Giuseppe ed Andrea Scirè, figli di Junio Valerio Borghese, Medaglia d’Oro al Valor Militare e Comandante la X flottiglia Mas, desiderano che giunga un ringraziamento particolare ai giovani che con la loro coraggiosa indisciplina hanno inteso condannare l’ingiustizia e la codardia di alcuni ed hanno dimostrato la gratitudine del Popolo Italiano verso Chi sempre si è battuto per l’Onore d’Italia.”
Adriano Tilgher
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