Rauti story/20: lo "sfondamento a sinistra" e il Settantasette nero
Riprendiamo la Rauti story con un balzo di qualche anno, al 1976-77, quando nasce la svolta dello "sfondamento a sinistra" e Rauti svolge il ruolo positivo di trattenere sul piano della lotta politica e dell'iniziativa culturale centinaia di giovani attratti dalle sirene della "via più breve".
di Ugo Maria Tassinari
Il voto del giugno 1976, che vede il PCI sfiorare il sorpasso e la DC reggere prosciugando i partiti di centro e di destra, produce uno stallo. La crisi della sinistra extraparlamentare dopo il fallimento elettorale e lo scioglimento di LOTTA CONTINUA mette allo sbandomigliaia di militanti. A destra si verifica un fenomeno simmetrico: Favorisce la radicalizzazione movimentista la disfatta del MSI (crollato dall’8.6 del 1972 al 6.1%). La scissione moderata di DEMOCRAZIA NAZIONALE è molto più forte al vertice che alla base: esce mezza rappresentanza parlamentare, 18 deputati e 9 senatori, un terzo dei consiglieri provinciali, un quarto dei comunali. L’analisi rautiana del voto innesta una clamorosa svolta: mentre pochi mesi prima era stato tra i più aspri critici della deriva populista di Signorelli, l’antico allievo di Evola approda allo “sfondamento a sinistra”. Un’intuizione felice, che coglie la dinamica del crescente distacco tra il PCI e una parte significativa della gioventù, le cui ragioni non sono riducibili alla sfera politica, ma hanno una precisa base materiale. La spinta convergente delle lotte operaie e della crisi petrolifera, scatenata dalla “guerra del Kippur”, ha innescato un’estesa ristrutturazione industriale con un uso ampio della cassa integrazione, del lavoro nero e dell'esternalizzazione produttiva. Gli operaisti scoprono la “fabbrica diffusa”. Il protagonista del nuovo ciclo di lotte è un’originale figura di giovane proletario. Se la precedente leva rivoluzionaria dell’operaio massa aveva cominciato ad agire sotto la pressione di elementari necessità, i bisogni espressi dall’“operaio sociale” sono più sofisticati e complessi. Rauti passa così da Evola a De Benoist: si trattava – scrive Mario Coglitore - di comprendere con chiarezza che il capitalismo, ridotto a merce ogni rapporto, aveva distrutto la possibilità di vita comunitaria autentica, spirituale: massificazione, consumismo, alienazione – non più comunismo e disordine – sono i veri problemi irrisolti della società contemporanea.
di Ugo Maria Tassinari
Il voto del giugno 1976, che vede il PCI sfiorare il sorpasso e la DC reggere prosciugando i partiti di centro e di destra, produce uno stallo. La crisi della sinistra extraparlamentare dopo il fallimento elettorale e lo scioglimento di LOTTA CONTINUA mette allo sbandomigliaia di militanti. A destra si verifica un fenomeno simmetrico: Favorisce la radicalizzazione movimentista la disfatta del MSI (crollato dall’8.6 del 1972 al 6.1%). La scissione moderata di DEMOCRAZIA NAZIONALE è molto più forte al vertice che alla base: esce mezza rappresentanza parlamentare, 18 deputati e 9 senatori, un terzo dei consiglieri provinciali, un quarto dei comunali. L’analisi rautiana del voto innesta una clamorosa svolta: mentre pochi mesi prima era stato tra i più aspri critici della deriva populista di Signorelli, l’antico allievo di Evola approda allo “sfondamento a sinistra”. Un’intuizione felice, che coglie la dinamica del crescente distacco tra il PCI e una parte significativa della gioventù, le cui ragioni non sono riducibili alla sfera politica, ma hanno una precisa base materiale. La spinta convergente delle lotte operaie e della crisi petrolifera, scatenata dalla “guerra del Kippur”, ha innescato un’estesa ristrutturazione industriale con un uso ampio della cassa integrazione, del lavoro nero e dell'esternalizzazione produttiva. Gli operaisti scoprono la “fabbrica diffusa”. Il protagonista del nuovo ciclo di lotte è un’originale figura di giovane proletario. Se la precedente leva rivoluzionaria dell’operaio massa aveva cominciato ad agire sotto la pressione di elementari necessità, i bisogni espressi dall’“operaio sociale” sono più sofisticati e complessi. Rauti passa così da Evola a De Benoist: si trattava – scrive Mario Coglitore - di comprendere con chiarezza che il capitalismo, ridotto a merce ogni rapporto, aveva distrutto la possibilità di vita comunitaria autentica, spirituale: massificazione, consumismo, alienazione – non più comunismo e disordine – sono i veri problemi irrisolti della società contemporanea.
Il
movimento del ’77 nasce nel segno dell’antico: la scintilla che
dà fuoco alla prateria è uno dei tanti episodi della guerra per
bande che ha insanguinato quegli anni. (…) Nell’arco di un paio
di mesi sono almeno quattro le sparatorie compiute da giovani
neofascisti (al Fermi di Monte Mario, al liceo Mariani, al Margherita
di Savoia e a un ristorante di Borgo Pio, dove sono arrestati 11
militanti del FDG tra cui il giovanissimo figlio
del giudice Alibrandi). Ma basta il colpo di genio di Biagio
Cacciola, con la “spalla” del brillante leader del FDG Umberto
Croppi, per fondare una leggenda metropolitana che sarà rilanciata
ripetutamente dai “guerrieri neri”: Il nostro momento
situazionista noi l’avemmo in occasione della cacciata di Lama
dell’università di Roma (…). È rimasta appiccicata a quella
giornata una leggenda così ormai radicata da costituire un elemento
di storia. Nelle ore successive al fatto, il presidente del FUAN,
Biagio Cacciola, diramò un comunicato nel quale si affermava che
numerosi aderenti all’organizzazione universitaria di destra erano
stati protagonisti dell’episodio insieme ai colleghi di sinistra e
che tra questi e quelli si stava stabilendo una unità generazionale
sulla base della comune condizione di emarginati dai processi
decisionali. Si trattava naturalmente di un bluff, ma la
situazione era così paradossalmente matura che l’eco di quella
balla geniale si allargò e si stabilizzò come un mito. Io completai
l’opera tracciando una scritta, su un muro di Roma: Caradonna
68 Lama 77. Firmato con una croce celtica. Repubblica dedicò
un allarmato commento in prima pagina a quella inattesa
dichiarazione.
Qualche
fuorisede lo sfizio di partecipare agli scontri insieme agli indiani
metropolitani – i più vicini per sensibilità anticonsumistica e
mentalità contraria ai miti e ai riti della politica politicante –
se lo toglie e i suoi racconti, 30 anni dopo, si tramandano ancora. Eppure
il falso – 15 giorni dopo il ferimento di Bellachioma nessun
“fascio” conosciuto poteva entrare nell’università occupata –
rispondendo a un bisogno del mercato elettorale (la sinistra di
governo vuole e deve credere che quel movimento così atipico e
irriducibile all’egemonia della classe operaia è inquinato dai
“neofascisti” e rilancia la fandonia) produce effetti di realtà.
Il fatto diventa possibile, contribuendo a modificare,
nell’immaginario collettivo della giovane destra, i rapporti con la
rivolta. Del resto gli elementi di rottura radicale tra il nuovo
soggetto sociale e le istituzioni della sinistra storica sono
evidenti. I neofascisti più acuti seguono l’ondata ribelle con
interesse e simpatia. Cacciola, insieme al presidente nazionale del
FUAN, Luciano Laffranco, si sforza, con un lungo documento di dare
dignità teorica al “bluff” (...)
Guido
Zappavigna, storico leader degli ultrà giallorossi, all’epoca ai
vertici del FUAN romano (sarà perciò arrestato per terrorismo ma
prosciolto dopo lunga carcerazione preventiva), descrive la fatale
attrazione per l’ala creativa: Dal ’77, mentre nelle
università cresceva il movimento di sinistra, ci accorgiamo che quei
giovani che ritenevamo nemici, vivevano la nostra stessa rabbia.
Provavamo simpatia per gli indiani metropolitani e cominciavamo tra
di noi a parlare di spazi verdi, di scuole invivibili. Avevamo fatto
anche
cose
per noi nuovissime, come i volantinaggi nei mercati rionali. La gente
ci guardava stupita: «come, i
fascisti qui»,
diceva. Già perché per loro il fascista stava nei quartieri ricchi
e noi invece cominciavamo a scrivere di carovita, di lotta agli
sfratti, di licenziamenti.
Così,
paradossalmente, mentre il Movimento si avvita nella spirale
repressione-lotta-repressione, emarginando le componenti innovative
(dalle femministe agli “indiani”) la destra sostanzia lo spirito
dei tempi nell’originale (per il cupo e becero ambiente catacombale
neofascista) esperienza dei Campi Hobbit, ispirati alla saga fantasy
di Tolkien. Un evento storico che la stampa tende a minimizzare,
riducendolo a una scimmiottatura delle feste del proletariato
giovanile – da Licola (1975) a Parco Lambro (1976) – che hanno
concorso a produrre la grande ondata del ’77. Venticinque anni dopo
[Ideazione 2002], uno degli animatori, Umberto Croppi, ne
ricostruisce la genesi: Fu la recensione del libro apparsa su La
Voce della Fogna e firmata da Marco Tarchi che funzionò da
collante per quanti di noi avevano scoperto la vitalità e la portata
innovativa di quella letteratura. Per la prima volta veniva scoperto
e “adottato” un autore che nulla aveva a che vedere con i testi
sacri del fascismo, che non scriveva saggi politici, che non
proponeva riletture storiografiche, ma era un narratore puro. Quella
scoperta ci consentì per la prima volta di sentirci a tutti gli
effetti parte della contemporaneità, di uscire dalla diversità cui
eravamo stati relegati per la nostra appartenenza politica. Non ci
sentivamo più diversi. Quando Tolkien scriveva «Le radici
profonde non bruciano», per noi il senso era evidente:
riscoprivamo la possibilità di pensare un universo esistenziale
alternativo al di fuori delle mitologie passatiste della nostra area
politica. Da questa presa di coscienza collettiva cominciarono a
prodursi effetti, altrettanto spontaneamente di quanto era successo
nell’avvicinarsi di ognuno di noi agli scenari tolkieniani. (...) E
da lì prese le mosse l’avventura dei Campi.
Fallirà,
invece, il più ambizioso tentativo – dispiegato negli anni
successivi in anticipo sui tempi – della NUOVA DESTRA:
ridefinire identità e progetto politico, fuoriuscendo dal “mito
incapacitante” del tradizionalismo evoliano, sfidando la sinistra
sul terreno dell’egemonia culturale. Proprio in quel formidabile
1977 Almirante preferirà come leader del FDG il più grigio e
affidabile Fini al brillante e radicale Tarchi, nonostante il
plebiscito raccolto da quest’ultimo tra gli iscritti. Un Tarchi che
– ricorderà poi Alemanno – aveva
liquidato il Movimento del ’77, con perfetta ortodossia evoliana,
come l’insorgere del quinto stato e che, ancora alla fine degli
anni ’70, collaborava con le Edizioni di Ar. Comunque
la vivacità culturale e comunitaria della componente giovanile
rautiana – secondo il leader della battagliera sezione di Colle
Oppio, Toni Augello – tratterrà molti giovani sul crinale del
passaggio disperato alla “via più breve della lotta armata”.
Caro Tassinari,
RispondiEliminasono un avido seguace del tuo informatissimo blog (e lettore dei tuoi libri), quindi non me ne vorrai se commento su quello che credo sia un errore di traduzione. Il passaggio originale di Tolkien dice "Deep roots are not reached by frost", che andrebbe tradotto con "le radici profonde non gelano".
Saluti,
Alioscia Hamma
Anche se fosse un lettore di passaggio e antipatizzante verso la mia persona le ragioni della filologia sono superiori e vanno onorate. Grazie per la correzione (e per l'apprezzamento, ovviamente)
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