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Rauti story/15- Riflessioni critiche e domande suscitate dalla bagarre ai funerali

di Ugo Maria Tassinari 
Mi ero riproposto di dire la mia sulla complessa figura di Pino Rauti solo al termine della pubblicazione della cospicua dote di testi da me dedicati alla vicende sue e della corrente ordinovista (con tutte le sue mutazioni e filiazioni varie) attraverso cinquanta e più anni di storia repubblicana. Ma la bagarre di stamattina (che è un modo più elegante e asettico di definire la gazzarra) con la rabbiosa contestazione contro Fini mi sollecita riflessioni e domande.
Qualche anno fa la magnifica trilogia di Rao cominciava con l'epica narrazione dei funerali di Peppe Dimitri, il leader di un'altra generazione, amatissimo eppure per alcuni aspetti controverso. Il "Comandante" aveva tenuto assieme in gioventù impegno politico (Avanguardia nazionale, Terza posizione) e milizia (Nar, Legione, nucleo operativo di Terza posizione, una batteria di rapinatori per finanziare la latitanza dei camerati) per poi decidere, dopo una lunga stabulazione in cattività, di posizionarsi lungo una nuova linea del fronte, facendosi consigliere del Principe, alla corte di Alemanno, dal Msi ad Alleanza nazionale, non avendogli dato il destino il tempo di vivere l'avvilente esperienza del Pdl e della stagione degli scandali.
La cerimonia degli addii per Dimitri - vieppiù straziante quando chi si lascia non ha compiuto ancora i cinquant'anni - fu definita, a giusta ragione da Rao, un "funerale per il neofascismo". E Adinolfi, pur riconoscendo che quelle pagine - rispecchiando perfettamente l'evento - sono "il capitolo più toccante, travolgente, trascinante" del libro (che gli piacque molto mentre poi trovò da ridire per la presunta operazione editoriale sottesa alla trilogia), obietta: sarebbe stato più corretto parlare, per quel rito vichingo, del "funerale di una generazione guerriera".
Oggi la cerimonia di sepoltura dell'ultimo e più noto leader storico del neofascismo italiano non ha avuto nessuna solennità né ritualità, essendo stata trasformata in una replica, in un contesto del tutto anomalo, delle rappresentazioni congressuali del vecchio Msi, che prevedevano sempre una virile scazzottata tra delegati. Non certo una farsa rispetto alla tragedia dei funerali di Dimitri - a voler calcare il citatissimo aforisma di Marx nel 18 brumaio - ma sicuramente gli aspetti grotteschi sono stati rilevanti.
A scatenare la furia di centinaia di presenti l'arrivo dell'ultimo segretario del Movimento sociale e suo commissario liquidatore, Gianfranco Fini, oggi presidente della Camera. Molti sono convinti che si sia trattato di una scientifica provocazione da parte sua per acquistare un ulteriore credito di legittimazione antifascista. Io penso che fosse suo dovere d'ufficio andare a omaggiare un deputato di lungo corso, a maggior ragione se si trattava di un suo storico avversario politico. Perché Rauti fu l'unico, al congresso di scioglimento del Msi, tra i leader nazionali a mantenere ferma la rotta: Teodoro Buontempo che l'aveva affiancato nella battaglia di testimonianza scelse infatti di aderire comunque ad Alleanza nazionale. Comunque sia è evidente che stamattina sono esplosi frustrazioni e risentimenti accumulati da tempo, a lungo covati nella rude razza della fascisteria di strada e di piazza. 
Ma che cosa ha tradito Fini? Qual è la fonte della legittimità politica e chi detiene i titoli e il copyright per comminare le sanzioni di lesa fedeltà all'idea? Sarebbe interessate conoscere l'esatta composizione delle schiere dei contestatori. Secondo Storace a contestare furiosamente Fini sono stati militanti espressione di diverse comunità. Essendosi collocato anche l'ex governatore del Lazio tra i difensori dell'onore di Rauti contro la provocazione di Fini, è forse il caso di ricordare che nella fase di transizione dal Msi ad Alleanza nazionale Storace era il portavoce di Fini. E che tra i protagonisti dell'avventura liberalfuturista ci sono alcuni dei migliori allievi di Rauti: da Perina a Croppi, per finire con Granata
D'altro canto le accuse di traditore e di "badogliano" fioccate oggi sull'ex pupillo di Almirante sono state sollevate a suo tempo, anche contro lo stesso Rauti: mi limito a citare un solo caso, Paolo Signorelli, un ordinovista della prima ora, rientrato con Rauti nel Msi ma poi riavvicinatosi ai reietti del Movimento politico Ordine nuovo, i dissidenti rimasti fuori dal partito, quando l'attacco della magistratura li spinse in clandestinità. Quando Almirante decise di risolvere il dissenso politico organizzato da Signorelli e altri in Lotta popolare Rauti scaricò completamente i suoi. Così è stato anche, in qualche modo per Marco Tarchi e il suo foglio critico, "La voce della fogna": il suo capocorrente nulla fece né disse in sua difesa.  
Volutamente ometto ogni riferimento alle più controverse vicende della strategia della tensione: in molti, in questi giorni, anche nella destra radicale hanno ricordato i suoi coinvolgimenti, i suoi rapporti inquinanti con gli apparati dello Stato antifascista ma è questo un aspetto secondario.
Il problema di fondo è che oggi, paradossalmente, sul terreno politico Pino Rauti non ha eredi: non lascia infatti posizioni di rendita ma solo un cantiere abbastanza elaborato sul piano dell'immaginario ma povero di strumenti organizzativi e di buone pratiche vincenti. E a questo immaginario sono in tanti ad appellarsi: anche i molti che nel corso degli anni lo hanno mollato.    (1- continua)
PS: La pubblicazione dei materiali storici su Rauti e la corrente ordinovista proseguirà nei prossimi giorni

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