In morte di Eric Hobsbawn: una riflessione sulla ritualità e il diverso dispositivo della destra radicale
Aggiungi didascalia |
"Tutte le organizzazioni umane comprendono una parte di cerimonie e di riti; i movimenti sociali moderni, invece, sono stranamente privi di un rituale deliberatamente predisposto. Ufficialmente, ciò che unisce i loro membri è il contenuto e non la forma. Lo scaricatore di porto o l'intellettuale che ottiene la tessera del suo sindacato o della sua associazione professionale (purché sia un atto di libera scelta" sa, senza bisogno di particolari formalità, di impegnarsi a determinate attività e a un determinato comportamento, come ad esempio alla solidarietà nei confronti dei suoi compagni. Colui che entra a far parte di un partito comunista si impegna a un complesso di attività intense e impegnative, paragonabili, almeno per alcuni membri, a quelle a cui ci si impegna entrando negli ordini religiosi. Eppure, costui o costei compie tale atto senza altra cerimonia che quella di ricevere un pezzo di cartoncino a scopo puramente utilitario, sul quale si attaccano periodicamente delle marche." (E.J.Hobsbawn, I ribelli, pag. 192)
(umt) Con questa citazione Emiliano Di Marco rende omaggio sulla sua pagina Facebook alla memoria di Eric Hobsbawn, il geniale storico marxista, scomparso ieri, che elaborò il citatissimo ossimoro del "secolo breve" (1914-1989): i 75 anni della guerra civile europea. Per la mia generazione la sua "trilogia dei ribelli" (tre agili saggi dedicati appunto ai rivoluzionari, ai banditi e ai ribelli) fu fondamentale per aprirci a una visione meno fabbrichista della soggettività politica rivoluzionaria. Trentacinque anni dopo lo spunto offerto da Emiliano mi induce a riflettere sulla circostanza che il suo ragionamento non funziona per la destra radicale, in cui resta fondamentale e per alcuni aspetti costitutiva tutta la ritualità connessa alla "religione della morte" (nella foto la cerimonia del "presente" ad Acca Larentia).
Forse il ragionamento di Hobsbawn non funziona per la destra radicale, in quanto lì se togli la forma, di sostanza ne rimane poca.
RispondiEliminaNon a caso i pochi soggetti pensanti dell'area tendono a stare lontani dalle mobilitazioni martirologiche.
"Religione della morte" è improprio.
RispondiEliminaSacralità vuol dire percepire un legame con più dimensioni. Che può anche significare – ma non vuol necessariamente essere così – credere nell’immortalità dell’anima individuale.
Il legame forte con la comunità ancestrale, perenne, atemporale, qualcuno lo definirebbe totemico, per altri indicherebbe un qualcosa di sciamanico. Fatto sta che si tratta semmai di “religione del sangue”, non in un’ottica biologistica ma secondo il dettame colto anche da Nietzsche per il quale “il sangue è spirito”.
E’ un senso tragico e trascendente nell’immanenza di APPARTENENZA COMUNITARIA IMPERSONALE.
E’ così che si sente il Presente! E’ la stessa identica matrice “barbara” della Blut Fahne tedesca.
Per questo mi fa un po’ sorridere la problematica della memoria – condivisa o meno – che si è venuta ad esprimere ulteriormente. La memoria è storicizzazione è sepoltura, è distacco.
Noi invece sentiamo la Presenza in cui ci fondiamo con i Lari, con i Fratelli, con i Padri e con gli Eroi (e mai con le “vittime”). Della “memoria” ce ne freghiamo.
Non avevo dubbi che il tema avrebbe stimolato il contributo di Adinolfi. Avrei voluto postare il suo spezzone di intervista sulla "tanatofilia" fascista da me inserita nei "Colori del nero" ma non è trovato traccia su youtube ...
RispondiEliminaDirei che c'è una spiegazione più semplice.
RispondiEliminaIl fascismo storico aveva a modo suo una proposta, e usava dispositivi simbolici tipici degli eserciti per mobilitare attorno a tale proposta.
Il neofascismo, fino alla scoperta negli anni Novanta della xenofobia, non aveva alcuna proposta.
Aveva SOLO una mobilitazione.
Singoli neofascisti hanno fatto proposte concrete, molto diverse tra di loro (dalla pena di morte alla socializzazione delle fabbriche), comunque poco interessanti per gli stessi neofascisti.
Non ha senso dire che il sentimento per il legame di sangue sia fortissimo perché il neofascismo non ha fatto proposte politiche.
RispondiEliminaEra fortissimo in Germania allorquando il nazionalsocialismo non solo le aveva fatte ma le aveva realizzate e quando tutti guardavano al futuro fiduciosi e al presente orgogliosi e non al passato nostalgici. Senza contare che "neofascisti" è una categoria storico-politica ma che io non ho mai incontrato qualcuno che si sentisse tale, tutti si sono sempre sentiti fascisti.
Il discorso di Martinez avrebbe senso se stessimo parlando di ricorso irrazionale nel fideismo, nella speranza escatologica ecc ecc (e il neofascismo come categoria psicosociale vi ha fatto spesso ricorso). Ma nello specifico parliamo invece di un vincolo saldo e inscindibile che sta bene al di sopra (e radicato ben al di sotto) delle categorie politiche delle quali, tutto sommato, se ne frega, così come se ne frega del concetto della memoria.
E' un dato di fatto che le uniche mobilitazione di una certa importanza numerica ed unitaria dell'area sono il corteo per Ramelli e il presente da Acca Larentia prima dello strappo di Iannone ed Adinolfi.
RispondiEliminaPer Gabriele Adinolfi
RispondiEliminaChiedo scusa del ritardo, vedo solo adesso la tua replica.
1) Sicuramente nei "fascismi" - e potrei dire in tutti i nazionalismi europei anche ottocenteschi - il "sentimento per il legame di sangue" e i dispositivi simbolici erano forti; ma non erano il motore prevalente.
2) So che i "neofascisti" non adoperano questa autodefinizione. Però come altro chiamare chi si sente "fascista", quando mancano tutte le basi storiche e sociali del fascismo?
Ci vuole tanto la parola "fascista" (perché i "neofascisti" come giustamente dici, si sentono tali) quanto il prefisso "neo" per indicare che stiamo parlando di qualcosa di totalmente diverso.
3) Resta il fatto che, come scrive marco T., tra i neofascisti non esiste alcun elemento propositivo condiviso. Anche negli anni precedenti alla "questione immigrazione", le varie proposte che pure c'erano (che so, la socializzazione delle fabbriche) erano isolate e non erano certamente il vero motivo mobilitante.
Forse l'ultimo caso di un elemento oggettivo mobilitante e fortemente sentito fu la questione di Trieste, sessant'anni fa.