Lettere/Pelizzaro: altri elementi per un chiarimento definitivo sul caso Affatigato/Stasi
Aggiungi didascalia |
Caro Tassinari,
credo sia opportuno tornare sulla questione di Marco Affatigato e sulla sua intervista da me raccolta e pubblicata sul mensile Area nel numero di ottobre del 1999. Nonostante i ripetuti chiarimenti, infatti, c’è ancora qualcuno che in modo ottuso o pretestuoso continua a sollevare sospetti, dubbi e perplessità su quella vicenda nella quale l’ex ordinovista toscano confessava e confermava, per la prima e unica volta in modo puntuale, dettagliato e documentato, di aver collaborato con i servizi segreti di vari Paesi, prima di tutto con gli americani e i francesi e, in particolare, riferiva che secondo alcuni documenti della Stasi (la polizia segreta dell’allora DDR) il giorno prima della strage sarebbe stato presente a Bologna Carlos o qualcuno della sua organizzazione in collegamento con una cellula palestinese. Come più volte ho detto e scritto, quell’ultimo passaggio dell’intervista di Affatigato, sia per la sua potenziale importanza sia perché era tecnicamente impossibile confermare o smentire il suo contenuto nel poco tempo che separava la raccolta dell’intervista dalla sua pubblicazione, meritava una serie di verifiche ulteriori.
Fu proprio per questi due motivi che ritenni opportuno e doveroso depositare con tanto di nota di trasmissione agli atti dell’allora Commissione parlamentare sul terrorismo e le stragi, presieduta dal senatore diessino Giovanni Pellegrino, il testo dattiloscritto integrale di quell’intervista che a me sembrò fin dal primo momento molto importante e meritevole di ulteriori approfondimenti e nella quale figurava l’inedita notizia sull’attentato del 2 agosto 1980 e il presunto coinvolgimento del gruppo Carlos.
Fu proprio grazie a quell'informazione che è stato poi possibile ricostruire l’intero contesto della cosiddetta pista palestinese, della violazione del “Lodo Moro” con il sequestro dei due missili terra-aria SAM 7 Strela a Ortona (7 novembre 1979), il successivo arresto, condanna e (soprattutto) mancata scarcerazione del giordano di origini palestinesi Abu Anzeh Saleh, il capo del capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP) in Italia responsabile sempre per il nostro Paese dei contatti con Carlose la sua organizzazione, e l’identificazione del terrorista tedesco Thomas Kram, legato al gruppo Carlos e all’FPLP, presente in stazione al momento dello scoppio dell’ordigno. La decapitazione dell’FPLP in Italia, avvenuta con l’arresto di Saleh (che dal 1974, nell’ambito dell’accordo con i palestinesi, godeva di uno speciale salvacondotto da parte del nostro servizio segreto militare, controfirmato niente meno che dall’allora ammiraglio di squadra Mario Casardi, direttore del SID), avvenne in un momento delicatissimo per il Fronte popolare e, soprattutto, per gli equilibri internazionali (in particolare con alcuni Paesi europei come Italia, Francia Austria e Repubblica federale tedesca) perseguiti da Abu Ayad, numero due di Fatah, capo dei servizi di sicurezza dell’OLP e fondatore di Settembre Nero, l’uomo al quale Yasser Arafat aveva delegato le attività strategiche clandestine all’estero.
Il sequestro dei missili di Ortona, il processo per direttissima e la successiva condanna di Abu Anzeh Saleh misero il Fronte in una situazione critica, avendo le autorità italiane (la magistratura abruzzese non “sensibile” agli obblighi del Lodo) disarticolato il vertice dell’organizzazione nel nostro Paese appena tre mesi dopo l’arrivo in Italia di una prima aliquota dell’arsenale strategico palestinese e affidato, per la custodia, alle Brigate Rosse di Mario Moretti. L’arresto di Saleh del 13 novembre 1979 nell’ambito delle indagini sul traffico dei due lanciamissili di fabbricazione sovietica SAM 7 Strela, sul piano tecnico, fece perdere al Fronte popolare di George Habbash il contatto operativo con il deposito di armi ed esplosivi palestinesi trasportati dal Libano via mare da Mario Moretti, Riccardo Dura e Sandro Galletta con la barca a vela Papago dello psichiatra di Falconara (Ancona) Massimo Gidoni nella seconda metà di agosto del 1979 (Operazione “Francis”) e poi sbarcati in Veneto e interrati in una zona boschiva nei pressi di Volpago di Montello in provincia di Treviso.
Tornando ad Affatigato, vale la pena ricordare come il suo nome venne tirato in ballo poche ore dopo il disastro dell’aereo di linea dell’Itavia, il DC9 I-Tigi precipitato nel Tirreno Meridionale in un tratto di mare al largo tra le isole di Ponza e Ustica la sera del 27 giugno 1980. Un anonimo telefonista disse all’Ansa, infatti, che Affatigato sarebbe stato una delle vittime a bordo dell’aereo e come “prova” forniva la marca dell’orologio che portava al polso, un Baume et Mercier. In verità, Affatigato non poteva essere a bordo del DC9 Itavia perché in quel periodo era a Nizza, ufficialmente impiegato come lavapiatti in un ristorante del posto. Ma la sua smentita non lo mise al riparo da ulteriori intossicazioni e depistaggi. Poche settimane dopo, infatti, Affatigato venne coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna perché qualcuno disse di averlo visto in stazione pochi istanti prima dell’esplosione. Anche qui la manovra ebbe vita breve, ma non impedì tuttavia all’autorità giudiziaria di richiedere l’estradizione dell’estremista toscano, cosa che avvenne puntualmente nonostante fosse stato nuovamente appurato che anche il 2 agosto 1980 Affatigato era in Francia. Fino a prova contraria, queste due vicende evidenziano come il nome di Marco Affatigato fu utilizzato come tool per confondere e depistare le indagini.
Il lungo colloquio che ebbi con Affatigato nel 1999 mi permise di mettere a fuoco un po’ tutte queste misteriose circostanze e approfondire in particolare il ruolo di Marcello Soffiati e i collegamenti con i servizi segreti. L’intervista venne costruita su una serie di domande scritte molto articolate alle quali Affatigato rispose senza reticenze o imbarazzi. Il resoconto del colloquio fu da me trascritto fedelmente e il testo inviato all’interessato via fax per l’approvazione. Trattandosi di argomenti assolutamente inediti, mai toccati prima di allora e collegati a una serie di circostanze scivolose ed eventi gravissimi, ad Affatigato chiesi di rimandarmi il testo dell’intervista rivisto e eventualmente corretto sempre via fax, validato e controfirmato in ogni sua pagina. Molte volte capita di intervistare qualcuno che fa delle importanti rivelazioni e poi essere smentiti il giorno dopo perché il contenuto di quelle "verità" non può essere o non è documentato o perché l’intervistato è chiamato a rimangiarsi tutto. Questo non accadde con Affatigato che fu diligente nel procedere con questo metodo. I giornali sono pieni di notizie non riscontrate e dichiarazioni inaffidabili.
Ricordo che l’ex estremista di destra toscano poneva particolare attenzione al suo delicato ruolo svolto in Francia tra il 1979 e il 1980 come infiltrato negli ambienti degli sciiti iraniani legati all’ayatollah Khomeyni il quale – al potere in Iran (ex Persia) dal febbraio del 1979 – era considerato di fatto dal governo americano il responsabile dell’assalto all’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran e la presa in ostaggio di oltre cinquanta fra donne e uomini del personale diplomatico (“ospiti dell’ayatollah”), avvenuto il 4 novembre 1979 da parte di un gruppo di circa 500 studenti integralisti. È opportuno ricordare come la Francia fosse, in quel momento, un teatro cruciale per l’intelligence americana e per la CIA in particolare: Khomeyni, infatti, prima di tornare in Iran aveva vissuto come esiliato per anni a Parigi e proprio dal territorio francese aveva organizzato il colpo di Stato contro lo Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi. Da qui si può capire come l’amministrazione del presidente Jimmy Carter avesse proprio in quel momento la vitale necessità di trovare una soluzione alla crisi iraniana e soprattutto una via d’uscita politica efficace e credibile al fallimento dell’operazione delle forze sociali americane (Eagle Claw) del 24 aprile 1980 per la liberazione degli ostaggi. Questo spiega gli sforzi della CIA nel battere ogni pista informativa e nel coltivare ogni fonte valida e utile per penetrare negli ambienti kohmeinisti soprattutto in Francia dove la comunità iraniana sciita era stata fondamentale per l’ascesa al potere dell’ayatollah. Vista in questo contesto internazionale, la presenza di Affatigato a Nizza dal punto di vista dello spionaggio verso l'Iran fu valutata come un'occasione assai ghiotta. Affatigato strovava nel posto giusto, al momento giusto.
A documentare ulteriormente, se mai ve ne fosse ancora bisogno, il racconto che mi fece Affatigato nel 1999 in riferimento al suo lavoro a Nizza come “antenna” informativa per gli americani e anche per i servizi segreti italiani c’è un documento che ho potuto ritrovare di recente. Si tratta del verbale di esame di testimone senza giuramento di Luciano Salerno, all’epoca dei fatti capo del Centro del SISDE di Bolzano, reso il 22 aprile del 1985 ai giudici Vito Zincani e Sergio Castaldo dell’Ufficio Istruzione di Bologna nell’ambito delle indagini sull’attentato del 2 agosto 1980.
Ecco cosa ha raccontato ai magistrati il funzionario del servizio segreto civile sull'operazione Affatigato: «In merito alla vicenda che Lei mi dice aver riferito il Benfari [maresciallo Francesco Benfari, sottoposto di Salerno in forza al Centro SISDE di Bolzano] concernente il Soffiati, non ho difficoltà a raccontare i fatti così come si sono svolti: attraverso Spiazzi [tenente colonnello, oggi generale d’artiglieria in pensione, Amos Spiazzi, coinvolto nell’inchiesta sulla Rosa dei Venti] il Benfari venne a sapere che Marcello Soffiati era in collegamento con il noto Affatigato, dal quale successivamente aveva appreso dei propositi presunti delle autorità iraniane. Era quello il periodo in cui l’Ambasciata americana a Teheran era sotto assedio. Io ritenni utile informare della questione la Direzione [direttore del SISDE in quel momento era il generale dei Carabinieri Giulio Grassini] dopo aver personalmente contattato il Soffiati, e organizzai un appuntamento tra il Soffiati e un esponente dell’Ambasciata americana. Per chiarire bene le cose nei dettagli spiego che fu la Direzione del Servizio a telefonarmi e a impartirmi precise istruzioni, informandomi che sarebbe venuto a Verona [città sulla quale aveva competenza territoriale il Centro SISDE di Bolzano] un esponente dell’Ambasciata americana e che io dovevo metterli in contatto con Soffiati. La cosa ebbe luogo e l’americano con il Soffiati si recò successivamente a Montecarlo dove incontrarono Marco Affatigato. Il Soffiati ebbe dal Servizio un anticipo di circa 500mila lire in contanti che furono poi rimborsate dagli americani. Ignoro se il Soffiati o l’Affatigato abbiano poi ottenuto in contanti o in assegni altro denaro dagli americani. Ignoro ovviamente quali sviluppi abbia avuto l’informativa data dall’Affatigato agli americani e quali iniziative costoro abbiano preso».
Per conoscere gli sviluppi che ebbe questo abboccamento con il servizio segreto americano si dovranno attendere quindici anni. Sarà proprio Affatigato nella sua intervista pubblicata da Area nell’ottobre del 1999, infatti, a spiegare come ebbe ad evolversi quel rapporto con la CIA, sotto la giurisdizione non dell’Italia, ma della Francia dove in quel periodo operava l’estremista di destra toscano, quali furono gli obiettivi informativi che ebbe dagli americani e quale piega prese il suo rapporto con Marcello Soffiati, da lui ritenuto il responsabile delle soffiate (scusate il gioco di parole) sul suo conto filtrate ai servizi segreti italiani in occasione del disastro di Ustica e poi della stessa strage di Bologna. Si potrebbe ipotizzare che Soffiati, attraverso quella manovra, volle lanciare un pesante segnale ad Affatigato per trovare un accordo sulla spartizione dei compensi per l'attività a favore degli americani.
Riletta oggi, quell’intervista è ancora più eloquente e significativa rispetto a quando ebbi a raccoglierla. Per questo ritengo che – seppur ancora oggi non pienamente confermata e con tutte le cautele del caso – la sua rivelazione sull’esistenza di documenti della Stasi relativi all’attentato del 2 agosto del 1980 possa conservare elementi di verità meritevoli di ulteriori riscontri e approfondimenti.
Gian Paolo Pelizzaro
Nessun commento: