Strage di Brescia, Delfino insiste: era giusta la pista Buzzi
di Ferruccio Pinotti
SANTA MARINELLA (Roma) - «La strategia della tensione? È esistita e molti dei più gravi episodi stragistici sono stati determinati da poteri dello Stato e da pezzi dei suoi Servizi segreti, nell'ambito di un conflitto più vasto tra Est e Ovest. Usa e Urss ci hanno fatto piombare in una guerra civile, l'Italia in quegli anni era terreno di scontro tra i Servizi di tutto il mondo».
Sta in queste affermazioni del generale Francesco Delfino, malato con gravi problemi di insufficienza respiratoria, ospite di una casa di riposo a Santa Marinella sul litorale romano, l'ammissione che la strage di piazza della Loggia ha un contesto più ampio: quello dell'utilizzo dell'eversione nera per continuare a tenere il sistema nel caos, stabilizzandolo poi con lo spauracchio degli opposti estremismi.
L'ex alto ufficiale del Sismi parla certo con cognizione di causa in quanto esperto di infiltrazione degli ambienti terroristici, di counterintelligence , di operazioni coperte: «Abbiamo sovvertito l'Italia pur dei contrastare il terrorismo», ha esclamato ieri il generale calabrese, con un lampo di orgoglio negli occhi, raccontando la sua verità sulla strage di piazza Loggia, dopo essere stato assolto per la seconda volta dall'accusa di aver concorso nell'attentato.
In questo gioco al massacro che prevedeva l'uso di trafficanti d'armi, di ladri di opere d'arte, di ambigui confidenti - ieri Delfino ha citato spesso la figura di Carlo Fumagalli del Mar - tutto era lecito: anche flirtare con chi ha seminato la morte a Piazza Fontana e a Piazza della Loggia. Delfino ovviamente non ammette alcuna responsabilità, scarica le colpe della bomba su Ermanno Buzzi e Angelino Papa ma ammette l'esistenza di un «secondo livello»: «C'era una parte dei Servizi - Musumeci, Maletti - che sapeva. Abbiamo chiesto durante l'inchiesta al gip di Brescia di interrogare Maletti, che se ne sta ben protetto in Sudafrica. Ma non è stato fatto nulla. Questa strage non la si è voluta scoprire. C'erano in gioco interessi internazionali, una struttura, finanziata da canali svizzeri, per cambiare la struttura dello Stato». Il riferimento «cifrato» è alla P2, cui appartenevano sia il generale Palumbo che il generale Musumeci. La guerra era non solo a livello internazionale, ma tra pezzi dello Stato fedeli a mondi diversi. Era stato il generale Maletti a dire che l'esplosivo delle stragi di Milano e di Brescia veniva da un deposito americano in Germania e che da lì, tramite pesanti complicità, era finito nelle mani dei neofascisti veneti.
«Bene! Se Maletti aveva localizzato l'esplosivo proveniente dalla Germania, perché non lo ha bloccato?», attacca Delfino. Il generale dei carabinieri evoca, parallelamente alla pista Buzzi-Papa, l'indagine coperta, ancora in corso, relativa alla presenza di un altro «ragazzino» al momento della strage: quel Marco Toffaloni, all'epoca diciassettenne, il cui nome è stato evocato dal sessantenne Giampaolo Stimamiglio (ex di Ordine nuovo) che ora vive sotto protezione e che collabora con gli inquirenti.
«A priori non si può escludere che questa pista abbia una sua solidità, non è assurdo pensare che ci siano stati gruppi di giovinastri della destra veronese usati in vario modo. Molti dei più gravi fatti d'Italia sono stati determinati da poteri deviati all'interno dello Stato». Buzzi e Papa erano quindi una cellula «spontaneista» o infiltrata da apparati dello Stato? Se qualcuno è stato, fa capire Delfino, non è stato lui: «In quegli anni Stati esteri hanno gestito l'estrema destra e l'estrema sinistra per finalità internazionali, facendoci piombare in una guerra civile».
Molti hanno lucrato in quella sporca guerra: ufficiali dei servizi affamati di soldi e di carriere fulminanti, politici ammantati di atlantismo, affaristi e piduisti (Delfino è l'uomo che ha catturato Licio Gelli in Svizzera e individuato il latitante Francesco Pazienza in Usa). «In quegli anni l'Italia era attraversata dai Servizi di tutto il mondo, da uomini delle istituzioni che pendevano dalle labbra della Cia e del Mossad, che facevano a gara per i soldi degli Stati Uniti», ha ammesso Delfino. Un girone infernale da cui chiamarsi fuori è difficile, anche per chi ha ottenuto una assoluzione.
fonte: Corriere della Sera
SANTA MARINELLA (Roma) - «La strategia della tensione? È esistita e molti dei più gravi episodi stragistici sono stati determinati da poteri dello Stato e da pezzi dei suoi Servizi segreti, nell'ambito di un conflitto più vasto tra Est e Ovest. Usa e Urss ci hanno fatto piombare in una guerra civile, l'Italia in quegli anni era terreno di scontro tra i Servizi di tutto il mondo».
Sta in queste affermazioni del generale Francesco Delfino, malato con gravi problemi di insufficienza respiratoria, ospite di una casa di riposo a Santa Marinella sul litorale romano, l'ammissione che la strage di piazza della Loggia ha un contesto più ampio: quello dell'utilizzo dell'eversione nera per continuare a tenere il sistema nel caos, stabilizzandolo poi con lo spauracchio degli opposti estremismi.
L'ex alto ufficiale del Sismi parla certo con cognizione di causa in quanto esperto di infiltrazione degli ambienti terroristici, di counterintelligence , di operazioni coperte: «Abbiamo sovvertito l'Italia pur dei contrastare il terrorismo», ha esclamato ieri il generale calabrese, con un lampo di orgoglio negli occhi, raccontando la sua verità sulla strage di piazza Loggia, dopo essere stato assolto per la seconda volta dall'accusa di aver concorso nell'attentato.
In questo gioco al massacro che prevedeva l'uso di trafficanti d'armi, di ladri di opere d'arte, di ambigui confidenti - ieri Delfino ha citato spesso la figura di Carlo Fumagalli del Mar - tutto era lecito: anche flirtare con chi ha seminato la morte a Piazza Fontana e a Piazza della Loggia. Delfino ovviamente non ammette alcuna responsabilità, scarica le colpe della bomba su Ermanno Buzzi e Angelino Papa ma ammette l'esistenza di un «secondo livello»: «C'era una parte dei Servizi - Musumeci, Maletti - che sapeva. Abbiamo chiesto durante l'inchiesta al gip di Brescia di interrogare Maletti, che se ne sta ben protetto in Sudafrica. Ma non è stato fatto nulla. Questa strage non la si è voluta scoprire. C'erano in gioco interessi internazionali, una struttura, finanziata da canali svizzeri, per cambiare la struttura dello Stato». Il riferimento «cifrato» è alla P2, cui appartenevano sia il generale Palumbo che il generale Musumeci. La guerra era non solo a livello internazionale, ma tra pezzi dello Stato fedeli a mondi diversi. Era stato il generale Maletti a dire che l'esplosivo delle stragi di Milano e di Brescia veniva da un deposito americano in Germania e che da lì, tramite pesanti complicità, era finito nelle mani dei neofascisti veneti.
«Bene! Se Maletti aveva localizzato l'esplosivo proveniente dalla Germania, perché non lo ha bloccato?», attacca Delfino. Il generale dei carabinieri evoca, parallelamente alla pista Buzzi-Papa, l'indagine coperta, ancora in corso, relativa alla presenza di un altro «ragazzino» al momento della strage: quel Marco Toffaloni, all'epoca diciassettenne, il cui nome è stato evocato dal sessantenne Giampaolo Stimamiglio (ex di Ordine nuovo) che ora vive sotto protezione e che collabora con gli inquirenti.
«A priori non si può escludere che questa pista abbia una sua solidità, non è assurdo pensare che ci siano stati gruppi di giovinastri della destra veronese usati in vario modo. Molti dei più gravi fatti d'Italia sono stati determinati da poteri deviati all'interno dello Stato». Buzzi e Papa erano quindi una cellula «spontaneista» o infiltrata da apparati dello Stato? Se qualcuno è stato, fa capire Delfino, non è stato lui: «In quegli anni Stati esteri hanno gestito l'estrema destra e l'estrema sinistra per finalità internazionali, facendoci piombare in una guerra civile».
Molti hanno lucrato in quella sporca guerra: ufficiali dei servizi affamati di soldi e di carriere fulminanti, politici ammantati di atlantismo, affaristi e piduisti (Delfino è l'uomo che ha catturato Licio Gelli in Svizzera e individuato il latitante Francesco Pazienza in Usa). «In quegli anni l'Italia era attraversata dai Servizi di tutto il mondo, da uomini delle istituzioni che pendevano dalle labbra della Cia e del Mossad, che facevano a gara per i soldi degli Stati Uniti», ha ammesso Delfino. Un girone infernale da cui chiamarsi fuori è difficile, anche per chi ha ottenuto una assoluzione.
fonte: Corriere della Sera
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