#Strage di #Bologna, #Cutonilli: l'unica certezza, l'innocenza dei #fascisti
(umt) Continua la discussione su strage di Bologna e pista palestinese. E' arrivato un contributo di Valerio Cutonilli, l'avvocato difensore di Luigi Ciavardini e co-autore di un recente saggio sulla strage di Acca Larentia, che pure molto ha fatto discutere
di Valerio Cutonilli
di Valerio Cutonilli
Sono rimasto molto colpito dalla
polemica insorta, nelle ultime settimane, tra l’onorevole Raisi e
l’ex brigatista Padula. Quest’ultimo ha accusato il primo
d’intossicare la ricerca della verità sulla strage di Bologna,
sostituendo dei capri espiatori neri (Fioravanti, Mambro e
Ciavardini) con vittime sacrificali rosse (il FPLP di Habbash e l’ORI
di Carlos).
La questione origina dalle
dichiarazioni rese dal parlamentare felsineo al Resto del Carlino
l’otto aprile scorso. Raisi avrebbe avanzato il sospetto di un
possibile coinvolgimento nell’esplosione (evidentemente accidentale
o comunque non prevista proprio in quel luogo) di una delle 85
vittime accertate nell’eccidio bolognese. Si tratta - Padula lo
aveva intuito prima che il deputato lo dichiarasse in modo esplicito
- di Mauro Di Vittorio, un ragazzo romano con idee di sinistra
radicale. Raisi e Padula, in buona sostanza, litigano sulla presenza
in stazione di una persona morta nella strage di Bologna mentre tutti
gli altri restano in silenzio alla finestra. Questo è il motivo del
mio stupore.
Una premessa. I “trinariciuti”, di
qualsiasi colore siano, non mi stanno simpatici. Sbaglia di grosso,
quindi, chi storce il naso solo perché a parlare è un ex esponente
della lotta armata. Padula ha tutto il diritto di esprimere la
propria opinione, soprattutto perché la formula in modo argomentato.
Le ragioni, o i torti, dipendono dagli argomenti offerti e non dalle
simpatie personali. Sulla questione ormai nota delle torture, ad
esempio, l’ex militante delle br ha sicuramente ragione ed è grave
che a non accorgersene siano proprio i paladini della legalità.
A differenza di molti, non ho raggiunto
alcuna certezza circa gli effettivi responsabili e la reale dinamica
della strage di Bologna. Dopo aver letto migliaia di atti relativi ai
vari processi sull’eccidio bolognese, resto solo convinto
dell’estraneità di Ciavardini, Mambro e Fioravanti. Le ragioni le
ho spiegate ampiamente in un libro cinque anni or sono ed è inutile
in questa sede ribadirle.
Piuttosto, desidero formulare un invito
al ragionamento critico, a destra e a sinistra. La delicata materia
dello stragismo va affrontata senza pregiudizi positivi o negativi,
ideologici o geo-politici che siano.
Sulla materia in questione ho maturato
solo tre convinzioni, ovviamente del tutto personali. La prima di
queste è che l’attentato contro obiettivi indiscriminati è quasi
sempre un messaggio codificato, inviato da Stato a Stato. Questo non
assolve nessuno perché in Italia molti esponenti delle istituzioni
hanno lavorato in intelligenza con forze straniere, alleate o
persino nemiche del nostro paese. Diffidate delle verginelle.
La seconda è che gli apparati di
sicurezza hanno intossicato le numerose indagini sulle stragi con
l’assenso di alcuni esponenti politici del massimo livello; non a
loro insaputa. E lo fecero per impedire l’emersione del contesto
internazionale in cui erano maturati gli attentati. I contenziosi tra
Stati vanno sempre discussi sotto il tavolo, mai sopra.
La terza, ed ultima, è che le stragi
italiane non hanno una matrice unica. Né a livello di esecutori né
a livello di mandanti. Le reductio ad unum costituiscono
semplificazioni quasi sempre interessate. Lo scenario in cui
avvennero gli attentati indiscriminati era complesso e aggrovigliato.
Esso chiamava in causa non solo il ruolo effettivo dell’Italia, mai
sufficientemente compreso, nella contrapposizione “fredda” tra le
superpotenze Usa e Urss. Rileva molto anche la collocazione del
nostro paese nello scacchiere mediterraneo. Incidono, in questo
senso, i controversi rapporti dell’Italia con il modo arabo e con
Israele, nonché l’atteggiamento insofferente di Francia e
Inghilterra verso la nostra politica estera. Il manicheismo quindi,
quando non è peloso, appare quanto meno ingenuo.
Ciò vale anche per i livelli ultimi.
Non esiste l’innocenza a prescindere, né a destra né a manca.
Quella di Peteano, seppur indirizzata verso le sole forze
dell’ordine, fu davvero una strage nera. A destra non si faccia
finta di niente. E Bertoli, l’autore della strage alla questura di
Milano, non era un anarchico finto. Non mi sfuggono certo i suoi
viaggi in Israele, né i suoi rapporti con gli apparati di sicurezza.
Ma Bertoli ha creduto veramente negli ideali anarchici sino al giorno
della sua morte. A sinistra non facciano gli ipocriti.
Usando questo criterio di giudizio,
devo osservare che sulla pista Carlos-FPLP per Bologna non mi
convince chi sostiene di avere già la soluzione in tasca, in un
senso o nell’altro. Sono solo dell’idea - e qui nessuno è
riuscito sinora a persuadermi del contrario - che resta inspiegabile
l’estromissione di tale pista dall’istruttoria bolognese sorta
all’indomani dell’attentato.
Ciò non vuole dire però che tale
pista sia necessariamente fondata. La differenza è sensibile. Sono
certo che il lodo Moro sia esistito sul serio e che, con l’arresto
di Saleh nel novembre 1979, esso sia stato effettivamente violato
dall’Italia nella parte in cui doveva garantire anche il FPLP. La
sfumatura non è da poco. Quando nel giugno 1980 i paesi europei
occidentali riunitisi a Venezia – fungendo da terzo giocatore, come
direbbe Senzani – fecero la dichiarazione in favore dello stato
palestinese e dello stato israeliano, Arafat sposò l’iniziativa
ritenendola conforme alla propria strategia. Habbash invece la
criticò con asprezza sostenendo, coerentemente con il suo punto di
vista, che l’unica strada da percorrere era la lotta armata. A
criticare la politica europea furono anche URSS, Siria e Libia.
Esistono con certezza due informative dell’UCIGOS, precedenti
all’esplosione di Bologna, che paventavano il rischio anche di un
attentato in Italia inteso quale rappresaglia per la violazione
dell’accordo di non belligeranza con il FPLP. Figura, nella nota
istruttoria condotta dal Giudice Mastelloni, la testimonianza di un
ufficiale del SISMI, Di Napoli, secondo la quale già prima della
strage di Bologna era pervenuta ai nostri servizi di sicurezza la
notizia che il FPLP aveva contattato Carlos per dare luogo alla
rappresaglia promessa. Non sono un tifoso di nessuna delle
contrapposte fazioni mediorientali e cerco solo di ragionare. Se
questi documenti fossero stati il frutto di un depistaggio
precostituito, i nostri apparati ne avrebbero fatto uso già durante
l’istruttoria di Bologna. E invece queste informative vennero
tenute nel cassetto per due decenni. Si depistò sempre e solo in
danno dell’estrema destra. A poche ore dall’attentato di Bologna,
magistrati e governo dichiararono che la pista nera era l’unica a
dover essere seguita. L’unica. A riguardo, basti leggere le prime
pagine dell’epoca e il testo dell’intervento del Presidente del
Consiglio al Senato il 4 agosto 1980. A mio avviso, tale scelta
aprioristica e unilaterale non è un fatto nomale perché tali
informative imponevano accertamenti investigativi rigorosi e di ben
più ampia portata. E invece svanirono nel nulla, impedendo una
verifica che certo avrebbe potuto portare un esito negativo. Sino ad
oggi, nessuno ha saputo fornire una spiegazione convincente a
quest’anomalia. Ho registrato quasi sempre prese di posizione
precostituite, in un senso o nell’altro.
Così come nessuno mi ha fornito
un’interpretazione davvero convincente sulla vicenda Kram.
L’esponente della lotta armata tedesca era sul serio presente a
Bologna il giorno dell’esplosione. La notte precedente si registrò
in albergo esibendo le sue reali generalità. I colpevolisti
liquidano tale condotta sostenendo che i membri del suo gruppo
d’appartenenza – le Cellule Rivoluzionarie – erano soliti non
occultare la propria identità. A mio avviso, si tratta di una
spiegazione decisamente fragile per supportare la tesi di una
deliberata partecipazione di Kram a una strage a Bologna. Posta in
questi termini, l’ipotesi accusatoria non regge affatto e chi non
ama le tesi precostituite se ne deve fare una ragione. Non mi
convince, però, neppure la versione perfettamente speculare proposta
dagli innocentisti. Le autorità italiane sapevano sin dal 1979 che
Kram apparteneva all’area della lotta armata tedesca. Certo, non
sapevano che i servizi segreti della Germania comunista lo ritenevano
un membro del gruppo Carlos. Esse avevano, comunque, cognizione della
sua diretta riconducibilità all’eversione di sinistra. Lo sapevano
al punto da averlo sottoposto a vigilanza riservata sin dal 1979.
Eppure nell’istruttoria bolognese, intrapresa all’indomani
dell’attentato e conclusa nel lontano 1986, la presenza di Kram a
Bologna il giorno dell’esplosione non destò il minimo interesse.
Addirittura, sino al 2002 la sua presenza a Bologna è stata
completamente taciuta all’opinione pubblica. E’ ingenuo pensare
che si sia trattato d’una miopia spontanea da parte degli
investigatori. Non ci prendiamo in giro. Solo Carlos, già in
un’intervista sibillina del 2000, aveva chiamato in causa Kram ma
senza nominarlo. E senza essere preso sul serio da nessuno. Dunque,
all’attualità permangono due anomalie uguali e contrapposte che
sconsigliano di formulare verdetti sulla questione Kram e sulla pista
investigativa allo stesso collegata. Ciò almeno sino a quando
qualcuno, da una parte o dall’altra, non riuscirà a farle
combaciare in modo seriamente convincente. Con la forza degli
argomenti e nient’altro.
iniziamo mettendo i puntini sulle i.
RispondiEliminaQuella di Peteano e quella di Bertoli non sono stragi indiscriminate, ma hanno degli obiettivi precisi, su di esse non ci sono segreti perchè i rispettivi autori se le sono sempre rivendicate.
Non prendiamoci in giro parlando di eventuale esplosione accidentale, l'esplosivo usato a Bologna se non innescato è INERTE.
Poi a me risulta che nelle interviste Carlos più che di Kram abbia parlato della Cia.
Veramente Vinciguerra ci ha messo cinque anni di galera, 12 anni dopo la strage, ad ammettere. Nel quadro del suo impegno militante: per difendere Avanguardia si sacrifica e confessa per guadagnare credibilità giudiziaria. La sua deriva collaborazionista e' del decennio successivo. . .
RispondiEliminaAvvocato Cutonilli, nell'ambito delle circostanze ipotetiche già da lei associate "evidentemente" alla possibilità di un "coinvolgimento nell’esplosione di una delle 85 vittime accertate nell’eccidio bolognese" (vale a dire quelle di un'esplosione "accidentale o comunque non prevista proprio in quel luogo"), mi permetto di indicarne una terza, di circostanza plausibile: che il "coinvolto" sia stato cinicamente usato e sacrificato nell'operazione.
RispondiElimina@tassinari: "deriva collaborazionista" di Vinciguerra???
RispondiEliminaQuanto al giovane Di Vittorio, quello rispedito a casa in malo modo dalla polizia inglese per "mancanza di mezzi di sostentamento": che diversità di trattamento con i fuggiaschi neofascisti, accolti in Inghilterra a braccia aperte!!!
Hai ragione, Andrea, deriva collaborazionista è un leggiadro eufemismo: nel linguaggio dei "duri e puri" chi accetta il confronto con i magistrati e offre elementi di rilievo penale all'attività inquisitoria è classificato come infame. Come è noto, invece, io scelgo di non esprimere giudizi di valore e quindi distinguo tra il Vinciguerra che tace (per 5 anni), quello che ammette la sua responsabilità (1984), quello che lancia messaggi nella bottiglia (l'autobiografia dell'89) per convincere i commilitoni di Avanguardia a ingaggiare la battaglia frontale con i "neofascisti atlantici di servizio", e quello che, qualche anno dopo, disperato e solo, accetta di consegnare ai vari inquirenti i suoi ricordi e pensieri.
RispondiEliminaVINCIGUERRA SAREBBE L'UNICO "INFAME" A STARE IN GALERA DA OLTRE 30 ANNI!!!
RispondiEliminaIn realtà l'anomala collaborazione giudiziaria di VV, alpha male, è il proseguimento con gli unici mezzi che gli sono rimasti della sua personalissima battaglia politica
RispondiElimina@Tassinari:
RispondiEliminatanto per cominciare, Vinciguerra non è mai stato un delatore, come tu invece sembri insinuare con il termine "deriva collaborazionista".
Vinciguerra "disperato e solo, accetta di consegnare ai vari inquirenti i suoi ricordi e pensieri"?
E chi sarebbero questi "vari inquirenti" (a parte Salvini, visto che la Pradella è stata subito sfanculata)?
E poi, quella che tu, con un'espressione da fascista di complemento, definisci "deriva collaborazionista", io la definisco "contributo di verità", visto che (proprio tu l'hai detto) la detta "deriva" non ha mai fatto condannare (in via definitiva) nessuno.
Certo, senza un certo Casson e senza un certo D'Ambrosio, il contributo di verità di Vinciguerra certo che avrebbe fatto condannare qualcuno (più alti ufficiali dei carabinieri che camerati, per la verità, come è avvenuto nella sentenza di primo grado di Peteano, poi ribaltata dagli "aggiustamenti" successivi.)
E il comportamento di Vinciguerra è sempre stato all'insegna della solitudine (meglio soli che male accompagnati) ma non certo della "disperazione".
Per dirla ancor più chiaramente: Vinciguerra non si è mai "consegnato" a nessuno!
Tassinari, non è che a forza di fascinazioni stai finendo dall'altra parte della barricata pure tu?
Nel suo contributo Valerio Cutonilli torna sull'annosa polemica sulla figura di Kram e sul suo essere stato presente a Bologna ma registrato con i suoi documenti. Sul punto è necessaria una precisazione. A tirare in ballo la questione dei documenti come prova non sono sono stai coloro che Cutonilli chiama "colpevolisti", ma i commissari di minoranza della Mitrokhin, che nella loro relazione usarono l'argomento per sostenere l'innocenza di Kram. L'abitudine degli appartenenti alle Cellule Rivoluzionarie di usare documenti veri fino a quando non erano "bruciati" e costretti a entrare in clandestinità è emersa quasi due anni dopo la conclusione dei lavori della Mitrokhin, dalla lettura del libro "Im Schatten des Schakals" del giornalista tedesco Oliver Schrom. Questo sistema era possibile grazie a un codice comportamentale basato sull'assoluta riservatezza: ognuno dei membri delle RZ conosceva solo il nome di battaglia dei compagni, ma non la vera identità. A riprova di questo modus operandi ci sono i timbri sul passaporto di Kram, che documentano i suoi numerosi viaggi oltrecortina. Questo naturalmente non prova che Kram è colpevole e nessuno si è mai sognato di dirlo o anche solo di pensarlo. Dimostra invece che l'assunto dell'innocenza di Kram basato sull'uso dei suoi veri documenti, portato avanti dagli "innocentisti" commissari di minoranza della Mitrokhin non trova riscontri nel modus operandi delle RZ.
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