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La strage di Brescia e le voci di dentro degli ordinovisti veneti

Un'udienza ricca, quella di ieri, al processo di appello per la strage di Brescia. Con una grande attenzione alle "voci di dentro" ordinoviste, sul filo nero tra Milano e il Veneto. Ecco il dettaglio report pubblicato sulla pagina di facebook dedicata al processo.
di Beppe Montanti
I pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni non riescono a concludere la loro requisitoria, interrotta alle ore 19.00, dopo 10 ore di udienza: sarà conclusa nella mattinata di venerdì, 9 .3.2012. Si parte con la “famosa “inter
cettazione ambientale del 26 settembre 1995 in casa di Roberto Raho, tra costui e Piero Battioston, predisposta in verità dal giudice Casson di Venezia, nell’ambito di un’indagine su un traffico di auto rubate operata da ex ordinovisti veneti.
Piero Battiston era stato, agli inizi degli anni ’70, uomo di fiducia di Carlo Maria Maggi; ordinovista operante a Milano in contatto con il gruppo La Fenice (Rognoni, Cavagnoli, Marzorati, Azzi), si trasferisce in Venezuela perché accusato di banda armata e perché erano stati scoperti nel garage di famiglia armi ed esplosivo, tra cui panetti di tritolo identico a quello usato da Rognoni ed Azzi per l’attentato al treno Torino-Roma del 7.4.1973.Roberto Raho, originario di Treviso e responsabile del locale gruppo di Ordine Nuovo, luogotenente di Massimiliano Fachini, cura i rapporti di Ordine Nuovo tra il Nord e la Capitale, rifornisce di armi i camerati romani e partecipa ai preparativi per l’attentato al giudice Stiz; frequenta lo Scalinetto, il bar- covo di Maggi a Venezia, conosce Digilio da cui riceve lezioni di “falsario”.
Dall’intercettazione in casa di Roberto Raho emerge la preoccupazione dei 2 ordinovisti , preoccupati “del loro passato non limpido” di subire delle conseguenze dalla attività di collaborazione e dalle dichiarazioni di Digilio alla procura.”sta tirando nella merda quelli che gli stanno sui coglioni…..di Massimo(Fachini) non ha parlato…Io sono dentro perché conoscevo il Nonno(Digilio), ma posso dire di non conoscerlo…Manca solo Delfino(Zorzi) a chiudere il conto…Stanno preparando la bomba finale…Se dice la verità sulle piccole cose, potrebbe dirla anche sulle grandi…Soffiati è partito il giorno prima con l’ordigno per Brescia…..Soffiati è morto, il dottore (Maggi) è vivo però…Soffiati gli serve per portarla là…Quando c’è stata Brescia io ero a Venezia ( paura dei 2 di essere coinvolti nella strage)…Se il nonno( Digilio) sta cantando, il Nonno non sa solo una cosa, ma cento…Speriamo che si dimentichi di noi…”.
Di Martino passa quindi ad esaminare le intercettazioni in casa Maggi che si sente sollevato perché Raho non ha detto niente, e le dichiarazioni rese da Battiston sul medico veneziano, ossessionato dal perfezionamento del detonatore e del timer, risolto infine da Digilio. Battiston nelle sue dichiarazioni afferma che Maggi non ha mai condannato l’uso delle bombe nella lotta politica, che sostiene l’uso delle stragi come mezzo per creare il caos, di non rivendicare mai attentati fatti da altri. Il pm fa riferimento, quindi, alle dichiarazioni di Martino Siciliano sul gruppo di Mestre e sul ruolo di Maggi, come persona al vertice di Ordine Nuovo, intenta a creare nel Nord Italia una struttura di ampio respiro; ricorda le dichiarazioni di Vinciguerra sulla possibilità di organizzare degli attentati contro Rumor, all’epoca presidente del consiglio, e della proposta di Maggi di collocare un ordigno all’area di sosta Cantagallo per punire il personale dell’area che si era rifiutata di servire Almirante, segretario del Msi. Di Martino ricorda infine come in dibattimento Tramonte abbia dichiarato in una sua velina l’intenzione iniziale di Maggi e Romani di rivendicare la strage di Brescia. Pure dalle dichiarazioni rese in dibattimento da Maurizio Zotto, anche se sempre più sfumate nel corso delle udienze tanto da sembrare delle sconfessioni, e quelle di Gerardini, compagno di cella della fonte Tritone nel carcere di Cremona, emerge il ruolo centrale svolto nella strage dal medico veneziano.
Vengono quindi presentati all’attenzione dei giudici le altre figure importanti di questo processo:
-Marcello Soffiati, erroneamente ritenuto uno spaccone, godeva della piena fiducia di Maggi, che lo propone quale responsabile di Ordine Nuovo di Verona; anche a giudizio di Stimamiglio, collaborava con la CIA, aveva rapporti con i Carabinieri e Polizia, mentre Spiazzi lo definisce uomo dei Servizi.
-Giovanni Melioli, di Ordine Nuovo di Rovigo, chiamato in correità durante l’inchiesta per i suoi compiti nei preparativi di un attentato da effettuarsi a Roma in contemporanea a quello di Brescia; gli sono stati ritrovati fotocopie di un manuale ( su esplosivi) dell’Aginter Press; secondo Siciliano in stretti rapporti con Maggi, è in corrispondenza con Franco Freda con il quale definisce Maggi l’amico cavadenti.
-Delfo Zorzi, dalle dichiarazioni di Digilio, nella riunione di Rovigo, si rifiuta di mettere l’ordigno ( a Brescia), ma dichiara la propria disponibilità a procurarlo; per i pm i 2 mestrini presenti il 25 maggio 74 ad Abano, il mestrino e/o i mestrini che vengono a Brescia sono da considerarsi come Delfo Zorzi e la sua attività politica continua fino alla fine del 1974, al contrario di quanto sostiene la difesa che la fa cessare agli inizi del 1971. Zorzi si avvale della coltre fumogena creata da Tramonte nelle veline per scagionarlo e delle sue fortune finanziarie utilizzate nei confronti di Martino Siciliano, per costringerlo a ritrattare le accuse nei suoi confronti, e di Carlo Maria Maggi perché rifiuti la collaborazione propostagli dall’allora capitano Giraudo. Il pm Piantoni illustra come i tempi del servizio militare di Zorzi e i suoi viaggi a Napoli, ove frequenta l’università, siano compatibili con la riunione del 25 maggio 74 e con la venuta a Brescia dei mestrini il 15 giugno 1974, perché il soldato Zorzi era in licenza ordinaria. Le dichiarazione di Falica, responsabile di Ordine Nuovo del Nord, smentiscono le affermazioni della difesa Zorzi sull’abbandono della politica del loro assistito, in quanto questi partecipa al passaggio di consegne fra Massagrande e Falica e il Msi di Mestre, sempre nel 1973, lo sospende dal partito. Le dichiarazioni di Falica, a giudizio dell’accusa, sono elementi di riscontro alle dichiarazioni di Digilio e conferma della chiave di lettura della fonte Tritone.

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