Speciale 7 gennaio/5: Parole che rompono il silenzio/2
E’ trascorso un anno dall’uscita del nostro libro dedicato all’eccidio di via Acca Larenzia. In quei giorni non bastò tutto il nostro ottimismo per comprendere, in anticipo, le reazioni che avrebbe scatenato una pubblicazione della piccola editoria dedicata a una storia sempre più lontana nel tempo. Un numero impressionante di amici, conoscenti e ostinati sostenitori delle cause perse - a titolo personale o come gruppo organizzato - ha raccolto con immediatezza il nostro messaggio. E ha fatto proprio questo libro, impedendo sin dall’inizio che venisse degradato ad ennesimo esercizio intellettuale sugli anni di piombo. Grazie a iniziative spontanee, mai sollecitate dagli autori, sono state organizzate presentazioni in ogni parte d’Italia. Ancora oggi non accennano a smettere.
Persino i quotidiani più autorevoli hanno dedicato attenzione a quello che mai sino ad oggi era stato detto sulla tragedia di Acca Larentia. Alcuni lo hanno fatto in modo onesto e persino lusinghiero, altri con lo scopo dissimulato di svalutare la portata delle ricerche contenute nel libro. Non serve un particolare sforzo esegetico per capirne le ragioni. Ma l’attestato più significativo è giunto da quanti hanno vissuto sulla loro pelle quelle storie che noi ci siamo limitati a raccontare in poche pagine. Queste persone non si sono limitate ad aiutarci a scrivere il libro attraverso le consuete interviste. Ne hanno sposato apertamente le ragioni e continuano a sostenerlo in ogni occasione. E’ il caso di Barbara Zicchieri, degna sorella del nostro “cremino”. O di Marco Luchetti, il ragazzino che nell’attentato di via Gattamelata scampò alla morte solo per un bizzarro gioco del destino. Ma anche di Giuseppe D’Audino, Vincenzo Segneri e Maurizio Lupini, i tre giovani che quel sabato maledetto di gennaio uscirono dalla sezione missina di Acca Larentia insieme a Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. Chi è legittimato a farlo ha voluto dire a voce alta che questo libro appartiene a tutti noi. Chi lo ha scritto materialmente è un fatto secondario. Anche dal fronte opposto non sono mancati i riscontri. A sinistra sono abituati a scrutare dall’alto gli altri ambienti politici e non accettano facilmente l’idea che qualcuno abbia deciso di “invertire” i ruoli. Ma è stato esemplare il comportamento di Ugo Tassinari che, qualificandosi come vecchio amico e compagno di Luigi Rosati dinanzi a una sala gremita del Comune di Roma, ha voluto abbracciare simbolicamente Maurizio Lupini. Merita un plauso anche Andrea Colombo che ha voluto criticare in modo duro il libro, capendone però le finalità più profonde. Ci lusingano anche gli insulti che Valerio Morucci - simbolo autentico dell’antifascismo militante negli anni settanta - ha voluto indirizzarci con inattesa abbondanza nelle pagine del sito web Il Fondo. Altre iniziative sono state assunte, e per fortuna invano, al dichiarato scopo d’impedire che questo libro potesse circolare liberamente. Non le abbiamo volute mettere in piazza perché non meritavano pubblicità. Basti ribadire quanto abbiamo voluto sostenere sin dall’introduzione del libro. Crediamo fortemente che debba avere inizio la storicizzazione degli anni di piombo e a tutti noi viene chiesto d’uscire dal circolo vizioso della faziosità. Quando la distanza dai fatti diviene abissale, non può essere lo strumento giudiziario a rendere giustizia ai morti. E lo scrivere libri con l’intento di provocare indagini penali nei confronti di un avversario politico appartiene a una cultura giacobina che non ci stancheremo mai di disprezzare. Le finalità che hanno ispirato il nostro lavoro sono esattamente l’opposto.
Persino i quotidiani più autorevoli hanno dedicato attenzione a quello che mai sino ad oggi era stato detto sulla tragedia di Acca Larentia. Alcuni lo hanno fatto in modo onesto e persino lusinghiero, altri con lo scopo dissimulato di svalutare la portata delle ricerche contenute nel libro. Non serve un particolare sforzo esegetico per capirne le ragioni. Ma l’attestato più significativo è giunto da quanti hanno vissuto sulla loro pelle quelle storie che noi ci siamo limitati a raccontare in poche pagine. Queste persone non si sono limitate ad aiutarci a scrivere il libro attraverso le consuete interviste. Ne hanno sposato apertamente le ragioni e continuano a sostenerlo in ogni occasione. E’ il caso di Barbara Zicchieri, degna sorella del nostro “cremino”. O di Marco Luchetti, il ragazzino che nell’attentato di via Gattamelata scampò alla morte solo per un bizzarro gioco del destino. Ma anche di Giuseppe D’Audino, Vincenzo Segneri e Maurizio Lupini, i tre giovani che quel sabato maledetto di gennaio uscirono dalla sezione missina di Acca Larentia insieme a Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. Chi è legittimato a farlo ha voluto dire a voce alta che questo libro appartiene a tutti noi. Chi lo ha scritto materialmente è un fatto secondario. Anche dal fronte opposto non sono mancati i riscontri. A sinistra sono abituati a scrutare dall’alto gli altri ambienti politici e non accettano facilmente l’idea che qualcuno abbia deciso di “invertire” i ruoli. Ma è stato esemplare il comportamento di Ugo Tassinari che, qualificandosi come vecchio amico e compagno di Luigi Rosati dinanzi a una sala gremita del Comune di Roma, ha voluto abbracciare simbolicamente Maurizio Lupini. Merita un plauso anche Andrea Colombo che ha voluto criticare in modo duro il libro, capendone però le finalità più profonde. Ci lusingano anche gli insulti che Valerio Morucci - simbolo autentico dell’antifascismo militante negli anni settanta - ha voluto indirizzarci con inattesa abbondanza nelle pagine del sito web Il Fondo. Altre iniziative sono state assunte, e per fortuna invano, al dichiarato scopo d’impedire che questo libro potesse circolare liberamente. Non le abbiamo volute mettere in piazza perché non meritavano pubblicità. Basti ribadire quanto abbiamo voluto sostenere sin dall’introduzione del libro. Crediamo fortemente che debba avere inizio la storicizzazione degli anni di piombo e a tutti noi viene chiesto d’uscire dal circolo vizioso della faziosità. Quando la distanza dai fatti diviene abissale, non può essere lo strumento giudiziario a rendere giustizia ai morti. E lo scrivere libri con l’intento di provocare indagini penali nei confronti di un avversario politico appartiene a una cultura giacobina che non ci stancheremo mai di disprezzare. Le finalità che hanno ispirato il nostro lavoro sono esattamente l’opposto.
Valerio Cutonilli
Luca Valentinotti
Acca Larentia Il libro
In questa Italia senza cuore capita persino di sentir polemizzare su chi non c’e’ piu’. E davvero pochi possono comprendere la portata morale di un dolore che si rinnova per una comunita’ intera il 7 gennaio di ogni anno, quando tutti noi pensiamo, chi con la presenza, chi con la mente e il cuore, a Franco Bigozetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, trucidati barbaramente trentaquattro anni fa nell’eccidio romano di via Acca Larenzia. Io non riesco proprio a dimenticare quella giornata. Vissi qualcosa di simile poco piu’ di un anno dopo, nello stesso luogo, mentre affiggevo manifesti sopra la sezione, e per fortuna oggi lo posso raccontare. I Caduti del ’78 hanno lasciato invece tutti noi nel rimpianto. Quei momenti ci appartengono e c’e’ un diritto a ritrovarsi a commemorare i propri ragazzi assassinati. Ma un antifascismo molto stupido punta ad impedirlo, quasi che la memoria possa essere sottratta. Spero che quanti si ritroveranno oggi ad Acca Larenzia – io non potro’ perche’ impegnato col partito fra Torino e Genova – non accettino provocazioni che altri vorrebbero inscenare.
Franco, Francesco e Stefano, e un anno dopo Alberto Giaquinto – quanto e’ lungo il martirologio dei militanti del Msi… – meritano rispetto. Il rispetto che si deve a chi ha sacrificato la vita a un’idea, sapendo quanto era odiata la nostra generazione da avversari politici che ci individuavano come nemici. Lo si sapeva, in quei vent’anni, che ogni giorno poteva essere l’ultimo. Eppure non si mollava.
E oggi, tanti giovani nati anni dopo quella orrenda strage, commemorano quei Caduti senza averli mai conosciuti. E’ la straordinaria forza del mito, è il valore unificante del sacrificio che ci fa amare quanti hanno dato tutto di sé per le idee che professiamo.
Ho scritto qualche tempo fa ed e’ ancora attuale: “Erano magnifici i nostri giovani; sapevano di combattere una delle battaglie più difficili, quella nelle file del Msi, e non inseguivano certo posti nei consigli comunali o in Parlamento. Era molto più importante mettere bandierine tricolori con i manifesti che si affiggevano ogni notte nei punti più disparati di Roma”. Anche nel loro nome, continuiamo a combattere la nostra battaglia politica. Non abbiamo visto nostri coetanei cadere sul selciato invano; c’e’ una destra profonda che vive e lotta. Hanno tentato di sterminarla con le pallottole, non ci sono riusciti. E per questo non deve riuscirci nemmeno il Palazzo.
Francesco Storace
Segretario La DestraÈ il giorno del ricordo proibito. O meglio, del ricordo che qualcuno vorrebbe proibire. A maggior ragione noi ne parliamo senza veli e senza ipocrisie, senza sconti nei confronti di chi si veste ancora da giudice censore (l’Anpi) o di chi vuole ancora agitare il vecchio fantasma dell’antifascismo a scopi politici (la sinistra). La strage di Acca Larenzia resta una delle pagine peggiori degli anni di piombo e così dovrebbe essere letta da tutti, senza distinguo. Le vittime erano ragazzi, semplicemente ragazzi, che furono uccisi a sangue freddo mentre uscivano da una sezione del Msi. La loro unica colpa, essere di destra. Era il 7 gennaio 1978. Da allora tutto è cambiato tranne l’atteggiamento delle associazioni di partigiani e della sinistra che s’illudono di imporre la damnatio memoriae perché – per loro – quando si tratta di giovani di destra non esiste una verità consolidata, tutto va sempre rimesso in discussione, spuntano ombre, sospetti, magari faide interne. E se queste ombre non vengono fuori, fa lo stesso perché l’obiettivo è cancellare la nostra storia, perché è una storia che dà molto fastidio, soprattutto alle loro coscienze. Non è una questione di fascismo e antifascismo: la destra degli anni Settanta era l’unica che cercava di tirare fuori dal fango quei valori scivolati nell’oblio, sui quali oggi in molti vorrebbero mettere le mani. Era la destra che non credeva ai dogmi imposti, che reagiva all’arco costituzionale, che sopravviveva alla criminalizzazione e al ghetto. Era la destra che aveva coraggio. Quel coraggio che manca oggi a una certa destra che riesce a dividersi anche sulla commemorazione di Franco, Francesco e Stefano, prestando il fianco a critiche solo per una questione di stellette, “quelle vittime appartengono a noi”, “no, sono nostre”. Svegliatevi, sono vittime che appartengono a un’intera comunità politica e che dovrebbero appartenere a tutto il Paese, se l’Italia fosse un Paese normale. Proprio per questo, invece di spaccarci, facciamo in modo che non la spunti chi vuole la damnatio memoriae.
Girolamo Fragalà
Secolo d'Italia
Sabato 7 gennaio alle ore 18,00, come ogni anno, sarò in via di Acca Larenzia a Roma per commemorare con un "Presente" il sacrificio di Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti, Stefano Recchioni, uccisi il 7 gennaio 1978 davanti alla sede del MSI Tuscolano, e simbolicamente tutti gli altri camerati caduti, senza alcuna distinzione. Per chi non è malato di protagonismo e basse speculazioni, l'importante è ricordare i valori ideali e di giustizia sociale che animavano quei ragazzi. Delle miserie umane dell'"ambiente" circostante, come dell'attuale società, sicuramente diversa da quella per cui allora lottavano Francesco, Franco, Stefano e tanti altri, non me ne frega assolutamente nulla.
Roberto BevilacquaFiamma tricolore
(5-continua)
Commenti vari da parte di chi, per il percorso politico e morale, dovrebbe tacere dato che i tre ragazzi li uccide solo con la sua presenza verbale !
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