Macchi e Bianco commemorano Alessandro Alibrandi 2a edizione
E' stata una manifestazione nel segno della sobrietà il memorial per il trentennale della morte di Alessandro Alibrandi, "Cuori dimenticati", che si è svolto ieri sera al teatro Cassia. Lo ha sottolineato Lele Macchi, il "bandito", l' "anarco-fascista", a cui i fratelli Lorenzo e Cristina Alibrandi hanno affidato il compito della commemorazione. Niente "Presente" e poche parole, per ricordare la scelta e il segno aristocratico di chi ha deciso di adottare il silenzio come modo più adeguato per rispettare e restituire il senso di quegli anni. Del resto, sul carattere nichilista più che fascista di certe scelte di Alibrandi offre una testimonianza significativa Claudia Serpieri, all'epoca la sua ragazza. Quando le annuncia la decisione di "interrompere" il rapporto, lui le cita come motivazione l'anarchico Nacaev, il pupillo di Bakunin: "Il rivoluzionario deve essere solo". Così è stato.
A condurre la serata, organizzata dall'Associazione Nessuno resti indietro, Francesco Bianco che con Alibrandi ha condiviso il percorso dalla militanza di piazza alla "guerriglia nera".Questo il testo del suo intervento:
"A 30 anni dal martirio di Alessandro, ci ritroviamo qui per ricordare e ricordarci, da vivi, che la vita va vissuta con onore e dignita’.
Onore e dignità che si acquisisce e prende forma anche con piccoli gesti quotidiani: aiutando un camerata in difficoltà, sostenendo le proprie idee in maniera disinteressata, evitando di farsi intrappolare dalle lusinghe a cui una società corrotta vorrebbe conformarci, affrontando a viso scoperto chi ci vorrebbe relegati nei libri faziosi di storia o nelle cronache giudiziarie.
Non è vittimismo ricordare che la cultura e la prassi antifascista ci voleva morti, o, nel migliore dei casi, ghettizzati, che è poi come volerci condannati alla morte civile.
E’ stato un martirio, quello di Alessandro, consumato nell’inferno di una guerra civile che non voleva finire. Un dramma che si è consumato sotto gli occhi impietosi di una borghesia vigliacca e di un neoantifascismo assassino che imputava ai figli quello che non sono stati in grado di capire dei padri.
Ancora ai nostri giorni, preoccupanti segnali ci fanno capire che i seminatori di odio antinazionale - che abbiano giacca e cravatta o fazzoletti rossi e molotov - sembrano dover ancora inzuppare il pane nelle divisioni che sono tanto anacronistiche quanto utili ai padroni del vapore. Gli stessi manovratori che hanno sulla coscienza la decadenza di un popolo: morale, sociale e culturale. E i loro servi, sempre attivi nel favorire i giochi di Potere.
Dignità chiediamo per chi in quegli anni si è sacrificato, per difendere non solo la dignità e gli ideali, ma anche il diritto alla vita. Dignità per chi si è trovato, spesso isolato nello stesso contesto in cui si è formato, a fare scelte drammatiche e spesso senza ritorno. E la vita si onora, onorando le proprie Idee, con quell’intransigenza che qualche volta ha bisogno di mostrare i muscoli.
Dignità per i nostri Caduti, quindi, se si vuole tentare veramente di chiudere una pagina drammatica di storia del nostro Paese. Non potremo mai aspirare ad una vera pacificazione se a dettare condizioni e modi saranno gli eredi della cultura dell’odio e del pregiudizio.
Alessandro, molti di noi ti conoscevano e ti volevano bene. E il tuo viso sereno e sorridente avrà conquistato anche gli abitanti dei Cieli che 30 anni fa ti hanno accolto. Hai scelto di morire giovane, per non invecchiare senza vivere. Hai scelto la via del martirio in nome di una vita degna di essere vissuta, spezzata nel pieno degli anni della gioventu’. Ed e’ per questo che noi oggi ti ricordiamo. E onoriamo."
Qualcun altro degli organizzatori ha contestato le mie riflessioni sulla natura di "cerimonia privata" data all'evento, suggerite da un articolo di Gabriele Adinolfi, riflessioni percepite e vissute come una critica sull'impegno profuso. Cosa che non era nelle mie intenzioni. Resta, invece, in tutta evidenza, aperto il nodo di una gestione della memoria che non riesce a farsi condivisa neppure nel solo ambito della fascisteria.
Grande lettura quella di Francesco.
RispondiEliminaIl martirio, però, non è un dramma: il martirio autoinflitto è un cristallo impolitico. I cristalli si osservano, con stupore; sono pietre miliari.
Che i padri non capiscano è un topos. La dignità applicata ai cristalli è incongruente, senza contare che non tutti i caduti sono cristalli. Nessuno vuole chiudere quella fase drammatica perché nessuno è all'altezza morale ed esistenziale né di quegli anni, né di quelle scelte transumane. L'odio e il pregiudizio sono alla base della cultura del "politicamente corretto", che ha ribaltato l'ordine dei fattori per lasciare intatto il prodotto: quindi continuerà. L'inutilità e l'impotenza della sinistra si misurano nell'adesione al metalinguaggio del "politicamente corretto", che rappresenta la resa alla cultura della sinistra liberale mondiale, egemone ovunque: nichilismo valoriale e adesione completa all'ordine del Capitale. La cultura della sinistra liberale ha soppiantato ogni altra cultura di sinistra, e i risultati sono molteplici: la pseudo tolleranza, l'invito a mondarsi dalle colpe, il perdono (versione cattolica del "politicamente corretto"), la finta comprensione, i "diritti umani", l'esportazione della democrazia, l'uniformità del mondo. Onestamente, un grande risultato per il caos e la geopolitica del caos perseguita dagli angloamericani. Un giovane uomo che scaglia la propria vita e diventa un cristallo di luce non serve per l'oggi ma per la storia delle generazioni eretiche che preferirono il rogo.
In tutti i casi, una grande lettura quella di Francesco.
Omnia vincit amor. L'odio che succhiammo dalla nutrice Acca Larentia ancora ossida i nostri cuori. Verità e giustizia vogliamo questo sì, ed il principio del diritto è: Ut ne cives ad arma ruant. Il Diritto esiste perchè i cittadini non corrano alle armi, non si facciano giustizia da soli. Quindi dateci Verità e Giustizia. Questo rivolto a quelle frazioni di uno stato(minuscolo) in dissoluzione. L'odio non appanni, non indebolisca la nostra volontà di lotta per un'Italia onorata e bella, che renda bello il mondo.
RispondiEliminaSarebbe interessante sapere a chi si riferiscono quando parlano di "eredi
RispondiEliminadella cultura dell’odio e del pregiudizio."
Si riferiscono forse ai familiari delle vittime del terrorismo, ivi compresi quindi i familiari delle vittime dei Nar di cui Alibrandi faceva parte?
E questo proclama non incita, sotto sotto,alla violenza fisica e a quella armata?
Mistero anche su questa parte: "Onore e dignità che si acquisisce e prende forma anche con piccoli gesti quotidiani: aiutando un camerata in difficoltà, sostenendo le proprie idee in maniera disinteressata, evitando di farsi intrappolare dalle lusinghe a cui una società corrotta vorrebbe conformarci, affrontando a viso scoperto chi ci vorrebbe relegati nei libri faziosi di storia o nelle cronache giudiziarie."
Aiutare un camerata in difficoltà in che senso?
e quel "sostenere le proprie idee in maniera disinteressata" vale per tutti?Anche per chi non è fascista?
Riguardo poi al concetto di martirio anche qui ci sarebbe molto da dire: martire fu Mario Amato, lasciato completamente solo a indagare contro gente del calibro di questo Alibrandi. Martiri furono i poliziotti uccisi dai terroristi, martiri (senza volerlo) furono le povere vittime che i Nar ammazzarono "per sbaglio".
Ma gli organizzatori di tale manifestazione le sanno almeno queste cose?