Tilgher rilancia sulla pregiudiziale identitaria
Sarà un congresso a mozione unica, quello della Destra, ma il partito resta spaccato, nonostante la tregua dichiarata tra la maggioranza di Storace e la minoranza di Tilgher. E qust'ultimo ripropone, in questo intervento, i termini della sua proposta alternativa al riposizionamento della Destra nell'attuale maggioranza di governo.
di Adriano Tilgher
La pregiudiziale identitaria. Non bisogna avere paura delle parole, ma soprattutto non bisogna aver paura di essere se stessi. Proprio un partito identitario può raccogliere al suo interno uomini e donne che vengano da altre esperienze e che si riconoscano in un cammino comune, che può anche essere temporaneo, ma che deve diventare momento magico di aggregazione e non drammatica situazione di confusione.
Annacquarsi e celarsi per avere altri con sé, significa perdere senza speranza e non avere futuro.
Possiamo forse negare di essere i portatori di alcuni valori essenziali nella politica? Vogliamo vergognarci di credere nella supremazia della politica sull’economia? Vogliamo forse far credere che anche noi vogliamo partecipare al grande banchetto della casta? O vogliamo ribadire ciò in cui abbiamo sempre creduto che la politica, cioè, è un’arte nobile e che la degenerazione dello spettacolo dei sedicenti politici di oggi riduce al rango di antipolitica, la vera politica?
Abbiamo sempre sostenuto che un popolo senza radici è un popolo senza storia, ed un popolo senza storia difficilmente avrà un futuro. La stessa idea vale per la politica. Un partito che non ha ben salda la consapevolezza del suo passato e ben chiara la visione del suo futuro difficilmente avrà vita durevole.
Il nostro partito, La Destra, è nato proprio per non rinunciare alla sua storia di coerenza, per proiettarsi, sì, nel futuro ma con la netta consapevolezza del proprio passato. La storia del MSI e di tutto ciò che girava in quella vasta “area sommersa”, che vide in Almirante, Michelini, Romualdi, Borghese… i propri riferimenti, sono i nostri passaggi obbligati di riferimento. Le radici da cui prendeva spunto quella storia costituiscono i presupposti dottrinari del nostro incedere nella politica attuale.
Non si tratta di ideologia ma di concezione della vita e quindi di dottrina. Come fare a credere in un percorso futuro, se si rinuncia al proprio passato. Oggi che la crisi non è solo economica e sociale, ma è anche culturale, etica e valoriale, c’è bisogno, più di ieri, di identità certe e ben riconoscibili. Questa pregiudiziale identitaria fa proprio la differenza tra i partiti degli affari e noi, solo con questa pregiudiziale ben chiara possiamo far entrare nel partito ogni persona che si riconosca nei nostri programmi, e possiamo, altresì, fare accordi con chiunque.
E’ questa identità, fatta di valori, di etica, di storia, di tradizioni, di voglia di gioventù e di proiezione verso il futuro, che ci rende diversi dalle varie caste e dagli altri partiti: è il nostro punto di forza, marca la differenza.
Qualcuno ha scritto che dobbiamo decidere se aprirci alla società o chiuderci in noi stessi. Non si fanno i partiti per chiudersi in se stessi, servono le torri d’avorio. Proprio per aprirsi agli altri bisogna essere consapevoli, e profondamente, del proprio essere per poi plasmare la società secondo alcuni precisi paradigmi culturali. Fingere per ingannare il prossimo non ci appartiene. Non faremmo così il partito nuovo di cui abbiamo sempre parlato ma l’ennesimo contenitore privo di spina dorsale e di punti di riferimento.
Il Pdl già c’è, farne un altro non ha senso. Siamo nati per non liquefare la nostra identità in contenitori di vario genere, dopo quattro anni di lotte e sacrifici sarebbe follia farlo adesso.
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