Le torture della Barona e le bugie di Cesare Battisti
Dalla rivista web Senza Soste |
Nel suo delirio di onnipotenza e di impunità Cesare Battisti si spinge a superare un altro limite: quello dell'infamia. L'occasione: l'intervista a un settimanale brasiliano ripreso da La Repubblica.it:
"Non posso pentirmi di ciò che non ho commesso - dice dalla prima pagina della rivista l'ex militante dei Proletari armati per il comunismo - Mi accusano di omicidi i cui responsabili sono stati arrestati e torturati". E quando gli omicidi sono stati commessi, assicura, "io non facevo più parte dei Pac".
Ma la storia è andata diversamente. La racconta così, nello scorso mese di gennaio, la rivista web Senza soste, citando la rivista storica "Primo Maggio", diretta da Primo Moroni, che all'episodio della tortura ai militanti del collettivo Barona dedicò un'appassionata controinchiesta trent'anni fa:
"L’affare Torregiani visto, a causa della condanna, come legato indissolubilmente alla vicenda penale di Cesare Battisti. La storia ci racconta invece altro. Molto altro. Ci racconta ad esempio che, a seguito della morte del gioielliere Torregiani, il collettivo autonomo Barona fu arrestato in solido e torturato nella maggioranza dei suoi membri. Un capitolo della guerra sporca italiana della fine degli anni ’70 che i media ufficiali, con tocco orwelliano, si badano bene dal raccontare. All’epoca infatti i media milanesi e nazionali avevano già trovato negli “autonomi della Barona” non solo i responsabili della morte di Torregiani ma anche gli aderenti ad una banda di gangster che, a loro dire, terrorizzava quelle zone. Del nome di Battisti neanche l’ombra. Cosa successe all’epoca? Riportiamo alcuni passi della rivista allora diretta da Primo Moroni: "Lo scagionamento e l'estraneità all'omicidio Torreggiani rendono più allucinante e significativo il trattamento subito dai giovani durante l' "operazione": inaugurando una tecnica che avrà in seguito altre applicazioni, gli autonomi della Barona vengono torturati selvaggiamente da agenti e funzionari della Digos per costringerli a confessare il delitto. Pestaggi a pugni e schiaffoni, cerini accesi sotto i piedi e i testicoli, bastonate sul torace attraverso una coperta per non lasciare segni, ingerimento forzato di acqua mediante un tubo di gomma, botte sulle tempie con le nocche delle mani e cosi via; due degli arrestati devono essere ricoverati in ospedale. Il Collettivo Autonomo Barona, ben conosciuto organismo autonomo, continuamente corteggiato dai "partitini" della città, senza nessuna copertura politica e perfettamente noto alla polizia per la sua frenetica attività, si dimostra all'occasione il modello ideale per la criminalizzazione e la distruzione di una pratica politica incontrollabile e irriducibile. Il Collettivo viene "scelto", per le sue caratteristiche, come esempio per inquinare un'area già fortemente sospetta agli occhi dell'opinione pubblica e per inaugurare un nuovo corso, più selvaggio e indiscriminato, della repressione, che porterà a una lettura esclusivamente criminale di un lungo e complesso percorso politico"
L'articolo di "Senza soste" è dello scorso mese di gennaio, quando infuriava la polemica sulla decisione brasiliana di non consegnare Battisti all'Italia e mi spiega perché, nonostante tutto e malgrado il beneficiario, sia stato giusto sottoscrivere l'appello in difesa di Battisti, che pure qualche rogna mi ha procurato:
E nessuno oggi che ricordi le torture di allora: lo stesso caso Battisti, la stessa legislazione di allora finirebbe per essere vista per quello che era. Un supporto ad una guerra sporca in un nome di uno stato che si voleva, nelle apparenze, democratico. Eppure la storia dell’autonomia della Barona è molto più ricca di quella dolorosa, circoscritta vicenda.
Qui, invece, è possibile leggere la testimonianza di una delle vittime, Sisinio Bitti, prosciolto in istruttoria dall'accusa di omicidio.
A iniziare il pestaggio è un poliziotto che poi guadagnerà fama nazionale per tutt'altre vicende: Eleuterio Rea, il capo della Digos divenuto comandante dei vigili urbani di Milano. Uno sbirro tosto, ma ammalato della "febbre da cavallo". E per aiutarlo a risolvere i suoi problemi intervenne a suo sostegno l'amico Antonio Di Pietro, parlando con gli imprenditori Giancarlo Gorrini e Antonio D' Adamo, perché smettessero di giocare alle corse, gli uni contro gli altri e, soprattutto, mettessero fine ai debiti di gioco di Rea. Iniziativa generosa ma inutile. Che lo stesso Rea è morto giovane, a 58 anni, di crepacuore. Qualche anno fa, in una stradina alle spalle dell'ippodromo di San Siro.
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