La tragedia di rione Monti/5 Per la Digos storia di ultras non di fasci
ROMA - Boccea, Aurelio, Monteverde, Prati. E poi da qualche tempo anche il Rione Monti. Croci celtiche, svastiche, simboli della destra più estrema. Slogan da ultrà. Un intreccio di mondi che dalla strada arriva all'Olimpico e poi torna indietro. È la galassia di gruppi a sfondo politico-ultrà che si spartisce porzioni di territorio cittadino dai confini ben definiti. «Ma anche una realtà virtuale che si sviluppa soprattutto sulla Rete e che si aggrega con scritte murali e slogan. Gruppi - spiegano gli investigatori della polizia che indagano sul pestaggio di sabato scorso e che ieri hanno svolto una serie di perquisizioni domiciliari - che tuttavia, prima d'ora, non erano mai stati coinvolti in azioni dirette. Parlare di "squadristi fai da te", come è stato fatto in questi ultimi giorni, è forse un'esagerazione, una specie di "complimento" per queste persone che non hanno mai fatto il salto di qualità». Proprio ieri il sindaco Gianni Alemanno ha sottolineato che per la vicenda di Monti «non si tratta di un problema di violenza politica, ma di violenza ultrà da stadio. Sappiamo bene - ha aggiunto - che ci sono delle bande attive allo stadio, più o meno colorate politicamente, e da questo punto di vista dobbiamo essere molto attenti e vigili. Esistono sacche violente che devono essere represse per evitare che possano succedere cose come quella accaduta a Monti la settimana scorsa».
«Sul versante di queste nuove bande giovanili - sottolineano ancora gli analisti - bisogna ricordare che al centro di tutto c'è un misto di teppismo, bullismo e maleducazione che si uniscono alla necessità di queste persone di apparire e di essere identificate in un certo modo. Di darsi anche un nome. Lo stadio è poi un'affermazione di esistenza, un segno distintivo, un luogo di riferimento per essere riconosciuti». Saluti romani postati su Facebook, tatuaggi con i motti fascisti «Me ne frego!» e «Boia chi molla» sarebbero invece il contorno «di un ambiente permeato a parole di valori universali, riconosciuti da qualsiasi parte, come patria, onore, amicizia, cameratismo - sottolineano infine gli specialisti della polizia - che poi si riducono a slogan pronto-uso. In questo senso per questi personaggi il fatto di appartenere all'estrema destra è soltanto un modo di essere, di aggregarsi, non certo un fattore ideologico, che nella maggior parte dei casi viene completamente ignorato».
Rinaldo Frignani
Articolo sul Corriere della Sera, Cronaca di Roma, pagina 1 e 2
Dovremmo sempre ribadire la lontananza dalla teppaglia (ben distinta dalla Santa Teppa), anche solo per non dare una sponda ai pennivendoli servi della democrazia, che non aspettano altro che un nostro passo falso.
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