La vita e le opere di Giorgio Vale
(umt)Il post di ieri sera sulla morte di Giorgio Vale non rendeva conto a pieno della sua figura. Rimedio subito pubblicando il ritratto dedicatogli nella prima edizione di Fascisteria.
Anche Giorgio Vale, l’ultima vittima della maledizione del cinque, proviene, come Francesca Mambro dall’attivismo di piazza ma senza esperienza nel Fronte: “the drake” è uno dei tanti pischelli che “nasce” con Lotta studentesca e “cresce” con TP. Ha compiuto da due mesi diciott’anni quando, per l’arresto di Nistri e Dimitri, si trova alla testa del nucleo operativo. Consapevole dei suoi limiti – qualità rara in un ambiente di gasati – e dell’inaffidabilità dei suoi capi (Fiore ed Adinolfi) sceglie di affidarsi a Valerio Fioravanti, riconoscendone le indubbie qualità di leader. Una scelta che segnerà la sua breve vita. Morirà a vent’anni e mezzo, molto probabilmente ammazzato dalla polizia anche se la versione ufficiale parla di suicidio. Il 5.5.82: la quinta vittima della maledizione non poteva che cadere di maggio.
Mulatto, capelli neri crespi e carnagione olivastra, Vale può tranquillamente militare nei ranghi della destra radicale degli Anni ‘70. Il vangelo di quella generazione è “La disintegrazione del sistema” di Freda, ancora lontano dei rigurgiti neorazzisti del Fronte nazionale degli anni ‘90, che al mito dell’Europa “vecchia baldracca, rotta a tutti i puttaneggiamenti” contrappone “lo stile sobrio e spartano dei vietcong”. Vale è più volte fermato o identificato durante volantinaggi, ronde, picchetti e una volta è arrestato per rissa. Vice di Nistri, partecipa alla gambizzazione di Ugolini. Quando diventa responsabile del nucleo incrementa il finanziamento illegale sottraendosi al controllo di Fiore. Dopo poco più di un mese dalla “promozione” si fa coinvolgere nell’omicidio dell’agente Arnesano. Gli cade anche la pistola durante la fuga ma Valerio esprime un giudizio positivo della sua partecipazione.
“A Roma – spiega un dirigente di TP – già esistevano rapporti di scambio di armi e di favori tra i vari gruppi operativi. Lui curava già i contatti, poi si ritrova improvvisamente privo di una figura carismatica che gli dice cosa fare e non ha la maturità per assumere un ruolo che non può essere ricoperto da Fiore. Vale sa benissimo che Robertino è un figlio di puttana, uno che lo usa, non il capo in cui avere fiducia. Saltata l’intermediazione di Nistri lui realizza il rapporto veramente strumentale con i vertici di TP e diventa facile preda dell’accelerazione militarista di Fioravanti. Va a “fare” Arnesano per disarmarlo e si trova complice in un omicidio. E’ uno dei più coscienti del fatto che è entrato in una situazione che non ha liberamente determinato eppure una volta che ci sta la vive fino in fondo. In seguito dirà esplicitamente che Valerio uccide Arnesano per legarlo in un perverso patto di sangue”.
Mette su una batteria di minorenni: Belsito, Ciavardini, Soderini. Rapinano la collezione di armi di un amico di Elena Venditti, figlia del cronista parlamentare di Paese Sera, fidanzata di Ciavardini e prima di Fiore. Le banche, con grande sfrontatezza, le scelgono sotto casa: la Banca d’America e d’Italia di corso Trieste, con Ciavardini e due “bori”, i giovani malavitosi indipendenti; l’agenzia 36 del Credito Italiano; la BAI di Vigna Clara, un’altra roccaforte di TP; il garage Italia, ancora al quartiere Trieste. Vale partecipa all’assalto al Giulio Cesare, un liceo dove ha svolto spesso attività politica. È nel gruppo di fuoco con Valerio, Francesca e Ciavardini, mentre la copertura è assicurata da Cavallini, De Francisci e Rossi. Gli è affidato l’impatto sull’agente isolato nel cortile mentre Valerio e Francesca si occupano dei due uomini a bordo dell’auto civetta. Apre subito il fuoco su Manfreda che si è accorto dell’agguato e così salta il “processo” programmato col disarmo della pattuglia: una leggenda urbana vuole che la vittima di Vale simpatizzasse per TP e che pur avendolo riconosciuto si sia rifiutato di farne il nome. È possibile che un poliziotto in servizio fisso nel liceo più “nero” di Roma abbia riconosciuto un attivista scalmanato, dalle caratteristiche fisionomiche spiccate: e questo spiegherebbe la decisione di aprire il fuoco a freddo. Il resto sono solo boatos. Vale scappa con Ciavardini, ferito da un colpo di rimbalzo. I due cadono dalla vespa e si allontanano rapinando un taxi. Riprendono le rapine, si accentua il distacco da TP. Nei convulsi giorni che seguono la strage di Bologna si consuma la separazione definitiva.
La rapina all’armeria Fabbrini è l’occasione per la definitiva fusione tra la banda Fioravanti e i pischelli di TP. Il rapporto di Vale con il movimento resta ambiguo: accusa Fiore di essersene scappato con la cassa ma fa sapere a Mangiameli che Valerio lo vuole ammazzare. Partecipa al delitto ma vi è trascinato per i capelli. Intanto le sue capacità operative si affinano. Quando a Dario Mariani, un altro capozona di TP passato in clandestinità, scippano un borsello con 17 milioni, i due eseguono in tre giorni due rapine per riparare il danno. Quando il 13 novembre incappa con Cristiano in un controllo dei carabinieri è lui a guidare il disarmo, facendo infilare al brigadiere la testa nel cofano posteriore con un pretesto e poi saltandogli alla gola e puntandogli la pistola alla testa. Per avvalorare la pista di una strage organizzata dai ragazzini è coinvolto nel depistaggio del Sismi: sarebbe stato lui, secondo la soffiata di Belmonte, ad acquistare i biglietti per i terroristi stranieri che trasportano armi ed esplosivo sul treno Lecce–Bologna. Mentre gli “spioni” tramano ai suoi danni, la principale preoccupazione di Vale è di punire i traditori. Si procura i verbali delle confessioni di Perucci, capocuib del quartiere Trieste, e li discute con Belsito. I due sono molto legati: due soldati disciplinati, di poche parole, con una forte attitudine all’azione. Belsito le conclusioni di quella lettura le trae in proprio: va da solo ad ammazzare il “traditore” e scappa all’estero.
Vale resta in prima linea. Dedica le sue attenzione a un altro “infame”: quel Pizzari che è sospettato di avere “venduto” Nanni de Angelis e Ciavardini. Assiste dall’altro lato dell’argine alla sparatoria di Padova in cui resta ferito Valerio ma si sgancia senza rendersi conto della situazione. Torna a Roma con Francesca e Gigi e per qualche mese vivacchiano di rapine. L’unica operazione tentata – l’attentato contro il funzionario della Digos considerato responsabile delle torture su Nanni – fallisce per una svista clamorosa. L’inchiesta è svolta sul fratello, commissario della Mobile, che abita nel palazzo di Vale. Alla fine non se ne fa niente. Vale è sempre presente nel gruppo di fuoco degli ultimi Nar, quello diretto da Alibrandi. E’ lui ad uccidere Pino De Luca sorpreso in casa sotto la doccia. Pur essendo un fanatico di armi e un ottimo tiratore (“È incredibile Giorgio – commenterà con un altro latitante Belsito – legge solo di armi, non l’ho mai visto con un bel libro politico in mano, chessò di Hitler”) non ha un ruolo da protagonista negli attentati.
Vale resta in prima linea. Dedica le sue attenzione a un altro “infame”: quel Pizzari che è sospettato di avere “venduto” Nanni de Angelis e Ciavardini. Assiste dall’altro lato dell’argine alla sparatoria di Padova in cui resta ferito Valerio ma si sgancia senza rendersi conto della situazione. Torna a Roma con Francesca e Gigi e per qualche mese vivacchiano di rapine. L’unica operazione tentata – l’attentato contro il funzionario della Digos considerato responsabile delle torture su Nanni – fallisce per una svista clamorosa. L’inchiesta è svolta sul fratello, commissario della Mobile, che abita nel palazzo di Vale. Alla fine non se ne fa niente. Vale è sempre presente nel gruppo di fuoco degli ultimi Nar, quello diretto da Alibrandi. E’ lui ad uccidere Pino De Luca sorpreso in casa sotto la doccia. Pur essendo un fanatico di armi e un ottimo tiratore (“È incredibile Giorgio – commenterà con un altro latitante Belsito – legge solo di armi, non l’ho mai visto con un bel libro politico in mano, chessò di Hitler”) non ha un ruolo da protagonista negli attentati.
Negli omicidi (Pizzari, Straullu) svolge compiti di staffetta e di autista, per restare al fianco di Francesca. Nelle rapine, dove è maggiore il rischio di conflitti a fuoco, ha compiti di copertura, un ruolo che richiede freddezza ed esperienza. Questo è il suo ruolo nella rapina al gioielliere Marletta, un colpo miliardario che rappresenta la fusione tra i Nar e la banda di ex tippini che si è aggregata intorno alla personalità carismatica di Nistri, che ha conservato una forte influenza sullo stesso Vale. La nuova banda passerà alla cronache giudiziarie come i NAR2, dal nome del maxiprocesso che ne ha giudicato le attività. Agli inizi di novembre i giornali danno grande risalto alla mancata cattura della Mambro e di Vale. La notte del 6 novembre i due se la sarebbero cavata ancora una volta, dopo un conflitto a fuoco tra la Pontina e la Laurentina. I poliziotti la raccontano così ai cronisti: una civetta della Digos incrocia alle 4 un’auto sospetta, rubata il giorno prima al Policlinico, con tre persone a bordo, che essendosi accorte di essere seguite aprono il fuoco. Gli agenti rispondono con una raffica di mitra, bucando due ruote. Dei venti proiettili che attraversano l’abitacolo, fortunosamente solo uno colpisce alla spalla Vale che è al fianco del conducente. I tre ripiegano nella boscaglia, aprendosi la strada sparando e lasciano nell’auto una macchia di sangue. A togliere i dubbi tre giorni dopo un volantino: la sparatoria di Mostacciano è una trappola, per far uscire allo scoperto parenti e amici di Vale e dare qualche traccia per la sua cattura. È il secondo anello di una lunga catena di lavori sporchi ai suoi danni. Il pomeriggio del 4 marzo, secondo un rapporto dei carabinieri che pedinano gli avanguardisti Tilgher, Giorgi e Palladino, Vale lo avrebbe trascorso nei locali della società di quest’ultimo, l’Odal I.
Tilgher smentirà sdegnosamente (“Vale, come si accerterà, era in quel momento a centinaia di chilometri di distanza”. Lascia perplessi un particolare: l’estensore del rapporto sostiene di aver riconosciuto Vale dalla pubblicata dopo la sparatoria di piazza Irnerio del 5 marzo. È possibile che un sottufficiale che indaga sulla strage di Bologna non avesse mai visto la foto di un noto latitante ritenuto protagonista dell’operazione “terrore dei treni” (solo gli “spioni” del Supersismi all’epoca sanno che Vale era vittima di un’operazione “sporca”)? Il giorno dopo, durante il conflitto a fuoco all’esterno della banca è Vale che sorprende alle spalle l’agente Espa che ha aperto il fuoco sui rapinatori: lo colpisce e consente al commando di sganciarsi. Si allontana a piedi, spara una mitragliata su due poliziotti che lo scambiano per un collega (succederà ancora il mese dopo: una vecchina vedendolo con un mitra in mano a pochi passi da una banca lo avverte che è in corso una rapina, lui la rassicura: aspetta i colleghi per bloccarli…), si appropria di un’auto abbandonata da un conducente terorizzato e poi a una pompa di benzina si fa dare le chiavi di una Alfa Romeo spacciandosi ancora per poliziotto. Quando più tardi il medico lo avverte che solo un intervento chirurgico può salvare Francesca non ha dubbi e organizza il trasporto in ospedale. Resta fino all’ultimo di guardia vicino a Francesca di cui è profondamente innamorato per impedire un’esecuzione sommaria. Il giorno dopo telefona al “pischello” nel cui garage lei è stata sommariamente curata: è il suo ufficiale di collegamento. La polizia è già arrivata nella casa e il “ragazzino” cerca di farglielo capire ma Giorgio da questo orecchio non ci sente e insiste: ci vediamo al metrò. Hanno un codice preciso, a secondo del giorno è fissata una stazione per l’appuntamento. Chi controlla il telefono non ha il tempo di mobilitare molti uomini e così le pattuglie disseminate lungo la linea sono sparute.
Vale è in compagnia di Nistri e di qualche altro camerata, nei pressi della fermata Furio Camillo. Li avverte: “Ho un appuntamento, ci rivediamo qui tra mezz’ora”. Loro, rispettando le regole di sicurezza, si allontanano. Lui si avvia, si accorge dei poliziotti in attesa, ingaggia un conflitto a fuoco a freddo e si sgancia. Ovviamente “buca” il successivo appuntamento. Nistri, preoccupato, aspetta più di un’ora poi telefona all’ANSA: “Hanno arrestato Vale”. Spera, divulgando la notizia, di scongiurare lunghi soggiorni in Questura e rischi di torture: è un’altra delle misure di sicurezza che si sono dati per sopravvivere in quei giorni da lupi. La telefonista replica pronta: “Ha a che fare con la sparatoria di Furio Camillo?”. Nistri fa due più due e si convince che Vale è caduto in trappola. Quando “the drake” si presenta il giorno dopo all’appuntamento prefissato con l’aria serafica da vecchio professionista – “tutto a posto, ragazzi nessun problema” – gli viene voglia di strozzarlo: anche la mattina del 7 erano continuate le telefonate di minaccia, questa volta al Messaggero. I dietrologi ricameranno molto su questo equivoco banale. Per nulla superstizioso, il 5 aprile, Vale è ancora in azione: una rapina di routine, a saltare il bancone i boys di Sordi, lui di copertura. Va tutto bene. Altre rapine, l’ultima il pomeriggio prima di morire, in una compagnia di assicurazione, per procurare tagliandi in bianco.
Si puo' dire che abbiamo passato molti momenti assieme fino ai 13 anni.Poi lo persi di vista. Confermo la sua passione per le armi, mi ricordo carrarmati giocattolo e pistole. Aveva una bellissima famiglia, Pietro,il padre era una persona splendida e ci portava in giro e al cinema come se fosse un nonno buono. Quando mi racconto' che Giorgio aveva problemi con la giustizia....
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