Stragi e terrorismo, quale verità, quale riconciliazione
La cronaca di Brescia oggi della seduta pomeridiana del convegno su stragi e terrorismo, a cui abbiamo dedicato attenzione la scorsa settimana. I materiali del mio intervento, cui fa cenno la cronista, sono disponibili in versione pdf nella sezione del blog I Pdf di Fascinazione
BRESCIAOGGI, 20 MAGGIO 2011
BRESCIAOGGI, 20 MAGGIO 2011
Stragi, «bisogna sempre cercare la verità»
di Mara Rodella
Dare un colpo di spugna e ricominciare dopo un'amnesia collettiva. O, al contrario, considerare il raggiungimento di una verità ufficiale come passaggio obbligato verso la riconciliazione, dopo gli anni del terrorismo e dello stragismo. Le scuole di pensiero internazionali si dividono, i familiari delle vittime non si arrendono, tantomeno quelli bresciani, che aspettano il 37esimo anniversario della strage di piazza Loggia, dopo l'ennesima sentenza di assoluzione. Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria, ha sempre sostenuto «l'importanza del dibattimento per il disvelamento della verità e la riconciliazione con il passato». Certo è, che «esistono tanti livelli di verità: sociale, politica, giudiziaria, a cui si deve concorrere insieme, per raggiungere quella storica», sottolinea Agnese Moro, figlia di Aldo, ospite al seminario «Stragi e terrorismo negli anni Settanta, lo stato degli studi», organizzato da Casa della Memoria e Fondazione Micheletti in memoria di Lorenzo Pinto, il fratello di Luigi, una delle otto vittime. «Ci vogliono anni, generazioni: la ricerca della verità è un processo che richiede tempo e impegno - osserva Moro -. E voi, a Brescia, avete dimostrato fin troppa pazienza». Ma di fronte a quello che potrebbe risultare un «compromesso» per chi è stato colpito direttamente come lei, accettare cioè che si possano avere poche risposte nell'attesa che si compia il percorso della verità storica, Moro corregge il tiro e parla di «semplice realismo», del bisogno di «strumenti di sintesi utili alla lettura di tutti», affinchè prima o poi si capisca «il senso di quanto è successo negli anni dello stragismo». Per farlo, alla figlia di Aldo Moro quasi basterebbe «una stanza in cui incontrare tutti i protagonisti di queste vicende: perchè ci sono i fatti, le ideologie, e le persone. E il terrorista è anche materia umana che rientra in una grande tragedia italiana: dovremmo cioè avere il coraggio di guardarci in faccia come italiani».
Lo spartiacque, secondo Agnese Moro, è prima di tutto temporale: «per arrivare alla verità, la prima cosa sarebbe rimettere il passato al suo posto, senza dimenticare. Viviamo in un Paese in cui il passato è presente che si esprime con la violenza. Se riuscissimo a farlo, daremmo un grande contributo all'Italia».
Mette in guardia sul possibile cortocircuito Aldo Giannuli, ricercatore, che, richiamando al caso Sudafrica, spiega come la verità vada cercata «indipendentemente»: «La riconciliazione è indispensabile per ripristinare la convivenza civile, la verità va cercata a prescindere. E trovo illusorio mettere l'una a condizione dell'altra: lo scambio non funziona». «Anche se pretendere qui e ora quella giudiziaria, come nel caso della strage di piazza Loggia, è più che legittimo», sottolinea il collega Miguel Gotor.
Discutibile, invece, il contributo che, in termini di ricerca, possono dare le memorie lasciate dai terroristi, rossi e neri, su cui verte lo studio di Anna Cento Bull, docente di storia italiana all'università di Bath. Curcio, Moretti, Balzerani, Morucci, Faranda, Tuti, Concutelli, Signorelli, per citarne alcuni: ci sono gli irriducibili, quelli che hanno optato per una ricostruzione collettiva «in cui, generalmente, i fascisti dicono di aver ricorso alla violenza quasi per la sopravvivenza della specie, mentre a sinistra la lotta armata equivale alla rivoluzione», con il risultato che «un trauma scelto» diventa «la rappresentazione mentale di un gruppo da trasmettere alle generazioni che riattivano il meccanismo», spiega. Poi ci sono i «dissociati», che enfatizzano «la propria condizione vittimaria per offrirla in termini di riparazione al dolore provocato», quasi ad azzardare un dialogo con i familiari delle vittime, indipendentemente dalla ricerca della verità. Ma non basta. E se per Cento Bull «è la natura controversa della nascita e dello sviluppo del terrorismo a impedire la ricerca della verità, tanto che le narrazioni vittimarie non bastano», Ugo Tassinari le fa eco evidenziando l'inaffidabilità di moltissime testimonianze in ambiente fascista, mentre Guido Panvini, storico, lavora affinchè «la storiografia italiana possa diffondersi nelle scuole, attraverso il dibattito scientifico».
Lo spartiacque, secondo Agnese Moro, è prima di tutto temporale: «per arrivare alla verità, la prima cosa sarebbe rimettere il passato al suo posto, senza dimenticare. Viviamo in un Paese in cui il passato è presente che si esprime con la violenza. Se riuscissimo a farlo, daremmo un grande contributo all'Italia».
Mette in guardia sul possibile cortocircuito Aldo Giannuli, ricercatore, che, richiamando al caso Sudafrica, spiega come la verità vada cercata «indipendentemente»: «La riconciliazione è indispensabile per ripristinare la convivenza civile, la verità va cercata a prescindere. E trovo illusorio mettere l'una a condizione dell'altra: lo scambio non funziona». «Anche se pretendere qui e ora quella giudiziaria, come nel caso della strage di piazza Loggia, è più che legittimo», sottolinea il collega Miguel Gotor.
Discutibile, invece, il contributo che, in termini di ricerca, possono dare le memorie lasciate dai terroristi, rossi e neri, su cui verte lo studio di Anna Cento Bull, docente di storia italiana all'università di Bath. Curcio, Moretti, Balzerani, Morucci, Faranda, Tuti, Concutelli, Signorelli, per citarne alcuni: ci sono gli irriducibili, quelli che hanno optato per una ricostruzione collettiva «in cui, generalmente, i fascisti dicono di aver ricorso alla violenza quasi per la sopravvivenza della specie, mentre a sinistra la lotta armata equivale alla rivoluzione», con il risultato che «un trauma scelto» diventa «la rappresentazione mentale di un gruppo da trasmettere alle generazioni che riattivano il meccanismo», spiega. Poi ci sono i «dissociati», che enfatizzano «la propria condizione vittimaria per offrirla in termini di riparazione al dolore provocato», quasi ad azzardare un dialogo con i familiari delle vittime, indipendentemente dalla ricerca della verità. Ma non basta. E se per Cento Bull «è la natura controversa della nascita e dello sviluppo del terrorismo a impedire la ricerca della verità, tanto che le narrazioni vittimarie non bastano», Ugo Tassinari le fa eco evidenziando l'inaffidabilità di moltissime testimonianze in ambiente fascista, mentre Guido Panvini, storico, lavora affinchè «la storiografia italiana possa diffondersi nelle scuole, attraverso il dibattito scientifico».
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