Emanuele Macchi: ecco le ragioni della nostra ribellione/1
(umt) Le cronache sulla liberazione di Concutelli enfatizzano a giusta ragione il ruolo del suo "angelo custode", Lele Macchi, uno dei leader dello spontaneismo armato. Che se dovesse partecipare a una Sacra rappresentazione, indosserebbe comunque i panni di Barabba e non certo del buon samaritano. Una breve nota dell'Ansa ne circoscrive il ruolo alla sua responsabilità al vertice operativo del Movimento rivoluzionario popolare, la banda armata da lui fondata nell'area di Costruiamo l'azione, ma Macchi è figura più complessa ed espressione riconosciuta della comunità dei prigionieri politici neri "irriducibili". Qualche anno fa ho avuto il piacere di pubblicare, in appendice al mio volume "Naufraghi" (Immaginapoli, 2007) un suo lungo memoriale. Il negoziato fu breve e aspro: pubblicazione integrale e senza commenti. Accettai perché era la prima testimonianza "antropologica" ed esistenziale di una tribù silente. Poi, un anno dopo, onorato l'impegno, l'ho ripubblicata in Fascisteria (Sperling & Kupfer 2008), sempre nel capitolo sulla lotta armata. da cui ho preso i quattro post dedicati alla Concutelli story. Ecco la prima parte del testo.Qui potete leggere la seconda e la terza.
Il memoriale Macchi Il rapporto tra neofascismo e violenza sembra riprodurre la dialettica tra capelli rossi e cattiveria immortalata nella celebre novella di Vera Rosso malpelo. Uno, che certo una mammoletta non è mai stato, e ha notevole competenza sul tema, Pierluigi Concutelli è arrivato alla conclusione che quell’immagine consolidata ha finito per fungere da ulteriore elemento di autoavveramento della profezia. Fossero o meno naturaliter violenti i neofascisti, a un certo punto molti violenti o “spostati” si sono riconosciuti o dichiarati neofascisti proprio perché costoro erano così stigmatizzati. Discorso analogo vale per i cosiddetti naziskin. Salvo sparute avanguardie ideologizzate, e molto spesso divenute tali assai a posteriori, è stata la decisione di manifestare la propria radicale volontà di rottura con un insopportabile stato di cose a spingere gran parte di questa ‘tribù’ dei giovani antagonisti a indossare panni da cantiere (e a tagliarsi i capelli) aderendo allo stile di vita ‘stradaiolo’ e al tempo stesso all’ideologia condannata alla massima dannazione
Di questa mentalità, di questa condizione esistenziale è espressione alta uno spezzone minoritario della generazione passata attraverso l’esperienza della lotta armata e che pur non avendo mai praticato l’omicidio politico ha finito per pagare pene molto più alte di altri “guerriglieri neri” perché ha rifiutato individualmente e collettivamente qualsiasi forma di “collaborazione” con i vincitori, fosse anche l’adesione ai percorsi di reinserimento penitenziario. Nonostante la notevole fantasia classificatoria dell’amministrazione carceraria, alla fine la tribù è stata per analogia equiparata al “tipo brigatista” che ha scelto simile linea di condotta supportandola però non sulla resistenza esistenziale ma sulla persistenza ideologica e sull’incrollabile fiducia nelle immarcescibili sorti del progetto strategico della lotta armata. Uno dei più prestigiosi esponenti della tribù, Lele Macchi, ha accettato di rompere un lungo esercizio del silenzio, sforzandosi di rendere il senso di una contrapposizione esistenziale per cui lui e i suoi amici hanno pagato prezzi altissimi. Il memoriale[i] [ii]ovviamente non entra nel merito dei fatti di rilievo penale:
“Irriducibili?... Sicuramente sì... se il significato è il non esserci ridotti come voi... L’assoluto silenzio e tolleranza che abbiamo rispettato davanti alle decine di pubblicazioni, romanzi e falsità, diffuse sul terrorismo nero degli anni ’80, dove si accomuna tutto e tutti e nelle quali siamo stati citati per le cronache e per i fatti, è stato solo un modo riservato di lasciare in noi verità e ricordi, senza interferire nelle vostre deviazioni. Ma comportarsi da signori evidentemente non è riconosciuto nel vostro mondo; così, noi che siamo stati sempre zitti e abbiamo pagato caro il prezzo della nostra sana rivolta... vi pubblichiamo queste pagine, nostra riflessione e pensiero, che rimangono comunque solo un messaggio rivolto ai curiosi che sono stati solo spettatori, a chi era troppo giovane per conoscere, a coloro che hanno collaborato alla stesura per loro interesse, e ai più intelligenti a cui è rimasto un po’ di spirito critico e si chiedono com’è possibile che ci sia stato e ci sia qualcuno che mette in gioco la propria vita non per denaro o potere ma solo per ideale e libertà. Sono pensieri e concetti scritti da me, ma condivisi e pensati da tutti gli altri con cui ho diviso la nostra di storia, e con i quali mi sono chiesto se era giusto pubblicarli. Abbiamo deciso di sì giusto per lasciare e leggere qualcosa di sano”.
Emanuele Macchi di Celleré è uno dei tanti figli della buona borghesia romana (cresce ai Parioli) che vive intensamente i tempestosi anni ’70: dalle file del Fronte della gioventù ai ranghi del Movimento rivoluzionario popolare, il braccio armato di Costruiamo l’azione, a cui apporta la sua forte vena di ribellismo anarchicheggiante, una critica e un rifiuto della politica politicante che oggi esprime con una metafora ricavata dalle sue passioni principali: “Fare politica è come corteggiare una bella donna, ci si mette impegno, ci si fa belli, si inventano tattiche per riuscirci, si dicono un mucchio di cazzate per abbindolarla, si adeguano addirittura i propri modi a quello che piace a lei, ci si prova... ma se non ci sta hai perso. E non ti rimane niente né dentro né fuori. Se vuoi un contentino puoi dirti che ti lanciava sguardi e ammiccamenti, se l’ha presa quell’altro è solo perché aveva più quattrini e chissà che gli ha raccontato. Ma lo stesso non ti rimane niente in mano e l’amore puoi andartelo a fare da solo, con i tuoi bei pensieri virtuali. Metterti vicino al vincitore, entrare dalla porta di servizio... e magari ci scappa qualche sbirciata nella camera da letto. Lottare è più come andare per mare, un’avventura continua dove devi avere tenacia sempre, navighi per raggiungere la meta, hai la bussola che ti dà la rotta da seguire e quella è, decide il vento che bordi devi fare per mantenere la prua, combatti le intemperie, godi i momenti belli e in cui il mare ti sorride, rispetti la natura, ami i pesci che ti sono attorno, stai attento solo ai pescecani che arrivano quando sentono l’odore del sangue, sai che sei di fronte a un elemento naturale che impone rispetto e non sarai mai gradasso con lui, sei forte col tuo gruppo e ci si dà sempre una mano, le intemperie possono portare in una burrasca e tu lotti, sei vigile e dividi ogni cosa con i tuoi compagni, e se sarà... il comandante affonderà con la sua barca”.
Al di là delle divagazioni poetiche, per Macchi e i suoi, comunque, le ricostruzioni storiche degli anni di piombo sono comunque “un prolungamento della guerra con con altri mezzi”: “Creare romanzi è bello, scrivere la storia delle genti è altra cosa. Alla fine di oggettivo rimane solo un fatto, vergognoso ma reale, che: la storia la ricostruiscono solo i vincitori, con la collaborazione dei vinti collaboranti. La storia dell’ultimo secolo è quella che più è riuscita a riportare nel falso e trasformare a proprio strumento, i motus reali che hanno spinto gli oppositori a combattere. Ma le sole parole non costruiscono i fatti.
Quella guerra perduta ha lasciato lutti e macerie: “L’effetto del dopo ‘anni ’80’ è disastroso, ma ai più piace. Vi siete piegati in silenzio a tutto ciò che di brutto succede. In nome della democrazia qualsiasi porcheria è concessa, diventa etica, quindi doverosa. E così dai tempi dell’invasione americana a quelli di Valpreda a questi di Ciavardini sono state emesse ‘in nome del popolo italiano’ condanne dolorosamente false ma comode. Strumento di potere per i signori della democrazia. E sedativo per gli asserviti popolani di questa Italia, che per codardia e sottomissione si è sempre distinta. Il modo per dirvi quanto di falso è riportato nelle ricostruzioni di quei decenni è semplice. E comincia così il regolamento di conti con gli ‘apostati’: Tutte le dinamiche di cronaca vengono riprese da atti giudiziari di un periodo che fu dichiarato ‘di emergenza’ e filtrato da chi vuole solo la sua storia, in più osservate bene chi sono ora questi campioni che hanno collaborato con gli scrittori all’illustrazione dei fatti e dei contenuti riportati:“il prete dice: seguite quello che dico, non quello che faccio, perché è la parola del Signore. Di questo vi chiedo: seguite quello fanno, non quello che dicono, perché è parola di povera gente. Tutti, nessuno escluso, sono dei dissociati, che ai tempi voleva dire chiedere venia, distaccarsi da quello di cui idealmente si era incolpati (e per cui altri ancora lottavano), riconoscere le proprie colpe, confessare avallando condanne ad altri imputati, abjurare totalmente se stessi e il proprio passato, calpestare i compagni che ti erano morti accanto, e tutti quelli che per altri infiniti decenni avrebbero fatto in silenzio la galera. Riconoscere allo stato la ragion pura, e guadagnarsi la strada di casa alla faccia della condanna e dei danni fatti”. (1 - continua)
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