Concutelli libero: dalla lotta armata all'ergastolo/3
Sulla liberazione di Concutelli si è ovviamente scatenato l'inferno. Battuti tutti i record del blog, finite le interviste (qui quella veramente notevole con l'Adnkronos) continua il racconto della sua storia. Qui potete leggere la prima parte la seconda e la quarta. il testo è ripreso da Fascisteria (Sperling & Kupfer 2008)
Dopo l’omicidio del procuratore di Genova Coco e della sua scorta da parte delle Brigate Rosse - l’8 giugno ’76 - Concutelli decide di bruciare i tempi. Il “centro” estero stenta a riconoscergli la leadership italiana, lui avverte profonde divergenze strategiche. Per i vecchi ordinovisti, cresciuti alla scuola reazionaria degli “Uomini e le rovine” di Evola e dei manuali Nato di controguerriglia, l’uso della violenza va limitato alle vendette o alle ritorsioni nei confronti di chi ha personalmente perseguitato il gruppo. Concutelli, invece, ha imparato da Von Clausewitz che la guerra è il proseguimento della politica con altri mezzi, da inquadrare in un progetto unitario, prima di propaganda e poi di lotta armata contro lo Stato. A fine giugno “Lillo” si trasferisce a via Clemente X in una casa affittata da un tarantino, Gianfranco Ferro, un altro senza partito, proveniente dagli “arditi d’Italia”. Completano la rete di appoggio alcuni romani, Calore con i tiburtini e Mario Rossi, l’ex segretario giovanile di piazza Bologna, il quadro più brillante di Lotta popolare[i]. In due settimane Concutelli uccide il pm Occorsio[ii], organizza una rapina in una villa a Tivoli per procurarsi armi (e ci scappa il morto) e poi un colpo alla Banca del ministero del Lavoro[iii] (con il buon bottino di 460 milioni). Intanto, nella notte tra il 16 e il 17 luglio, una banda di fascio-criminali aveva svuotato di un carico miliardario di lingotti d’oro un caveau di Nizza. Un’impresa rivendicata con la croce celtica e una scritta sul muro: Sans armes, sans heine et sans violence. Tra questi il corso Albert Spaggiari ex militante dell’Oas, in contatto con la Cia, propagandista alle elezioni presidenziali del 1974 di Giscard d’Estaing, con stretti rapporti col giro di Concutelli e degli avanguardisti latitanti in Spagna. Spaggiari riesce a scappare durante l’interrogatorio al Palazzo di giustizia e ripara in Brasile dove diventa, per caso, amico del deputato missino Tomaso Staiti di Cuddia, un bon vivant. Quando il bandito muore in Veneto (si era ristrutturato da solo una malga) divorato da un cancro ai polmoni, l’aristocratico – nominato titolare dei diritti d’autore in Italia – gli rende omaggio con un criptico necrologio sul Corriere della sera, firmato “Sagittario (il comune segno zodiacale, n.d.a) Tom” che farà vaneggiare i dietrologi di turno sul messaggio della sua fantomatica organizzazione. Uno degli attendenti di “Lillo”, Saverio Sparapani, gira a Roma con la Renault 5 intestata alla ex del bandito, Annie Otal, che ha in quei mesi una storia con Concutelli. La donna è fermata nel blitz madrileno del gennaio 1977 che smantella la rete dei rifugiati (due anni dopo sarà tra le ultime persone a incontrare Vinciguerra prima che si costituisca[iv]). È scoperto un laboratorio per la manutenzione di armi e la contraffazione di documenti. Gli arrestati sono in gran parte ordinovisti: Marco Pozzan, Elio Massagrande e la moglie, Francesco Zaffoni, Salvatore Francia, Giancarlo Rognoni, Pietro Benvenuto, Mario Tedeschi. Ci sono poi Flavio Campo di An, il leader di Europa Civiltà Bruno Luciano Stefano e l’ingegnere Eliodoro Pomar, dirigente del Fronte nazionale, fermato con la sua compagna. E’ recuperato parte del bottino di Nizza. L’estradizione dei soli Pozzan e Rognoni porta nuova acqua al mulino di chi (e all’epoca sono sempre più) sospetta Delle Chiaie di collusione con i servizi di sicurezza e accusa i suoi di aver beneficiato di uno statuto di immunità. Su questo episodio - come su altri che hanno concorso a determinare la sua fama ambigua (rivoluzionario perseguitato per l’irriducibilità alle trame del potere mondialista o “sozzone” colluso con sbirri, criminali, narcotrafficanti) - è possibile dare due letture[v]. Gli innocentisti sottolineano come Delle Chiaie fosse stimato in Spagna, per rigore militante e stile di vita ascetico. Gli avanguardisti non facevano la bella vita, investivano i redditi illegali nelle attività organizzative e vivevano da semiclandestini già sotto Franco: sarebbero perciò sfuggiti alle retate che, invece, decimano gli ordinovisti sbracati e atteggiati a rifugiati politici. I colpevolisti obiettano che la Guardia Civil sapeva dove stavano gli avanguardisti perché lavoravano assieme contro i Baschi e perciò allo sfacelo del regime, quando non poté più garantire le coperture, li avvertì. Le ricostruzioni giornalistiche sulla “sporca guerra”[vi] ruotano sul ruolo centrale di Delle Chiaie e di Guerin Serac[vii]. Alla luce dei processi conclusi e delle cause civili avviate dalle vedove di “controguerriglieri” morti in azione è possibile ricostruire i bacini del reclutamento dei primi gruppi antibaschi[viii]. Nel 1976 gli italiani si distinguono negli scontri di Montejurra in Navarra: alcune centinaia di neofascisti armati assaltano i Carlisti democratici, i legittimisti spagnoli (il leader dell’altra fazione è Sisto di Borbone, intimo di “Caccola”). Due i morti, decine i feriti. Tra gli aggressori si riconoscono Delle Chiaie, Cherid, Calzona, Cauchi, Ricci, Boccardo. In seguito il terrorismo anti-basco sarà diretta opera poliziesca ma anche il regime democratico si sentirà vincolato a garantire coperture e impunità[ix].
La rete logistica di Concutelli crolla nell’estate ’76. Per sbaglio. Il pm di Firenze Vigna, un mastino, sta indagando sui fiancheggiatori di Tuti. Da un memoriale difensivo pieno di fiele per i “bischeri” che l’hanno scaricato emerge che Mauro Tomei aveva inutilmente interessato un camerata romano, Peppino “l’impresario”, per procurare soldi e documenti falsi. Ci vuole poco a scoprire che uno dei più stretti amici di Graziani è l’impresario teatrale Giuseppe Pugliese, arrestato per un favoreggiamento non commesso. Scattano le perquisizioni a tappeto: è trovata la “moto rossa” usata per l’omicidio Occorsio e il cerchio si stringe intorno a Gianfranco Ferro, arrestato per una Colt 45. Scoprono il contratto d’affitto della casa di “Lillo” e quando ci arrivano trovano tracce di un precipitoso trasloco. I vicini riconoscono in Ferro e Concutelli i frequentatori del locale. Ferro crolla e fa una serie di nomi[x]. Ammette i rapporti con “Lillo”: glielo aveva presentato Pugliese nel novembre ’75 ed era stato incaricato di reclutare militanti clandestini ma per gli scarsi risultati era stato il “comandante”, ricco di carisma e di talento organizzativo, ad assumere il compito. Concutelli ripara all’estero e rientra solo quando è disponibile un nuovo alloggio sicuro, ad Ostia, affittato dalla perugina Barbara Piccioli, entrata nel giro al seguito del fidanzato Graziano Gubbini ma anche lei travolta dal fascino di “Lillo”. Mario Rossi e Sparapani procurano poi la base di via dei Foraggi dove si installano anche Calore e un “pischello” di Tivoli, Aldo Tisei. Ma si trova da solo quando è arrestato il 13 febbraio 1977, alla vigilia di un attentato contro il pm Vigna, “venduto” da Paolo Bianchi, un rapinatore di Tivoli amico di Calore, aggregato alla banda da tre mesi, all’uscita del carcere[xi].
Il giorno del sequestro Moro “Lillo” è condannato all’ergastolo per l’omicidio Occorsio, pena confermata in appello, a tempo di record. Nel periodo successivo sono scoperti numerosi tentativi di evasione[xii]. Il 13 aprile 1981 “Lillo” e Tuti uccidono nel cortile del carcere di Novara Ermanno Buzzi, condannato in primo grado all’ergastolo per la strage di Brescia, perché confidente dei carabinieri, “provocatore” e corruttore di minorenni. L'inchiesta esclude un esplicito rapporto con l’articolo di Quex che aveva indicato Buzzi tra gli “infami da schiacciare”. Concutelli è l’unico leader tra i prigionieri nazionalrivoluzionari che non aderisce al progetto dello spontaneismo armato. Saranno entrambi condannati all’ergastolo. Trasferito a Nuoro, tenta di impedire l'omicidio di Francis Turatello, suo compagno di cella, ma è messo in condizione di non nuocere. Il 10 agosto 1982, nel carcere di Novara, strangola con una rudimentale garrota Carmine Palladino, fedelissimo di Delle Chiaie, arrestato nell’inchiesta sulla strage di Bologna e sospettato di aver causato la morte di Vale “soffiando” il nascondiglio. Dopo il secondo omicidio in carcere Concutelli è sottoposto al regime di massimo rigore, in totale isolamento nei cosiddetti “braccetti della morte”, un trattamento talmente duro da provocare la protesta anche dei brigatisti. Accusato da qualche pentito di essere affiliato alla camorra, riceve un mandato di cattura nella megaretata che porta in galera Enzo Tortora ma respinge sprezzantemente l’accusa. Per alcuni anni l’unico contatto con l’esterno sono i processi dove è imputato o testimone. Sempre da protagonista: contesta l’inettitudine dei periti balistici; estende ai suoi giudici, agenti della “persecuzione democratica”, la condanna eseguita su Occorsio; rivendica gli omicidi commessi in carcere. Qualche volta, con stile alla Garrone, cerca di scagionare i coimputati con improntitudine. In difesa di Graziani, afferma che “è il capo riconosciuto di Ordine nuovo ed è dovuto espatriare per sottrarsi alla cattura. Egli non può essere riconosciuto responsabile di atti di violenza perché ciò non rientra nei suoi compiti, sia perché, essendo uomo deciso e nel contempo di carattere mite, aborre dalla violenza”[xiii]. Alla fine degli anni ’80 accetta la dialettica processuale, rendendo pubblico il suo tormentato distacco dalla lotta armata. Al processo bis per la strage di Brescia, nega sdegnosamente che l’imputato principale sia stato il mandante dell'omicidio Buzzi, con l’obiettivo di chiudergli la bocca. La motivazione è disarmante: Cesare Ferri era un “pischello” e non era all’altezza di dargli ordini. Buzzi era stato ucciso perché “volevamo dare il buon esempio e avevamo la statura politica e morale per farlo”[xiv].
[i] Quando Angelo Mancia, segretario del Msi di Talenti e guardaspalle d’Almirante, pretende la restituzione delle chiavi della sezione, che col segretario Romolo Sabatini ha aderito alla scissione, Rossi è l’unico che gli tiene testa. Nel 1980 Mancia è ucciso da un commando, uno dei tanti missini caduti negli anni di piombo. Ma 10 anni dopo, analizzando le imprese della banda che ha rivendicato l’omicidio, i Compagni organizzati in volante rossa, affiora il dubbio che Mancia, un picchiatore “duro” ma politicamente moderato, sia caduto vittima di una faida interna cfr. Baldoni-Provvisionato La notte cit., pp. 314-325.
[ii] L’omicidio Occorsio è rivendicato con un fascio di volantini abbandonati sul luogo del delitto: “La giustizia borghese si ferma all’ergastolo, la giustizia rivoluzionaria va oltre. Un tribunale speciale del Mpon ha giudicato Vittorio Occorsio e lo ha ritenuto colpevole di avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica, perseguitando i militanti d’Ordine nuovo, le idee di cui questi sono portatori. L’atteggiamento inquisitorio tenuto dal servo del sistema Occorsio non è meritevole di alcun’attenuante, l’accanimento da lui usato nel colpire gli ordinovisti lo ha degradato al livello di un boia. Anche i boia muoiono! La sentenza emessa dal tribunale del Mpon è di morte e sarà eseguita da uno speciale nucleo operativo. Avanti per l’ordine nuovo!” cfr. Sandro Forte I processi cit., p. 118.
[iii] I soldi sono distribuiti a pioggia: 5 milioni ai tiburtini, 40 ai perugini, 20 ai catanesi, 10 a due pisani legati a Tuti. Due mazzette sono destinate alle necessità propagandistiche di Lotta popolare. Il gruzzolo più consistente, 160 milioni, è affidato al genovese Meli, per finanziare attività legali e costruire una riserva di sicurezza. Altri 100 sono consegnati a Sgavicchia, per le necessità di “cassa”.
[iv] Vincenzo Vinciguerra Ergastolo cit., p.59. Il particolare è inserito gratuitamente nel racconto e sembra piuttosto un messaggio in codice. Il testo, infatti, è scritto in una fase di passaggio: dopo aver da solo difeso per anni il buon nome di Avanguardia nazionale, nei processi per strage, e denunciato le collusioni di Ordine nuovo, Vinciguerra tenta di convincere i suoi camerati ad affiancarlo nella “battaglia di verità” e, prima di arrivare allo strappo definitivo, li “avverte” ricordando cripticamente gli “affari sporchi” del reseau italo-franco-spagnolo in cui Delle Chiaie aveva avuto un ruolo di protagonista.
[v] Le modalità dell’inizio della latitanza di Delle Chiaie sembrano autorizzare entrambe le ipotesi: “Caccola” ha raccontato che la mattina del 20 luglio 1970 doveva essere interrogato dal giudice Cudillo per confermare l’alibi di Merlino per il 12 dicembre. Mentre aspettava in anticamera di essere ricevuto vide arrivare il maresciallo capo del servizio traduzioni al carcere, capì le intenzioni del giudice e si sottrasse all’arresto. Circostanze simili invoca per la sua fuga Vinciguerra. Il 30 marzo 1974, il procuratore della Repubblica di Gorizia conclude l’interrogatorio trasformandolo da testimone in imputato e ordina di avvertire la polizia di controllarlo fino al prossimo appuntamento e Vinciguerra per un riflesso condizionato scappa in Spagna. Quindici anni dopo, nella sua autobiografia, ammetterà di essere caduto in trappola: in realtà la magistratura non aveva intenzione di imboccare la pista nera su Peteano e lo avevano istigato a togliersi dai piedi.
[vi] Il terrorismo di Stato era stato scatenato dopo l’“operazione Ogro” dell’Eta che, ammazzando Carrero Blanco, aveva liquidato l’unica personalità in grado di garantire continuità al regime dopo la morte di Franco.
[vii] Il suo braccio destro, Jean Pierre Cherid, è considerato il maggior responsabile della “guerra sporca”. Il fratello Noel arrestato in Algeria per un attentato contro la sede del quotidiano El Moudjiadin, ammette durante il processo di aver partecipato ad azioni di controguerriglia. Quando, nel giugno 1975, muore un altro ex-Oas, Marcel Cardona, mentre colloca una bomba sotto l’auto di un rifugiato basco a Biarritz, i familiari dichiarano alla polizia francese che l’uomo lavorava per i servizi segreti spagnoli.
[viii] Hanno fornito militanti ai vari gruppi Ate (Antiterrorismo Eta), Bve (Battaglione Basco Spagnolo) Aaa (Alleanza apostolica anticomunista): “l’estrema destra spagnola, in particolare il Partido Espanol Nacional Socialista e i Guerrilleros de Cristo Rey di Mariano Sanchez Covisa; ex membri dell’Oas francesi tra cui Jean Pierre Cherid, già collaboratore durante il franchismo del Servicio de Informacion della Guardia Civil e attivista di spicco dei gruppi paramilitari Ate, Bve, Gal; suo fratello Noel Cherid; Marcel Cardona. Di origine francese era anche lo scomparso Andres Previns, i cui familiari ricevono una pensione del governo spagnolo. Anche la vedova di Cherid (morto nel 1984 a Biarritz mentre preparava un ordigno esplosivo) ha inoltrato domanda per una pensione al Ministero degli Interni spagnolo; un gruppo portoghese in cui si riuniscono ex membri della Pide (la polizia segreta di Salazar), alcuni golpisti dell’Elp (Esercito di Liberazione del Portogallo), soldati e mercenari reduci dalla colonizzazione; alcuni sudamericani provenienti dagli squadroni della morte argentini (la “Tripla A”) tra cui J.M. Boccardo e J. Aleman; gli italiani, noti neofascisti di An e On, rifugiati in Spagna: Delle Chiaie, Ricci, Concutelli, Cauchi, Calzona, Cicuttini, Pomar, Pozzan; esponenti della malavita di Bordeaux e della mafia marsigliese (…). Questi manovali del terrore di Stato, coadiuvati da numerosi elementi della polizia e della Guardia Civil, sono i responsabili delle prime operazioni nei Paesi Baschi francesi nel 1975-76” cfr. Gianni Sartori “De dia uniformados, de noche incontrolados”, Frontiere, anno VI, n. 2, estate 1995, p. 35.
[ix] Il quotidiano El Pais nel maggio 1986 rilancia le accuse contro i rifugiati italiani per le attività antibasche dal ’75 al ’78. I nomi segnalati sono i soliti. Non mancano le imprecisioni. Si sostiene che Cauchi, Cicuttini e Calzona, per i quali è rifiutata nell’82 e nell’84 l’estradizione, sarebbero ancora in Spagna quando per Cauchi è accertato che dal ’77 vive in Argentina. Così è impossibile la telefonata tra Cicuttini e Concutelli, nella quale il primo avrebbe annunciato l’invio in Italia di due Ingram usati per il massacro di Atocha (5 avvocati delle Comisiones obreras uccisi a Madrid parecchi mesi dopo l’arresto di Concutelli). Calzona, condannato a 16 anni di carcere per l’omicidio di un militante del Pci di Monza, Alfio Oddo, è collegato alle attività dei Gal che compaiono sulla scena nell’83. L’avanguardista Mario Vannoli, detto “Carlos o’ capezon” è accusato di essere il capo del commando che assassinò, con l’appoggio di Calzona, nel ’78 nei Paesi Baschi francesi Argala, protagonista dell’operazione “Ogro”.
[x] La polizia arriva nella pensione della moglie di Meli e trova i soldi ma non lui. La donna lo copre ma gli agenti giocano duro per convincerla a tradirlo: le mostrano le foto dell’amante del marito, un travestito, e la donna, furiosa, ne diventa la peggiore nemica.
[xi] Nella base cadono numerose armi (tra cui l’Ingram e i proiettili usati contro Occorsio e l’ultima cassetta delle Srcm usate a Milano per uccidere l’agente Marino) e la carta intestata Mpon, con cui era stato rivendicato l’omicidio del pm. Sono anche recuperati soldi provenienti dal sequestro Trapani, opera di Vallanzasca. Bianchi era in compagnia di Rosanno Cochis, suo alter ego. Tutta la banda Concutelli è accusata di ricostituzione del partito fascista nel secondo processo contro Ordine Nuovo.
[xii] Il primo tentativo di fuga da Rebibbia coinvolge Semerari (nel ’77 lo psichiatra doveva fornire una pistola ma Concutelli era già stato trasferito), il secondo da Palermo suppone appoggi della mafia; il più impegnativo, da Taranto, organizzato dalla banda Fioravanti con Mangiameli, dura dall’aprile ’80 (fallito assalto al distretto militare di Padova per procurarsi armi lunghe) a gennaio ’81 (il covo di Gandoli è abbandonato perché Concutelli è trasferito per il processo Mariano nel più sicuro carcere di Brindisi).
[xiii] Sandro Forte I processi cit., p. 136. L’immagine generosamente offerta da Concutelli è esatta sul piano personale ma confligge con la produzione teorica di Clemente Graziani. In uno scritto programmatico del 1963 si legge: “Il terrorismo implica ovviamente la possibilità di uccidere o far uccidere vecchi, donne e bambini. Azioni del genere sono state finora considerate alla stregua di crimini universalmente esecrati ed esecrabili e, soprattutto, inutili, esiziali ai fini dell'esito vittorioso di un conflitto. I canoni della guerra rivoluzionaria sovvertono però questi principi morali ed umanitari. Queste forme di intimidazione terroristica sono oggi non solo ritenute valide ma a volte assolutamente necessarie”.
[xiv] Anche il sedicente latore del “contratto”, il detenuto Sergio Latini, politicizzato in carcere, per Concutelli era un personaggio non qualificato, per i rapporti con l’“infame” Affatigato. Per l’occasione critica Ordine nero, una “deviazione negativa” e ricostruisce i contrasti tra sostenitori della fusione tra Avanguardia nazionale e Ordine nuovo e fautori della lotta armata. Ammette che allora era convinto della colpevolezza di Buzzi poi è giunto alla conclusione che il delitto non ha sortito un buon risultato.
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