29 aprile, per ricordare: Amoroso e Pedenovi
Tensione forte, oggi, a Milano, per le contrapposte commemorazioni dei morti di fine aprile: Ramelli e Pedenovi da una parte, Amoroso dall'altra. Vediamo di ricostruire storie e contesti di quegli anni terribili. Anche perché alcuni dei personaggi d'epoca sono tornati alla ribalta proprio in questi giorni.
Dal capitolo VI di Guerrieri: La primavera del 1976
Quando la notizia si diffuse, come è ovvio, decine di missini cercarono di recarsi sul luogo del delitto per portare fiori, per esprimere cordoglio alla famiglia, ma l’intera zona era chiusa, presidiata da un cordone non già di polizia e carabinieri, bensì di compagni con volti coperti e chiavi inglesi. Dalla metropolitana di piazza Piola fino a tutte le strade limitrofe al luogo del delitto, gruppi armati di estremisti di sinistra impedivano a chiunque di avvicinarsi. Ci furono scontri e decine di pestaggi, qualcuno riuscì a forzare il blocco e, arrivati dove era stato ucciso Pedenovi non vi trovò neppure un fiore, né l’ombra di un poliziotto. Rimaneva solo una macchia di sangue sull’asfalto per la quale nessuno aveva il coraggio di mostrare pietà. [Baldoni: 196]
Dal capitolo VI di Guerrieri: La primavera del 1976
Continua intanto il macabro rituale degli anniversari da celebrare nel sangue e la spirale delle rappresaglie a caldo. Tre militanti del Partito comunista (marxista leninista) sono accoltellati da una squadra del Fdg milanese, in cerca di vendette per Ramelli. Carlo Palma e Luigi Spera restano feriti, Gaetano Amoroso muore due giorni dopo, il 30 aprile 1976, già vendicato: la mattina del 29 un commando della nascente Prima Linea ha ammazzato un consigliere provinciale, l’avvocato Enrico Pedenovi1, in una città sotto assedio. Ricorda Guido Giraudo, allora dirigente nazionale del Fuan:
Quando la notizia si diffuse, come è ovvio, decine di missini cercarono di recarsi sul luogo del delitto per portare fiori, per esprimere cordoglio alla famiglia, ma l’intera zona era chiusa, presidiata da un cordone non già di polizia e carabinieri, bensì di compagni con volti coperti e chiavi inglesi. Dalla metropolitana di piazza Piola fino a tutte le strade limitrofe al luogo del delitto, gruppi armati di estremisti di sinistra impedivano a chiunque di avvicinarsi. Ci furono scontri e decine di pestaggi, qualcuno riuscì a forzare il blocco e, arrivati dove era stato ucciso Pedenovi non vi trovò neppure un fiore, né l’ombra di un poliziotto. Rimaneva solo una macchia di sangue sull’asfalto per la quale nessuno aveva il coraggio di mostrare pietà. [Baldoni: 196]
Uno dei responsabili dell’omicidio, Chicco Galmozzi, scoprirà in carcere le matrici ideologiche del suo “fascismo rosso”: fonderà con Maurizio Murelli il Movimento nazionalcomunista e pubblicherà per la sua casa editrice Barbarossa un libro su D’Annunzio. Dei sette accusati dell’accoltellamento, uno, Gilberto Cavallini, diverrà uno dei leader dello spontaneismo armato, due, Luigi Fraschini e Claudio Forcati, parteciperanno a qualche rapina degli ultimi Nar (e all’uscita del carcere Fraschini si specializzerà nel traffico degli stupefacenti).
Il mese di maggio è caldissimo: il 9 numerosi rifugiati italiani si distinguono negli scontri di Montejurra in Navarra: alcune centinaia di neofascisti armati assaltano la componente democratica dei Carlisti, i legittimisti spagnoli (il leader dell’altra fazione è Sisto di Borbone, intimo di “Caccola”). Due i morti, decine i feriti. Tra gli aggressori si riconoscono Stefano Delle Chiaie, Giuseppe Calzona, Augusto Cauchi e Mario Ricci. Alla fine del mese l'anima violenta del Msi lascia il segno in una campagna elettorale già infuocata. La sera del 28 maggio a Sezze Romano è contestato il comizio dell'onorevole Saccucci, già condannato per il Movimento Politico Ordine Nuovo e arrestato per il golpe Borghese. Al deputato saltano i nervi e dal palco comincia a sparare in aria. Gli accompagnatori si fanno strada facendo fuoco sulla folla dalle auto, uccidono un militante della Federazione giovanile comunista e ne feriscono uno di Lotta continua. Il giorno dopo il deputato si presenta in questura per dimostrare che la sua pistola ha sparato a vuoto. L'immunità parlamentare gli consente una prima fuga all'estero, che finisce a Londra con l'arresto. L'immediata decisione di Almirante di dichiararlo decaduto dal partito, insieme all'altro iscritto presente, Angelo Pistolesi, non lo esclude dalle liste elettorali. Con la rielezione ripara in Argentina, dove vive tuttora. Pistolesi, invece, subito arrestato, è accoltellato in carcere - lo sospettano di aver “cantato” - e poi ucciso alla fine del 1977 da un commando dei Nuovi partigiani. La prima rappresaglia dell’ultrasinistra è però scattata subito, il 4 giugno un comizio dell’onorevole Michele Marchio nella centralissima piazza romana dei Santi Apostoli a due passi dal comando dei carabinieri è attaccato a revolverate: quattro i feriti. Il giorno dopo è dato alle fiamme il cinema Barberini che avrebbe dovuto ospitare un comizio del Msi. Nella notte tra il 12 e 13 giugno è ucciso a Reggio Emilia un militante di Lotta continua, Alceste Campanile, iscritto per pochi mesi da ragazzino alla Giovane Italia. Si parla subito di un delitto fascista ma in seguito i suoi compagni matureranno il sospetto che sia morto nel quadro della torbida vicenda del sequestro Saronio, l’ingegnere di buona famiglia componente dell’apparato illegale dell’Autonomia di Negri, ucciso per sbaglio dall’insipienza di un commando raffazzonato e messo su dal suo miglior amico e “capo”, Carlo Fioroni. [si scoprirà poi che il killer è stato un neofascista reggiano, Paolo Bellini, pentito dopo una lunga attività criminale, che l'ha visto tra l'altro infiltrarsi per i Carabinieri nell'entourage di Totò Riina alla vigilia delle stragi del '93, con compiti di suggeritore degli obiettivi e di 'negoziatore', ndb] (2-fine)
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