Hanno un volto i sospettati dell'omicidio Verbano
Avrà soluzione il mistero dell'omicidio Verbano? Carlo Bonini, l'inviato della Repubblica grande esperto di cronaca giudiziaria romana, è convinto di sì e ce lo racconta in un articolo ricco di particolari, pubblicato oggi, in occasione dell'anniversario. Un nucleo di quartiere, candidato a entrare nei Nar: un'ipotesi parallela a quella avanzata nel libro di Cutronilli sulla strage di Acca Larentia. Un dispositivo reale: in un fase di forte accelerazione militarista è sicuramente successo che bande di quartiere facciano omicidi "indipendenti" per lanciare la candidatura. L'esempio più clamoroso è quello di un nucleo militarista di autonomi salernitani che ammazzano il procuratore capo, lo rivendicano come Brigate rosse e poi chiedono il riconoscimento della casa madre.
Ci sono anche delle foto dei sospetti dell'omicidio, gli identikit aggiornati e c'è stato sicuramente un lavoro certosino di mappatura della violenza politica in un'area territoriale tra le più insanguinate negli anni di piombo a Roma: del resto le nuove tecnologie digitali permettono di semplificare molto il lavoro di incrocio dei dati, allora affidato alla memoria e alla tenacia dei singoli.
Ma c'è una cosa che sicuramente non funziona nella ricostruzione giornalistica: il nesso con la gambizzazione di Ugolini. Un delitto rimasto impunito ma la cui attribuzione storica al nucleo operativo di Terza posizione, sulla base delle testimonianze incrociate dei pentiti, è abbastanza certa. Costoro raccontano addirittura della "punizione" inferta a chi era rimasto fuori dal portone di "copertura" e che poi aveva mostato il "ferro" utilizzato
a una "pischella". Nel marzo 1979, con Dimitri militare di leva (era appena tornato in servizio dopo una convalescenza che gli aveva permesso di partecipare alla rapina all'Omnia sport del 15 marzo, per commemorare la morte di Franco Anselmi) ai vertici del nucleo operativo di Terza Posizione c'erano Roberto Nistri e Giorgio Vale. Undici mesi dopo il primo era detenuto e il secondo non aveva bisogno di un biglietto da visita per i Nar: quindici giorni prima aveva fatto da spalla di Valerio Fioravanti nell'omicidio Arnesano.
Che invece agli inizi del 1980, a due mesi dal "terribile dicembre" in cui erano stati arrestati in rapida successione Pedretti, Dimitri, Nistri e Calore ci fossero sul territorio giovani "focosi" e allo sbando, non c'è dubbio. Questo comunque l'articolo di Bonini:
L'OMICIDIO
Delitto Verbano, si riapre il caso
Dopo 31 anni due nomi e la pista nera
Lo studente di sinistra du ucciso in casa da un commando vicino ai Nar. Nell'archivio del ragazzo i nomi degli indiziati: militanti di destra, avevano già colpito. Il primo uomo vive da tempo all'estero, il secondo è un insospettabile professionista di CARLO BONINI
ROMA - L'omicidio di Valerio Verbano è un caso che si riapre. E la fuga di almeno due dei suoi tre carnefici, forse sta per finire. Consegnando innanzitutto a chi è stata condannata a sopravvivere a quel lutto - Carla Zappelli, 87 anni, la madre di Verbano, suo unico figlio - una "verità" in grado di chiudere una delle più simboliche, disumane e insolute pagine di sangue della storia della violenza politica del nostro Paese. A trentuno anni esatti dall'esecuzione del diciannovenne militante della sinistra extraparlamentare (22 febbraio 1980) e dal buio che da allora ne ha avvolto le responsabilità, prende corpo una nuova indagine della procura di Roma (procuratore aggiunto Pietro Saviotti, pm Erminio Amelio) e del Ros dei carabinieri che, dopo ventiquattro mesi di lavoro, colloca al centro della scena del crimine almeno due nuovi indiziati.
LE FOTO 1
Per quel che al momento è possibile ricostruire, due uomini oggi sulla cinquantina, la stessa età che avrebbe avuto la loro vittima se non la avessero giustiziata con un colpo di 38 special alla schiena. Il primo, riparato da tempo all'estero. L'altro, insospettabile professionista con una vita in Italia. Entrambi, già militanti della destra romana, sconosciuti alle cronache del tempo e - almeno a stare all'ipotesi investigativa - costituiti in un gruppo di fuocodeciso, nel febbraio di quel maledetto 1980, ad accreditarsi, con un cadavere di forte valore simbolico come quello di Valerio Verbano, agli occhi dei neofascisti Nuclei armati rivoluzionari di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro.
Degli indiziati (per altro, al momento, non ancora indagati), esistono dei nuovi identikit (aggiornati rispetto a quelli che vennero disegnati durante le prime indagini) ed è stata pazientemente ricostruita la loro storia di militanza violenta in quel triangolo dell'odio politico che, a Roma, tra la fine dei '70 e l'80, erano diventati i quartieri Trieste-Salario, Talenti, Montesacro. Tra il '76 e l'83 sono nove infatti gli omicidi di matrice politica che hanno come teatro questo quadrante della città. Muoiono Vittorio Occorsio, magistrato; Stefano Cecchetti, studente; Francesco Cecchin, studente; Valerio Verbano; Angelo Mancia, fattorino; Franco Evangelista, poliziotto; Mario Amato, magistrato; Luca Perucci, studente; Paolo Di Nella, studente. In una geografia della violenza che si contende il controllo di marciapiedi, bar, angoli di strada e ha come linee di confine tra "neri" e "rossi", il fiume Aniene e il ponte delle Valli. Che risponde alla logica draconiana del "colpo su colpo", per usare la definizione utilizzata nelle corti d'assise che giudicheranno a metà anni '80 quei fatti di sangue. Secondo la quale, la morte di un "compagno" va lavata con il sangue di un "camerata" e viceversa.
A sparare sono soprattutto e innanzitutto i neofascisti dei Nar e di Terza posizione. I killer delle "volanti rosse". Ma non solo. Gli assassini di Verbano - se la Procura e il Ros hanno colto nel segno - in questo contesto, di cui pure fanno parte a pieno titolo e di cui respirano l'aria, non sono infatti incardinati con un'organizzazione militare e politica riconoscibile (anche per questo, le indagini sull'omicidio, che, per 9 anni, concentreranno i loro sospetti su appartenenti alle due sigle del neofascismo assassino, Nar e Terza posizione, si chiuderanno nell'89 con un'archiviazione "per essere ignoti gli autori del reato").
Gli assassini di Verbano sono dei violenti "cani sciolti" che si muovono in quell'area nera di "spontaneismo armato" che fa da corona ai Nar, cercandone la cooptazione. E scelgono la loro vittima con criterio. Perché la loro vittima conosce loro. Sa chi sono. Dove e come si muovono. Valerio Verbano - come oggi ha potuto accertare il Ros lavorando sui nuovi indiziati - ha infatti annotato i nomi dei suoi assassini nel mastodontico schedario che custodisce nella sua casa di via Monte Bianco 114 (e che in casa verrà ritrovato dagli inquirenti dopo l'omicidio). Centinaia di brevi report con cui, dal 1977, con metodica ossessione, ha dato un'identità e un volto, talvolta anche fotografico, ai militanti di destra del triangolo Trieste-Salario, Talenti, Montesacro.
Valerio Verbano non è una prima volta per i suoi assassini. Avevano sparato per uccidere undici mesi prima, la mattina del 30 marzo del 1979. Almeno di questo è convinto chi oggi si è rimesso a indagare. In una casa al civico 12 di via Valpolicella (nemmeno due chilometri in linea d'aria dall'abitazione di Verbano), dove cercavano Roberto Ugolini, altro militante della sinistra extraparlamentare. Anche quel giorno erano in tre. Anche quel giorno si fecero aprire la porta di casa dalla madre del ragazzo presentandosi come amici del figlio. Roberto Ugolini fu rapido a comprendere e a sottrarsi all'esecuzione. Uno dei tre fece fuoco riuscendo a colpirlo soltanto alle gambe. Erano a volto scoperto e loro descrizioni sono sovrapponibili a quelle degli assassini di Verbano. Un dettaglio, una ricorrenza. Sfuggito allora. E che ora potrebbe diventare cruciale.
Ci sono anche delle foto dei sospetti dell'omicidio, gli identikit aggiornati e c'è stato sicuramente un lavoro certosino di mappatura della violenza politica in un'area territoriale tra le più insanguinate negli anni di piombo a Roma: del resto le nuove tecnologie digitali permettono di semplificare molto il lavoro di incrocio dei dati, allora affidato alla memoria e alla tenacia dei singoli.
Ma c'è una cosa che sicuramente non funziona nella ricostruzione giornalistica: il nesso con la gambizzazione di Ugolini. Un delitto rimasto impunito ma la cui attribuzione storica al nucleo operativo di Terza posizione, sulla base delle testimonianze incrociate dei pentiti, è abbastanza certa. Costoro raccontano addirittura della "punizione" inferta a chi era rimasto fuori dal portone di "copertura" e che poi aveva mostato il "ferro" utilizzato
a una "pischella". Nel marzo 1979, con Dimitri militare di leva (era appena tornato in servizio dopo una convalescenza che gli aveva permesso di partecipare alla rapina all'Omnia sport del 15 marzo, per commemorare la morte di Franco Anselmi) ai vertici del nucleo operativo di Terza Posizione c'erano Roberto Nistri e Giorgio Vale. Undici mesi dopo il primo era detenuto e il secondo non aveva bisogno di un biglietto da visita per i Nar: quindici giorni prima aveva fatto da spalla di Valerio Fioravanti nell'omicidio Arnesano.
Che invece agli inizi del 1980, a due mesi dal "terribile dicembre" in cui erano stati arrestati in rapida successione Pedretti, Dimitri, Nistri e Calore ci fossero sul territorio giovani "focosi" e allo sbando, non c'è dubbio. Questo comunque l'articolo di Bonini:
L'OMICIDIO
Delitto Verbano, si riapre il caso
Dopo 31 anni due nomi e la pista nera
Lo studente di sinistra du ucciso in casa da un commando vicino ai Nar. Nell'archivio del ragazzo i nomi degli indiziati: militanti di destra, avevano già colpito. Il primo uomo vive da tempo all'estero, il secondo è un insospettabile professionista di CARLO BONINI
ROMA - L'omicidio di Valerio Verbano è un caso che si riapre. E la fuga di almeno due dei suoi tre carnefici, forse sta per finire. Consegnando innanzitutto a chi è stata condannata a sopravvivere a quel lutto - Carla Zappelli, 87 anni, la madre di Verbano, suo unico figlio - una "verità" in grado di chiudere una delle più simboliche, disumane e insolute pagine di sangue della storia della violenza politica del nostro Paese. A trentuno anni esatti dall'esecuzione del diciannovenne militante della sinistra extraparlamentare (22 febbraio 1980) e dal buio che da allora ne ha avvolto le responsabilità, prende corpo una nuova indagine della procura di Roma (procuratore aggiunto Pietro Saviotti, pm Erminio Amelio) e del Ros dei carabinieri che, dopo ventiquattro mesi di lavoro, colloca al centro della scena del crimine almeno due nuovi indiziati.
LE FOTO 1
Per quel che al momento è possibile ricostruire, due uomini oggi sulla cinquantina, la stessa età che avrebbe avuto la loro vittima se non la avessero giustiziata con un colpo di 38 special alla schiena. Il primo, riparato da tempo all'estero. L'altro, insospettabile professionista con una vita in Italia. Entrambi, già militanti della destra romana, sconosciuti alle cronache del tempo e - almeno a stare all'ipotesi investigativa - costituiti in un gruppo di fuocodeciso, nel febbraio di quel maledetto 1980, ad accreditarsi, con un cadavere di forte valore simbolico come quello di Valerio Verbano, agli occhi dei neofascisti Nuclei armati rivoluzionari di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro.
Degli indiziati (per altro, al momento, non ancora indagati), esistono dei nuovi identikit (aggiornati rispetto a quelli che vennero disegnati durante le prime indagini) ed è stata pazientemente ricostruita la loro storia di militanza violenta in quel triangolo dell'odio politico che, a Roma, tra la fine dei '70 e l'80, erano diventati i quartieri Trieste-Salario, Talenti, Montesacro. Tra il '76 e l'83 sono nove infatti gli omicidi di matrice politica che hanno come teatro questo quadrante della città. Muoiono Vittorio Occorsio, magistrato; Stefano Cecchetti, studente; Francesco Cecchin, studente; Valerio Verbano; Angelo Mancia, fattorino; Franco Evangelista, poliziotto; Mario Amato, magistrato; Luca Perucci, studente; Paolo Di Nella, studente. In una geografia della violenza che si contende il controllo di marciapiedi, bar, angoli di strada e ha come linee di confine tra "neri" e "rossi", il fiume Aniene e il ponte delle Valli. Che risponde alla logica draconiana del "colpo su colpo", per usare la definizione utilizzata nelle corti d'assise che giudicheranno a metà anni '80 quei fatti di sangue. Secondo la quale, la morte di un "compagno" va lavata con il sangue di un "camerata" e viceversa.
A sparare sono soprattutto e innanzitutto i neofascisti dei Nar e di Terza posizione. I killer delle "volanti rosse". Ma non solo. Gli assassini di Verbano - se la Procura e il Ros hanno colto nel segno - in questo contesto, di cui pure fanno parte a pieno titolo e di cui respirano l'aria, non sono infatti incardinati con un'organizzazione militare e politica riconoscibile (anche per questo, le indagini sull'omicidio, che, per 9 anni, concentreranno i loro sospetti su appartenenti alle due sigle del neofascismo assassino, Nar e Terza posizione, si chiuderanno nell'89 con un'archiviazione "per essere ignoti gli autori del reato").
Gli assassini di Verbano sono dei violenti "cani sciolti" che si muovono in quell'area nera di "spontaneismo armato" che fa da corona ai Nar, cercandone la cooptazione. E scelgono la loro vittima con criterio. Perché la loro vittima conosce loro. Sa chi sono. Dove e come si muovono. Valerio Verbano - come oggi ha potuto accertare il Ros lavorando sui nuovi indiziati - ha infatti annotato i nomi dei suoi assassini nel mastodontico schedario che custodisce nella sua casa di via Monte Bianco 114 (e che in casa verrà ritrovato dagli inquirenti dopo l'omicidio). Centinaia di brevi report con cui, dal 1977, con metodica ossessione, ha dato un'identità e un volto, talvolta anche fotografico, ai militanti di destra del triangolo Trieste-Salario, Talenti, Montesacro.
Valerio Verbano non è una prima volta per i suoi assassini. Avevano sparato per uccidere undici mesi prima, la mattina del 30 marzo del 1979. Almeno di questo è convinto chi oggi si è rimesso a indagare. In una casa al civico 12 di via Valpolicella (nemmeno due chilometri in linea d'aria dall'abitazione di Verbano), dove cercavano Roberto Ugolini, altro militante della sinistra extraparlamentare. Anche quel giorno erano in tre. Anche quel giorno si fecero aprire la porta di casa dalla madre del ragazzo presentandosi come amici del figlio. Roberto Ugolini fu rapido a comprendere e a sottrarsi all'esecuzione. Uno dei tre fece fuoco riuscendo a colpirlo soltanto alle gambe. Erano a volto scoperto e loro descrizioni sono sovrapponibili a quelle degli assassini di Verbano. Un dettaglio, una ricorrenza. Sfuggito allora. E che ora potrebbe diventare cruciale.
(22 febbraio 2011)
Ma Bonini è proprio convinto del collegamento con Ugolini? O forse fa meglio Bianconi oggi sul Corsera?
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