A Ferrara, domani, per presentare "Fuori dal cerchio"/2
La padrona di casa e organizzatrice della presentazione di domani a Ferrara è Francesca Giovannini, leader emiliana e dirigente nazionale di CasaPound. Qualche mese fa ha pubblicato sull'Occidentale una bella intervista a Nicola, a proposito del libro, in cui mi tira un paio di volte in mezzo.
Tanto nel libro quanto in rete hai affermato che il titolo, “Fuori dal Cerchio”, è frutto del confronto dialettico con Ugo Maria Tassinari. Cerchiamo di far luce sul concept: perché questo titolo ed a chi o cosa ti riferisci con esso?
Il concetto di fondo è abbastanza semplice, ma è un titolo al quale possono essere dati più significati. Il “cerchio”, in un certo senso è il pregiudizio, è il contenitore nel quale racchiudi il militante di destra in base ai tuoi riferimenti politici e culturali, è “l’immagine metafisica del fascista”, come ha scritto qualcuno in modo polemico.
Dando per assunto cha la mia immagine mentale del fascista non sia necessariamente vera, ma neppure necessariamente metafisica, nel libro credo di avere raccontato storie e realtà che mi hanno stupito, che escono, almeno in parte, dallo stereotipo delle mie aspettative su cosa debbano fare o dire o pensare i fascisti del secondo o del terzo millennio. In questo senso, il mio è anche un viaggio personale, all’interno di una destra, come ha scritto qualcuno, “immaginata”, personale, rapportata ai parametri delle mie idee e della mia cultura. Il “cerchio” è quello che mi aspetto, “Fuori dal cerchio” c’è quello che mi spiazza: un percorso che porta fuori dalla “mia” destra immaginata, e che mi impone il confronto con realtà più variegate e complesse di quanto immaginassi.Ma “il cerchio” può anche essere inteso come “il recinto”, “il ghetto”, “la riserva indiana” che è stata costruita in Italia negli anni. In questo senso, “fuori dal cerchio” sono i tentativi di spezzare i confini imposti dalla ghettizzazione, le storie e le rivendicazioni che secondo me possono superare i muri ed abbattere i tabù
Ugo Maria Tassinari, con una buona dose di ironia, usa parlare di “fascinazione” nei confronti di quella che simpaticamente chiama la “fascisteria”, due termini con cui ha intitolato un libro di un certo successo e, più di recente, un blog di estremo interesse. Leggendo le tue introduzioni ad alcune delle interviste presenti in “Fuori dal Cerchio” abbiamo avuto l’impressione che manifestassi, sia pure con distacco ed evidenti capacità critiche, un certo “indice di gradimento” nei confronti di una fetta del mondo della “destra radicale” italiana; sembra provarlo anche il fatto che all’esperienza di CasaPound Italia è dedicato quasi tutto il testo. Se la sensazione è corretta, quali sono i potenziali punti di raccordo tra il nostro ed il tuo modo di concepire la politica?
È l’idea di militanza, soprattutto, legata ai modi di partecipazione delle giovani generazioni. Come è scritto nelle note di copertina, ho fatto le mie esperienze quando ero molto giovane, iniziando a militare nella Fgci, poi nella Sinistra Giovanile. Si parlava molto, si facevano molte riunioni, e si scimmiottavano molto gli adulti. Probabilmente, ho attraversato un’epoca di passaggio, in cui i dibattiti non erano facili, e in cui eravamo chiamati a schierarci su questioni che avevano a che fare con i “massimi sistemi”, la trasformazione del partito, l’eredità dei paesi dell’Est, “il comunismo” e la “socialdemocrazia”: erano temi impegnativi, che non lasciavano grande spazio alla creatività, e che credo abbiano contribuito a formare una generazione molto orientata all’astratto, e poco ancorata ai problemi reali. La capacità di portare temi concreti, anche attraverso la provocazione, la rottura – le tecniche cosiddette dello “shock mediatico”–, è una cosa che invidio a CasaPound, e che nella mia esperienza politica probabilmente è mancata. Allo stesso tempo, vivo con qualche disagio la fase attuale, che considero ingessata da troppe regole assurde e da una serie di conformismi esasperati, malgrado l’irruzione apparentemente frequente dell’invettiva e del “politicamente scorretto”. L’irriverenza di CasaPound, in questo scenario paludato, mi sembra comunque un valore, e la provocazione culturale credo che possa servire ad avviare qualche dibattito e a dare qualche scossone salutare. Credo che la mia, quando c’è stata, sia stata soprattutto una forma di adesione culturale ed emotiva alle “forme”, più che ai contenuti, un’adesione all’idea stessa di “rottura”, che mi sembra qualcosa di cui il paese avrebbe bisogno in questo momento. Non amo molto il conformismo, e questo mi porta a guardare con qualche interesse chi sembra rompere gli schemi: è una mia debolezza.
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