Luciano Lucci Chiarissi, una coscienza critica tra fascismo e neofascismo
L'appuntamento di stasera a CasaPound è di quelli da bollino blu e meriterebbe una più approfondita riflessione. Ma sono giorni incasinatissimi tra un nuovo progetto editoriale in rampa di lancio e qualche affanno sul lavoro. E così mi limito ad offrirvi una miscellanea di citazioni (da Fascisteria 2, Sperlin & Kupfer 2008), sulla figura di Luciano Lucci Chiarissi, segnalandovi come lettura importante la recente ristampa della sua autobiografia
Luciano Lucci Chiarissi, coimputato di Rauti nel processo ai Far, animatore dell’Orologio, un circolo e una rivista dal taglio fortemente tercerista, una leggenda nell’area dei Nar: nell’immediato dopoguerra aveva guidato un commando armato a occupare la sede della Rai di via Asiago per leggere un proclama e poi dileguarsi impunemente.(...)
Proprio il ’68 segna probabilmente il punto di svolta in cui la diversificazione tra gruppi “controrivoluzionari” e tendenze rivoluzionarie esce allo scoperto. A questa decantazione aveva sicuramente contribuito, lavorando negli anni precedenti alla produzione di un qualificato arsenale ideologico (dall’adesione al mito del Che al sostegno alla guerriglia vietcong), l’Orologio, una rivista promossa da Lucci Chiarissi, uno dei pochi militanti dei Far rimasto poi estraneo alla fascinazione evoliana, sia per curiosità intellettuale sia per vocazione sociale e civile. Gli omonimi gruppi universitari saranno tra i protagonisti delle occupazioni compiute dal movimento da Perugia a Messina, ma anche in una realtà come Pisa, a schiacciante maggioranza di sinistra. Lo stesso Clemente Graziani, in un’avanzatissima lettura del beat americano, già nel 1962 coglieva e anticipava temi della successiva contestazione globale, salvo poi perdere il tempo dell’opportunità politica. La radicalizzazione dello scontro con il movimento studentesco prodotta dalla spedizione punitiva missina a Roma favorirà comunque un compattamento identitario, liquidando il sogno di un’unità generazionale: gran parte dei giovani si scopriranno antifascisti, una minoranza agguerrita irrobustirà le schiere (e spesso fornirà la carne da cannone) dell’esercito anticomunista. Per Lucci Chiarissi sarà questo “un imperdonabile errore strategico” che toglierà al Msi “ogni pur minima ragione politica autonoma”: perché nello scenario internazionale definito dal compromesso di Yalta, viene sottovalutata la realtà unitaria del regime antifascista in cui Dc e Pci sono due facce della stessa medaglia (e inoltre così si consegna alla sinistra il monopolio del discorso di protesta). (...)
Una diversa lettura del rapido adeguamento del sovversivismo neofascista del dopoguerra agli equilibri e alle dinamiche del risorto sistema democratico la offre Lucci Chiarissi che, pur partendo dal riconoscimento della “confluenza di interessi tra esponenti del nuovo regime e uomini rappresentativi degli ambienti fascisti”, arriva ad attingere alla sfera della mentalità. Citando Sorel e l’esempio dei Cristiani che pur potendo trovare facilmente ospitalità nel Pantheon, non vollero rinunciare alla radicalità della scelta della Croce, sottolinea come “fu proprio lo ‘spirito di scissione’ che venne a mancare nel nostro ambiente, per ragioni umanissime, nel primo dopoguerra. Vinse dunque la tesi dell’inserimento ed è onesto riconoscere che l’ambiente vi fu spinto da considerazioni non peregrine: (…) e ne nacque il Msi. (…) E il bagaglio ideale fu presto smobilitato, perché si dovette pagare il biglietto anche per l’entrata dalla porta di servizio”.
Il viscerale disprezzo per la democrazia, definita “sifilide dello spirito” e la mai rinnegata venerazione per le eroiche Ss non hanno impedito a Rauti di essere a busta paga di apparati della Repubblica nata per la Resistenza e, secondo acquisizioni istruttorie da lui sdegnosamente smentite, anche direttamente della Cia. All’operazione mitopoietica di chi esalta la mistica mortuaria dei ragazzi di Salò si oppone un reduce che pure ha condiviso l’esperienza dei Far e della prima corrente ‘evoliana’ del nascente Msi: “Questi uomini – spiega Lucci Chiarissi – si sentivano, malgrado tutto profondamente sereni e umanamente felici, cosicché certe interpretazioni che pretendono di caratterizzare gli ambienti della Rsi in chiave di “generazione infelice”, quando non da nibelungismo da operetta, non corrispondono al vero. Scenografia a parte, si trattava di uomini che, avendo scelto di pagare il loro impegno con la vita e con la storia, si stavano ‘sporcando le mani’” (...)
Due neofascisti della prima ora, che pure hanno praticato forme embrionali di lotta armata, Luciano Lucci Chiarissi e Giulio Salierno, sottolineano come, in realtà, non siano mai stato vendicati Mussolini e la “tragedia” di piazzale Loreto. (...)
A sua volta Gabriele Adinolfi così presenta l'appuntamento:
Un tempo gli esuli in Patria, i reduci della Rsi, cercarono di costruire nuove sintesi che sposassero socialità e nazionalità superando gli schemi della guerra civile. Così si comportarono le menti migliori dell'intellighenzia eretica, come Luciano Lucci Chiarissi e Giano Accame. Fu il percorso de ‘L'Orologio’, la rivista nata nel 1963 proprio grazie a Chiarissi e Accame che riprospettava in termini nuovi la tradizione del "fascismo di sinistra", fino alla proposizione, agli inizi degli anni ’80, del "socialismo tricolore".A discutere di questa esperienza, giovedì 20 gennaio alle 21 a CasaPound, in via Napoleone III 8, a Roma, saranno Gabriele Adinolfi, Pietrangelo Buttafuoco, Giorgio Vitangeli e Romano Vulpitta, nel corso della conferenza ‘L’Orologio: Luciano Lucci Chiarissi e Giano Accame, l’intellighenzia eretica del dopoguerra’.‘’Guardare avanti restando fedeli alle proprie esperienze, alle proprie origini e alle proprie scelte, quello fu il messaggio di quel gruppo politico e umano – sottolinea Cpi - Un messaggio che intendiamo raccogliere in un momento in cui generalmente si rinnega tutto per non guardare da nessuna parte’’.
Luciano Lucci Chiarissi, coimputato di Rauti nel processo ai Far, animatore dell’Orologio, un circolo e una rivista dal taglio fortemente tercerista, una leggenda nell’area dei Nar: nell’immediato dopoguerra aveva guidato un commando armato a occupare la sede della Rai di via Asiago per leggere un proclama e poi dileguarsi impunemente.(...)
Proprio il ’68 segna probabilmente il punto di svolta in cui la diversificazione tra gruppi “controrivoluzionari” e tendenze rivoluzionarie esce allo scoperto. A questa decantazione aveva sicuramente contribuito, lavorando negli anni precedenti alla produzione di un qualificato arsenale ideologico (dall’adesione al mito del Che al sostegno alla guerriglia vietcong), l’Orologio, una rivista promossa da Lucci Chiarissi, uno dei pochi militanti dei Far rimasto poi estraneo alla fascinazione evoliana, sia per curiosità intellettuale sia per vocazione sociale e civile. Gli omonimi gruppi universitari saranno tra i protagonisti delle occupazioni compiute dal movimento da Perugia a Messina, ma anche in una realtà come Pisa, a schiacciante maggioranza di sinistra. Lo stesso Clemente Graziani, in un’avanzatissima lettura del beat americano, già nel 1962 coglieva e anticipava temi della successiva contestazione globale, salvo poi perdere il tempo dell’opportunità politica. La radicalizzazione dello scontro con il movimento studentesco prodotta dalla spedizione punitiva missina a Roma favorirà comunque un compattamento identitario, liquidando il sogno di un’unità generazionale: gran parte dei giovani si scopriranno antifascisti, una minoranza agguerrita irrobustirà le schiere (e spesso fornirà la carne da cannone) dell’esercito anticomunista. Per Lucci Chiarissi sarà questo “un imperdonabile errore strategico” che toglierà al Msi “ogni pur minima ragione politica autonoma”: perché nello scenario internazionale definito dal compromesso di Yalta, viene sottovalutata la realtà unitaria del regime antifascista in cui Dc e Pci sono due facce della stessa medaglia (e inoltre così si consegna alla sinistra il monopolio del discorso di protesta). (...)
Una diversa lettura del rapido adeguamento del sovversivismo neofascista del dopoguerra agli equilibri e alle dinamiche del risorto sistema democratico la offre Lucci Chiarissi che, pur partendo dal riconoscimento della “confluenza di interessi tra esponenti del nuovo regime e uomini rappresentativi degli ambienti fascisti”, arriva ad attingere alla sfera della mentalità. Citando Sorel e l’esempio dei Cristiani che pur potendo trovare facilmente ospitalità nel Pantheon, non vollero rinunciare alla radicalità della scelta della Croce, sottolinea come “fu proprio lo ‘spirito di scissione’ che venne a mancare nel nostro ambiente, per ragioni umanissime, nel primo dopoguerra. Vinse dunque la tesi dell’inserimento ed è onesto riconoscere che l’ambiente vi fu spinto da considerazioni non peregrine: (…) e ne nacque il Msi. (…) E il bagaglio ideale fu presto smobilitato, perché si dovette pagare il biglietto anche per l’entrata dalla porta di servizio”.
Il viscerale disprezzo per la democrazia, definita “sifilide dello spirito” e la mai rinnegata venerazione per le eroiche Ss non hanno impedito a Rauti di essere a busta paga di apparati della Repubblica nata per la Resistenza e, secondo acquisizioni istruttorie da lui sdegnosamente smentite, anche direttamente della Cia. All’operazione mitopoietica di chi esalta la mistica mortuaria dei ragazzi di Salò si oppone un reduce che pure ha condiviso l’esperienza dei Far e della prima corrente ‘evoliana’ del nascente Msi: “Questi uomini – spiega Lucci Chiarissi – si sentivano, malgrado tutto profondamente sereni e umanamente felici, cosicché certe interpretazioni che pretendono di caratterizzare gli ambienti della Rsi in chiave di “generazione infelice”, quando non da nibelungismo da operetta, non corrispondono al vero. Scenografia a parte, si trattava di uomini che, avendo scelto di pagare il loro impegno con la vita e con la storia, si stavano ‘sporcando le mani’” (...)
Due neofascisti della prima ora, che pure hanno praticato forme embrionali di lotta armata, Luciano Lucci Chiarissi e Giulio Salierno, sottolineano come, in realtà, non siano mai stato vendicati Mussolini e la “tragedia” di piazzale Loreto. (...)
A sua volta Gabriele Adinolfi così presenta l'appuntamento:
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