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Il 'tecnico' Croppi racconta: io al centro dell'uragano negli anni di piombo

Il "tecnico" Umberto Croppi - l'unico assessore bravo della giunta Alemanno e appunto perciò "segato" nel rimpasto ultradoroteo - è un pezzo di storia della fascisteria romana negli anni di piombo. Vediamo come la racconta lui, in occasione del trentennale della morte di Miki Mantakas, in una lettera a "Il Riformista"
Io, espulso dal consiglio di facoltà come complice del Circeo di Umberto Croppi
Sono quello che stava con Mantakas quando uccidere i fascisti non era reato Altro che opposti estremismi: dopo il ’72 era stato deciso di far fuori il Msi dalla vita politica 
Caro direttore, il mio nome è spesso associato (nella rete, sui testi) a quello di Mikis Mantakas, lo studente greco ucciso durante il processo per il rogo di Primavalle. Quella mattina lo portai io all'appuntamento con il suo assassino e io stesso, poche ore prima, fui oggetto di alcuni colpi andati a vuoto, nei pressi del tribunale di Roma. Ero a quei tempi dirigente del Fuan e del Fronte della gioventù, divenni in quell'anno membro del consiglio di facoltà di giurisprudenza e consigliere comunale. Ho poi seguito un cursus honorum che mi ha portato fino ai vertici del Msi, da cui sono uscito nel '91 seguendo altri percorsi politici. Ho abbandonato ogni impegno diretto in politica una decina di anni fa. All'epoca ho vissuto nell'epicentro dell'uragano che scosse l'Italia.
I Mattei li ospitammo, dopo la tragedia, nel paese in cui abitavo, dove rimasero per anni, quasi clandestini, perseguitati dal terrore. Ho frequentato molti dei protagonisti e delle vittime di quegli anni violenti, ho fatto il globe-trotter per l'Italia, ho sentito sul collo il fiato della persecuzione dell'isolamento, sono stato pestato a sangue il giorno delle prime elezioni universitarie solo perché, matricola, ero andato a votare.
Sono stato tra i primi a cercare il dialogo con i nostri supposti avversari, già alla fine degli anni '70, promotore con altri di iniziative (come gli ormai famosi Campi Hobbit) che servirono a svelenire il clima, dei primi tentativi di dialogo (il dibattito Tarchi-Cacciari) che sollevarono ondate di polemica, perché ancora nell'82 con “i fascisti” non si doveva nemmeno parlare. Insieme a Beppe Niccolai e Giano Accame sottoscrissi il primo comunicato di solidarietà per Adriano Sofri, all'indomani della sua incriminazione. Mi sono sempre adoperato (per quel che mi è concesso) per la chiusura definitiva di quella stagione e per la soluzione politica di un fenomeno che fu vasto, se non, addirittura generalizzato.
Oggi sono amico di molti di quelli che trenta anni fa mi volevano morto. Se ne parla liberamente, non si fa la conta a chi era più buono o più cattivo, chi c'era e ha l'onestà di ricordare senza mediazioni propagandistiche sa bene cosa è successo. 
Eppure non riesco a ritrovarmi nella rappresentazione che sta emergendo dal dibattito scaturito a partire dalle novità legate alla strage di Primavalle, che tende costantemente a riprodurre lo schema allora imposto: gli opposti estremismi.
Sembra infatti, dalle dichiarazioni e le analisi di questi giorni, che ci fossero due bande di facinorosi che si facevano la guerra, con magari qualche complicità di ambienti politici e intellettuali ad essi contigui, e un'Italia moderata che stava a guardare sbigottita. Non andò così. Tutto iniziò quando, a cavallo delle elezioni del '72, la Dc cominciò a temere una possibile concorrenza a destra da parte del Msi. Fu dal maggior partito di governo che partì l'anatema: con la formula dell'“arco costituzionale” (De Mita) si intese escludere, dopo quasi trent'anni di pacifica convivenza, un partito dalla vita politica e la comunità umana che ad esso faceva riferimento dalla vita civile. Seguirono, a stretto giro, le direttive tipo «coi fascisti non si parla» (Berlinguer) che furono raccolte e applicate da tutti (tutti!) a tutti i livelli, dalle assemblee scolastiche ai consessi elettorali ai dibattiti televisivi. Poi la campagna di raccolta firme per lo scioglimento dell'Msi, fatta dal Pci non dai gruppi extraparlamentari. 
Il passo successivo fu semplice, «uccidere i fascisti non è reato», «il sangue fascista fa bene alla vista», «se vedi un punto nero spara a vista …» eccetera eccetera. E mentre gli apparati politico-mediatico-giudiziari provvedevano al sostegno delle difese e delle posizioni innocentiste, sui muri fiorivano i «10-100-1000 Primavalle», «i covi dei fascisti si chiudono col fuoco».
Non voglio nemmeno più ripetere quello che infinite volte ci siamo detti: la violenza c'era, c'è stato anche a destra chi ne ha coltivato il culto, ci sono stati episodi di ferocia e di criminalità. Ma questo non basta a dar conto del fenomeno che storicamente si è determinato tra il '73 e il '77 (quello che è successo dopo ne è un derivato). L'intera società politica italiana aveva decretato l'espulsione di una sola parte dal suo contesto. Gli omicidi erano solo un corollario legittimo di quel decreto. La presunzione di incolpevolezza, lo stupore di chi si vedeva processato per aver commesso un atto “di giustizia” erano paradossalmente sinceri. 
Mantakas fu giustiziato con un colpo di revolver alla testa, non durante uno “scontro”, ma perché ai missini non doveva nemmeno essere concesso di assistere al processo agli autori del rogo di Primavalle.
Non si trattava di conflitti, Mazzola e Giralucci furono le prime vittime delle Br, uccisi a sangue freddo nella federazione del Msi di Padova, Ramelli e Pedenovi a Milano furono uccisi in agguati sotto casa, Zicchieri fuori una sezione del Msi al Prenestino. E qui interrompo il lungo necrologio.
A me non è venuto mai nemmeno in mente, nemmeno per vendetta, di uccidere un mio avversario, ma arrivo a capire cosa può essere successo nella testa di un mio coetaneo che voleva uccidere me. Era il contesto che lo legittimava. Lo motivava, in un certo senso lo armava. Sono i miei amici di ora che mi confermano di aver provveduto alla compilazione degli schedari in cui finivano le informazioni sui miei spostamenti, le mie foto “segnaletiche”, a nessuno di noi è mai venuto in mente di schedare, di seguire un nostro avversario. Ma posso capire le emozioni derivate che spingevano un ventenne a considerarsi parte di un esercito che si sentiva alla vigilia della propria rivoluzione di ottobre.
A creare l'acqua in cui quei rivoluzionari credevano di muoversi come pesci (in realtà era un acquario ben sorvegliato da chi li - ci - lasciava fare per utilizzarci tutti al momento giusto) non erano tanto i capetti invasati. Nemmeno gli intellettuali blasonati che li accoglievano nei loro salotti. Erano i moderati che non si limitavano a tollerarne le gesta ma li incoraggiavano, gli fornivano l'alibi morale ancor prima che politico. Io entrai nel consiglio di facoltà ancora matricola e con ancora un occhio bendato e le costole fasciate, scortato da 100 poliziotti, e dovetti subire l'ordine del giorno, con cui si chiedeva la mia espulsione dal consesso in cui ero stato eletto in quanto (cito testualmente) «complice degli stupratori del Circeo». Il documento era firmato e illustrato da un'illustre professore comunista (oggi uno dei più stimati e pacati intellettuali italiani) ma veniva votato dai cattolici, dai moderati: ci fu una sola astensione, quella del professor Ferri, nemmeno un voto contrario. Il giorno dell'omicidio Calabresi andai col mio parroco a far visita ad un contadino democristiano, insieme a suo figlio, delegato giovanile della Dc: stavano festeggiando. Quando a Milano venne ucciso il consigliere provinciale del Msi Enrico Pedenovi, il mio sindaco (sindaco di un monocolore democristiano) fece stampare un manifesto di condanna, poi ne comprese l'“inattualità” ed evitò di affiggerlo.
Quando furono istituiti a Milano i primi consigli di quartiere, i ragazzi del Msi che furono chiamati a prendervi parte dovettero affrontare un vero e proprio sistematico massacro, con prognosi anche di 90 giorni e non ci fu un solo Consiglio in cui non fu chiesta, con ordine del giorno, la loro espulsione. Io per quindici anni ho fatto il consigliere comunale senza, una sola volta poter instaurare un dialogo, senza far parte di una commissione, senza neanche fare lo scrutatore. Ho dovuto abbandonare l'Università di Roma perché, come a molti altri, mi era semplicemente impedito di varcarne i cancelli. A un povero cristo, colpevole solo di assomigliarmi, aprirono la faccia dalla bocca fino all'orecchio.
Ancora nell'82, quando Cacciari decise scandalosamente di parlare con un intellettuale che era stato di destra, Marco Tarchi, ci fu una corale levata di scudi dell'intelighentia italiana, rileggetevi la rassegna stampa dell'epoca, il filosofo veneziano fu ricoperto di improperi soprattutto dai suoi amici, in prima fila quelli che oggi stanno in Forza Italia. Con i fascisti non si parla! Punto e basta.
Insomma è ora di chiuderla definitivamente quella stagione e non serve nemmeno andare a ricercare le responsabilità individuali, siamo tutti altre persone rispetto ad allora, e alcuni di noi l'outing l'hanno fatto completo, senza riserve e in tempi non sospetti. Se si vuole, però, ricostruire il quadro storico degli eventi bisogna farlo secondo verità: in quell'inzio degli anni '70 non ci fu guerra per bande, non ci furono opposti estremismi, ci fu il tentativo dichiarato, argomentato e praticato di cancellare dalla faccia della terra una comunità politica.
Sette-otto anni fa viaggiai in treno da Firenze con Adriano Sofri, andavamo entrambi a Roma ad assistere ad un dibattito sugli anni di piombo in una libreria. Il pubblico era costituito prevalentemente da giovanissimi autonomi. Adriano era già andato via quando uno di quei ragazzi affermò: «Ramelli era uno che di professione faceva il picchiatore fascista e quindi è giusto che abbia fatto la fine che ha fatto». Tra i presenti fu soltanto Giampiero Mughini a reagire e fu costretto ad andarsene sotto le ingiurie dei giovanotti. Gli altri relatori tentarono una benevola conciliazione. Forse una onesta ricostruzione di quanto successe aiuterebbe anche non far rinascere queste tossine, di sinistra o di destra, poco importa.

23 commenti:

  1. E' la fotografia vera dell'Italia anni 70, fatta da Croppi, di quella epoca impietosa; di quel clima di odio,di intolleranza, istigata e voluta dai mass media e dal culturame di sinistra, con la complicità dell'intero arco costituzionale. I missini negli anni settanta, hanno subito una persecuzione politico giudiziaria,legislativa e soprattutto repressiva pari a quella subita dagli ebrei negli anni trenta nella Germania nazista.I post missini, non solo hanno rinnegato e ripudiato il loro passato, ma non sono neanche capaci di tenersi tra le loro fila, uomini liberi come Croppi.Ci sarà mai un storico di regime, che abbia il coraggio di scrivere quel pezzo di storia?T.V.

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  2. è la solita immagine che gli piacerebbe, con i giovani fascisti belli e costretti a vivere nell'ombra ma animati da un vero spirito di rinnovamento, contro le pantegane comuniste, come minimo indotrinate (dalla DC addirittura) che cercano di annegare nel loro sangue la propria idiozia.
    Retorica della più inutile, è evidente che i tempi per ridiscutere gli anni di piombo sono ancora molto lontani

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  3. Certo quando si arriva a negare che quel clima plumbeo,creato artificiosamente all'insegna di una truffa storica che si chiama antifascismo,pieno di luoghi comuni circa la resistenza ecc.ecc.,nonché saturo di odio,si può negare anche che domani mattina sorgerà di nuovo il sole.Poi non credere che non ci sia stato anche il concorso esterno, della balena bianca, in combutta con la bestia rossa, beh ...allora uno può credere alla Befana, al mostro di Lochness... T.V.

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  4. bisognerebbe anche credere che non è vero che gli Usa daveno gli esplosivi all'esercito italiano che attraverso amici industriali lo faceva arrivare a giovani ragazzi idealisti che nel fulgore della loro gagliarda militanza andavano a nasconderlo nelle piazze, nei treni e nei luoghi di lavoro per far strage di italiani.
    Ma purtroppo questo è accaduto e qualunque analisi dovrebbe prescindere dalla passione e dalla rabbia politica. Cosa davvero difficile.

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  5. Ci sono molte verità nell'articolo di Croppi, ma, anche, molte omissioni, troppo semplice far partire tutto dagli inizi del "70, bisogna fare molti passi indietro, a partire dal voto favorevole all'entrata nella nato,mazzieri contro i contadini che occupavano le terre al sud, provocatori, con la cisnal, all'interno delle fabbriche, operazioni sporche commissionate dai servizi, prime violenze nelle università, morte di Rossi a Roma, nel "68 contro le occupazioni, Piazza Fontana, ecc..ecc....l'antifascismo militante degli anni "70 non è nato dal nulla, basta con questa ipocrisia, naturalmente non voglio giustificare nulla, ma basta col fare le vittime.

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  6. La morte di Rossi alla Sapienza di Roma nel 68, fu dovuta a scontri tra giovani appartenenti al movimento giovanile di Randolfo Pacciardi (Primula goliardica) e oltranzisti di sinistra,costui era un noto antifascista, esule all'estero durante il bieco ventennio,nonché organizzatore di attentati alla vita di Mussolini (leggetevi Una bomba per il duce); comandante di unità militari nelle fila delle Brigate Internazionali durante la guerra civile spagnola, ministro della Difesa nel dopoguerra, uomo di fiducia degli americani e quindi sicuramente non un neofascista.Piazza Fontana fu una strage che vide il coinvolgimento di neofascisti e di anarchici,comunque entrambi nel ruolo di manovalanza e non di registi occulti, che agirono sempre nell'ottica del "destabilizzare per stabilizzare". Molti miti e leggende metropolitane, sono state smentite dalla magistratura, che per quando riguarda la strage dell'Italicus e di piazza della Loggia ha assolto gli imputati neofascisti.I missini hanno tutti i titoli per fare le vittime. T.V.

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  7. La morte di Rossi alla Sapienza è il 27 aprile del 66 in scontri legati ai brogli tipici delle elezioni universitarie.
    Tra i leader di Primula c'era Enzo Maria Dantini (già volontario nazionale e in seguito perito di parte per Freda) e Ugo Gaudenzi, poi fondatori di Lotta di Popolo. Tra i collaboratori più stretti di Pacciardi c'erano poi un evoliano della prima ora come Fabio De Felice e Giano Accame...
    Se si prende per buona la magistratura sono fasciste le stragi di Peteano e di Bologna e la mancata strage del treno Savona Roma...

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  8. Piazza Fontana, come le altre stragi ha visto come esecutori elementi non italiani come anche i mandanti, il Governo avendo ben a conoscenza chi fosse stato, ha preferito creare un capro espiatorio e senza nè prove nè indizi colpire e accusare innocenti!
    E dopo anni tutti assolti per non aver commesso il fatto!
    E prima di commentare fesserie, vi consiglio di leggervi il libro "Strage all'Italiana" dell'Avv. Valerio Cutonilli.
    E come disse anni dopo Cossiga (che negli anni delle stragi era a capo dei Servizi), delle stragi in Italia i fascisti sono del tutto innocenti!

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  9. Se si crede al generale Maletti, l'esplosivo per la strage di piazza Fontana lo fornirono gli americani;in alternativa se si crede ad Anna Bolena, non si può escludere che l'esplosivo per la strage della BNA, sia di provenienza iberica, fatto giungere in Italia su richiesta degli anarchici e fornito da altri anarchici spagnoli,comunque in entrambi i casi c'è lo zampino estero.Ezio Maria Dantini, è come il condimento sulla pasta, buono per tutte le stagioni; buono in Sud Tirolo (non Alto Adige) per il lavoro sporco contro gli indipendentisti,buono come perito di parte; buono come istruttore di bombaroli istituzionali e non, ma cattivo per Gladio, che lo rifiutò stante i suoi convincimenti politici, ma allora da che parte stava? Certamente se diamo retta ai "fontanologhi" di regime tutto è colpa dei neofascisti, anche per le stragi avvenute a Milano, al teatro Diana il 23 marzo 1923 e in quella successiva di piazzale Giulio Cesare del 12 aprile 1928, se crediamo agli storici di regime, sono stati immancabilmente...i fascisti! Sempre loro dannati bombaroli! Aspetto con ansia e in trepida attesa,un nuovo libro, con la nuova ricostruzione di qualche zelante storico di regime, che sveli che anche la strage di via Rasella, fu fatta dai fascisti in combutta immancabilmente con la polizia, travestiti da GAP!Avanti tutti in coro, cantiamo con Joe Fallisi e UMT, la celebre canzonetta: "un compagno non può averlo fatto"!T.V.

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  10. Cossiga non ha detto che i fascisti non hanno fatto le stragi: la sua ritrattazione riguarda specificamente Bologna.
    Dantini è buono (e molto bravo) anche come istruttore dei bombaroli spontaneisti e "anarchici di destra" (la definizione è dello stsso Macchi) del MRP che compiono attentati devastanti contro simboli del potere facendo pochi feriti minori. Io l'ho citato solo per confutare una tua informazione errata.
    E poi sei noioso: gli anarchici le bombe le hanno messe come le hanno messe i fascisti. E come le ha messe Feltrinelli. All'epoca di quella canzonetta gli anarchici erano perseguitati per bombe che poi si è saputo aver messo i fascisti. Qual è il problema? Io non sono un fontanologo di regime. Io sono uno che si è interessato poco delle stragi perché sono convinto, con Curcio, che la verità è inattingibile e quindi, che quello su cui non si ha nulla da dire è meglio tacere (non è mia, ma ogni tanto provo a elevare il tono)...

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  11. Come hanno già notato altri, comprendo l'intervento di Croppi, ma l'avrei apprezzato di più se fosse stato meno reticente. Solo per restare a Milano: Piazza Fontana, Brasili, Varalli, Zicchieri, Amoroso, l'agente Marino gli dicono qualcosa? L'onestà intellettuale va esercitata sempre...

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  12. La Volante Rossa che nell'immediato dopoguerra si rese responsabile dell'uccisione dello zio di Franco Servello, direttore di un periodico,Sergio Ramelli,Enrico Pedenovi uccisi barbaramente,l'avvocato Cesare Biglia, il missino Sergio Frittoli,Rodolfo Mersi sindacalista della CISNAL a cui tutti e tre gli oltranzisti di sinistra, aprirono il cranio con una hazet 36 e molti altri che non ricordo, mai sentiti prima d'ora vero?T.V.

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  13. Mi metto a fare l'elenco degli uccisi dal fascismo? Dai, cerchiamo di piantarla: ognuno si tiene i suoi morti. La differenza è che tu puoi parlare, io sotto il fascismo no. Chiaro?

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  14. E vorrei che fosse altrettanto chiaro che io sono un socialista libertario, ma non un ipocrita. Anch'io negli anni settanta ho pensato che uccidere un fascista non fosse un reato, so perché lo pensavo, ma me ne vergogno. Vorrei che anche tu, quando vedi Fioravanti in giro, ti vergognassi

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  15. Piaccia o non piaccia, i fascisti non sono responsabili di nessuna strage! Di uccisioni di singoli si, ma, colpire nel mucchio non è da fascista.
    Questa è la verità, punto è basta, il resto sono teoremi inventati è senza prove alcune.

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  16. La verità giudiziaria è un'altra. La strage di Peteano è stato compiuta dal segretario della sezione del Msi di un paesino della Valle di Natisone e dal responsabile della cellula ordinovista di Udine poi passato ad Avanguardia nazionale.
    In questo caso la verità giudiziaria coincide anche con la verità storica.

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  17. In quel caso, hai ragione, ma, appunto in quel caso differenzia dal concetto di strage (rispetto le altre), in quanto non vennero coinvolte civili, ma, fù una sorta di "agguato", volto a colpire la parte avversa.
    Quindi rimane essatto da quanto ho esposto prima.

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  18. Io sono convinto che l'unica strage che non vi furono coinvolti i fascisti è quella alla Stazione di Bologna, che, guarda caso, ha trovato dei "colpevoli innocenti".

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  19. Flavio Viriato, le sentenze assolutorie per le stragi di Piazza della Loggia e dell'Italicus e la madre di tutte le stragi, quella di Piazza Fontana,non ti dicono niente?In tutti i casi, la magistratura dopo decenni di indagini a senso unico, montagne di documenti e dopo aver escusso migliaia di testimoni, con centinaia di perizie tecniche, sempre e solamente orientata verso l'estrema destra, ha dovuto archiviare i procedimenti e prosciogliere gli imputati.Onde prevenire la solita obiezione (sono paranoico lo riconosco) che per la strage della BNA all'inizio le indagini furono orientate verso gli anarchici e gli ambienti ad essi collegati, ricordo che la richiesta di perquisizione delle pertinenze di Giangiacomo Feltrinelli, avanzata dal capo dell'ufficio politico della questura di Milano Antonino Allegra,subito dopo la strage, mentre l'editore era all'estero, fu respinta dal pubblico ministero dottor Paolillo.T.V.

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  20. Le sentenze giudiziarie non stabiliscono la verità storica: il criterio vale per Bologna come per Brescia.
    E comunque altre sentenze giudiziarie stabiliscono che l'ordinovista e spia Digilio è colpevole per la strage di Milano e il reato è stato prescritto perché essendo collaboratore di giustizia i benefici hanno ridotto i termini.

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  21. Le sentenze giudiziarie non stabiliscono la verità storica ma neanche gli "storici" che sono strabichi. Tu stesso parli di Digilio come una spia e, soprattutto, collaboratore di giustizia: non credo che ad uno storico serio la sua testimonianza possa bastare. Se l'infame operato del capitano Giraudo fosse andato in porto con il pentimento tentato di Maggi e quello ritrattato di Tramonte, almeno gli "storici" a senso unico avrebbero avuto qualche carta in più.
    L'interrogatorio di Tramonte all'ultimo processo su Brescia andrebbe ascoltato con molta attenzione.

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  22. Stefano, sono semplicemente contrario alla logica doppiopesista. Cioè se le sentenze sono favorevoli al mio ragionamento le cito e le esalto se no, no.

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