Croppi e il campo Hobbit: una via di fuga dalla lotta dura?
Riprendiamo a pubblicare i materiali sulla figura di Umberto Croppi , il compianto assessore alla cultura della prima giunta Alemanno, come leader della fascisteria romana negli anni di piombo e in particolare di quella frangia che dall'esperienza dei campi Hobbit metterà capo al progetto della "Nuova destra". Il testo è tratto da Fascisteria 2 (Sperling & Kupfer, 2008).
Qui puoi leggere la prima parte.Nel più classico dei “giochini” politici il “Signore degli anelli” è sempre stato considerato “di destra”, ma all’epoca, l’inizio degli anni di piombo, non tutti nel Msi vedevano bene la passione per la fantasy, liquidata come una fuga dalla realtà. Per i più avvertiti, invece, c’erano valori e contenuti importanti nel “camerata elfo”: le radici, la lotta del bene contro il male, il richiamo alle tradizioni europee, la contrapposizione tra spirito e materia, il senso forte della comunità. Quella scoperta consente per la prima volta a una generazione emerginata di sentirsi a tutti gli effetti parte della contemporaneità, di uscire dalla diversità in cui era relegata per l’appartenenza politica. E per qualcuno dei militanti rautiani, protagonista dell’esperienza, quella geniale operazione mitopoietica (oggi più modernamente si parla di marketing culturale) ebbe anche il merito di trattenere qualche giovane sul crinale del passaggio alle armi.
“Le nostre iniziative – spiega 25 anni dopo Croppi in un’intervista a “Ideazione” - riportando il confronto sul terreno delle idee e abbandonando quello della violenza e dello scontro fisico, di fatto sottraevano il movimento giovanile a una strumentalizzazione, portando, anzi in luce gli elementi di similitudine, le analogie generazionali. Questo percorso di coesione generazionale ci portava a continuare a cogliere le contraddizioni interne del comunismo ma non portando la contrapposizione su posizioni oltranziste. L’esperienza dei campi Hobbit finì lì”. Dopo la strage di Bologna, compiuta pochi giorni dopo il 3° Campo, il Msi taglia i margini di autonomia alle iniziative culturali e creative, così “molti di noi partirono da lì per occuparsi a tempo pieno di musica, comunicazione, giornalismo… Avevamo scoperto la metapolitica”. Ma a quel punto siamo già dentro i terribili Anni ’80. E contro quel filone, di fuoriuscita dal neofascismo nel momento di più drammatico scontro, si scaglia oggi Adinolfi, allora leader di Tp, ora animatore di un diverso progetto metapolitico, che però ha tutto le sue coordinate dentro l’immaginario e l’impianto dottrinario del fascismo storico, un ritorno al passato, cioè, piuttosto che una fuga in avanti o un cambio di campo: “La gioventù neofascista della seconda metà degli anni ’70, profondamente ignorante del passato (…) a volte si perde nell’impotenza che emerge da una presunta e illusoria potenza individuale. Già i tanto decantati Campo Hobbit (che forse piacciono soprattutto per la loro natura intrinsecamente borghese) attestano che l’impulso prevalente è quello dell’individualismo. IO posso, IO voglio. C’è un forte impulso alla diserzione (…). La critica al fascismo e al neofascismo ricalca pedissequamente gli assiomi della sinistra”. Adinolfi contrappone alla ‘rivendicazione dei diritti sociali’ che avanzano alcuni protagonisti della vicenda dei Nar, la mistica del dovere che innervava la pedagogia rivoluzionaria di Terza posizione. Del resto, è lo stesso Valerio Fioravanti a descrivere il ruolo centrale dell’immaginario televisivo nella sua generazione. Un americanista ante litteram, che si innamora da ragazzino degli States e si ritrova nella forza politica liberal per eccellenza. In questa contrapposizione, con qualche forzatura, Adinolfi ritiene di poter classificare – il che è sempre una semplificazione, più o meno brutale – gli esiti stessi della “guerriglia nera”: “Proprio i Nar saranno rivelatori: chi era animato da cultura liberal, da individualismo, da un nichilismo privo di gioia, dall’ironia ghignante e non sorridente, finirà nel pentitismo o, comunque, con l’assestare gomitate ai suoi compagni di lotta, opponendosi a soluzioni collettive, amnistie, sconti di pene, perorando al contrario cause individuali e privilegi personali. Chi invece è animato da natura solare, o comunque da principi saldi, che non si sciolgono sulla fiamma incandescente si dimostrerà esemplare e silente”. Adinolfi si riferisce a personalità come Cavallini o Belsito alle quali è rimasto legato da salda amicizia, pur avendo costoro contribuito a smantellare l’esperienza per lui centrale di Terza posizione. E alla stessa contrapposizione tra teoria dei diritti e pratica dei doveri, tra “nichilismo eroico e luciferino” Adinolfi riconduce le diverse traiettorie di Costruiamo l’azione (“che pigia sull’acceleratore dell’individualismo distruttore”) e del suo gruppo (“che catalizza su di sé le pulsioni del momento traducendole in un’affermazione politica che collega passato e futuro”.
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