Caccia alle streghe, Zambardino contro gli sceriffi della Rete
dal blog Scene digitali di Vittorio Zambardino
Contenuti “ripugnanti”: da abolire sarebbero gli sceriffi della rete
(...) Il fatto: lo segnala Ugo Maria Tassinari in FascinAzione, ed è l’ennesimo episodio nel suo genere. Un giovanotto molto di destra, militante di Forza Nuova, sulla sua pagina Facebook – chiusa in lettura a tutti se non ai propri amici, cioè leggibile solo da chi lui designa quali amici – scrive cose pesanti a proposito di un certo tema nei confronti di un esponente delle comunità ebraiche. Seguono denuncia, chiusura della pagina Facebook e fermo dell’autore. Nel merito della vicenda non scendo. Ma osservo che è un bel casino: perché un giorno abbiamo avuto gli adoratori del lanciastatuetta del duomo Tartaglia, e poi il video sugli immigrati da buttare a mare ad opera di alcune Trote del Nord. E l’altro giorno ancora la censura di colui che su YouTube segnalava discorsi razzisti in una radio (censurato colui che segnalava, non la radio che va alla grande)… e ora ovviamente il signore un po’ di destra. In altre occasioni sono stati chiusi siti perché negazionisti dell’olocausto, dopo che se n’era scritto sui giornali (cosa meritoria in sé ). Come da tradizione, procedo con qualche domanda.Prima spero che non sia necessario specificare che quanto si dice qui non rappresenta in nessun modo un’approvazione per i contenuti espressi in quelle pagine. Ma da qui nasce proprio la prima domanda, del resto posta molte volte in Scene Digitali, e rivolta alle persone che sono sempre d’accordo con la messa a tacere dell’altro: qual è il criterio che ci guida nel decidere cosa vada messo a tacere?
Lo scontro culturale - Attenti a non fare confusione, perché la domanda è importante non per le nostre coscienze, ma molto più pratica: per gli operatori di giustizia, per chi lavora nelle forze dell’ordine, per chi scrive di queste cose e le racconta “al pubblico”, per noi che ce le raccontiamo sulla rete. E’ cioè una domanda chiave che viene da quella prima linea di impatto tra la cultura esistente e le contraddizioni aperte dalla nuova.
Rispondo per primo: il dato di realtà è che c’è una terribile confusione di criteri, riferimenti e linguaggi. Mentre ci sarebbe bisogno di un orientamento che scaturisse da una discussione tra giuristi e politici, possibilmente svolta a livello internazionale, perché qui di confusione e pasticci repressivi e censori se ne combinano molti anche fuori d’Italia. Non mi aspetto niente di buono, per esempio, da quanto seguirà all’attentato in Arizona, a proposito di “istigazione alla violenza”, alla responsabilità delle parole nel determinare azioni criminali.
O la libertà o il modello cinese - Propongo di vedere questi fenomeni sotto questa lente: la risposta confusa, in reazione ad avvenimenti più o meno gravi, o più o meno seri (la distinzione di Flaiano non andrebbe mai smarrita) è una pessima rotta di navigazione. Porta al sovrapporsi di orientamenti censori che spingono sempre più le società occidentali verso un assetto cinese della rete: cioè verso quella forma di relativismo repressivo, per cui trionfa sempre la legalità locale, dei singoli paesi. Sono orientamenti che rendono sempre meno credibili le nostre indignazioni per la censura nei paesi dove c’è quella hard, quella cui poi seguono arresti, violenze, condanne. Una risposta possibile – anche questa non è uno scoop qui – sta nell’invertire completamente la rotta che ci detta il buonismo verbale che domina nei media dell’occidente democratico. Non per amore degli scempi dei negazionisti o per quella sorta di masturbazione digitale in vigore nei siti che fanno politica dell’ingiuria. Ma per amore dello stato di diritto e della democrazia.
Bisogna entrare nell’ordine di idee che qualsiasi espressione verbale è legittima, soprattutto quando questa sia espressa da una persona chiaramente identificabile e identificata (ma non è che con l’anonimato le cose cambino poi molto). Che sia legittima non vuol dire che poi l’autore non possa essere perseguito da chi è preposto a farlo, qualora, ma per favore molto sul periodo ipotetico, qualora sia da perseguire una fattispecie di reato (ma quale reato c’è nell’opinione? Nessuno, nei paesi liberi). Lo sarà, perseguibile, pur restando lì, pubblicata, dove l’hanno lasciata i suoi autori, sulla base del principio di responsabilità personale e senza cervellotiche responsabilità terze da parte di provider, piattaforme o editori. Un pasticcio che porta solo a creare una sorta di giustizia sommaria virtuale, in cui il provider decide, magari sulla base di una mail della polizia, cosa va tolto e cosa lasciato in linea.
La giustizia sommaria virtuale – Questa situazione di incertezza, dominata da impazziti sceriffi digitali, va fermata. Il criterio per uscire dal caos è lo stato di diritto. E’ la libertà. Certo, per accettare questo criterio, ci vogliono operazioni culturali su noi stessi, da compere senza anestesia. Per esempio la forza di guardare dentro i nostri sacri principi, a quanto di antidemocratico si sedimenta negli ordinamenti e nelle teste a furia di affrontare emergenze e schifezze come il negazionismo. Ma la forza della democrazia è la libertà, che è la forza di vincere la tentazione di mettere a tacere chi dice sconcezze: anche la più ripugnante delle idee ha il diritto di essere espressa. E non abbiamo scelta: se c’è il “fascismo degli antifascisti”, poi di solito finisce in fascismo.
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