Acca Larentia, il libro: Martucci intervista gli autori
La strage di Acca Larentia, 33 anni dopo
di Maurizio Martucci
Non solo il caso dell’estradizione dal Brasile dell’ergastolano Cesare Battisti. C’è una vicenda che più di altre ha segnato i destini di un’intera generazione radicata a destra: è la strage di Acca Larentia, l’eccidio di tre aderenti al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del disciolto Movimento Sociale Italiano. Sabato 7 gennaio 1978 è una data scolpita sulla pelle di chi ha vissuto la maledizione di quella sezione di frontiera. Sabato 7 gennaio 1978 è una data impressa nelle mente di quanti, col passare degli anni, ne hanno preservato il ricordo in ogni anniversario, gettandosi alla ricerca della verità, oltre gli ostacoli. Troppe domande senza risposta. Troppi omissis, tra interrogativi insoluti e il silenzio dopo l’orrore. Perché un agguato armato contro ragazzi inermi? Perché accanirsi come bestie contro il nemico ferito, spingendosi a finirlo con il colpo di grazia? Come sarebbe stata la storia degli anni ’70 senza il sangue sparso nel cortile di Via Acca Larentia?
Quanto influì questo martirio nello scacchiere della cosiddetta strategia della tensione? Ma soprattutto: chi e per quale motivo riuscì ad ordire uno scempio così brutale? In nome dell’antifascismo militante o di cos’altro? E infine, perché? La magistratura italiana non s’è mai pronunciata: non esiste una verità giudiziaria accertata e nemmeno una giustizia sentenziata. Nessuno ha pagato per quelle giovani vite strappate agli affetti più cari.
Tutto è passato sotto traccia, in sordina. Con disinvoltura, come se in realtà quegli omicidi non fossero mai avvenuti o come se, nella peggiore delle ipotesi (a quei tempi addirittura accreditata), quei neo-maggiorenni missini si fossero uccisi da soli, in un regolamento di conti interno. Oppure come se stare dalla parte del torto, in fin dei conti significasse essere figli di un Dio minore, vivere una vita senza garanzie, morire da morto senza diritti e con la damnatio memoriae. Così per tentare di saldare un debito insoluto, colmando almeno il vuoto storiografico, a 33 anni di distanza da quegli spari esce un libro che racconta la parabola di quella giornata in cui il quartiere romano del Tuscolano si trasformò in una Belfast d’Italia.
Pallottole, morti, scontri, incidenti, barricate, sirene di ambulanze e di camionette delle forze dell’ordine. E poi la rabbia, la sete di vendetta, l’odore acre dei lacrimogeni, le retate, l’apertura della caccia all’uomo in stile carne da macello, selvaggina politica in salsa extraparlamentare. Un’infernale spirale di violenza senza limiti, seguita da coni d’ombra, depistaggi e imperdonabili dimenticanze durate oltre tre decenni. Tutto questo ora è nel saggio inchiesta “Acca Larentia, quello che non è stato mai detto” (Edizioni Trecento), frutto del lavoro investigativo degli avvocati Valerio Cutonilli e Luca Valentinotti.
Il volume è un’attenta disamina di testimonianze inedite di prima mano, ipotesi ed atti processuali basati su perizie e verbali, incrociando i dati del paniere probatorio con quelli emersi, molti anni più tardi, nelle confessioni dei pentiti della lotta armata. Un lavoro certosino effettuato col bisturi tagliente della deontologia forense e della critica sensata, senza sensazionalismi di parte o anacronistici slanci vendicativi. Un libro verità che può contribuire ad abbattere un muro di gomma chiamato futuro. Si, perché sembra inverosimile, ma nel 2011 pacificazione e verità storica fanno ancora paura: perché? Questi dubbi li lanciano direttamente gli autori del volume, impegnati per quattro anni in ricerche e conversazioni serrate con i protagonisti dell’epoca. Di ogni colore e parte, dell’una e dell’altra, compreso un leader indiscusso del brigatismo rosso come Valerio Morucci.
Cutonilli e Valentinotti, due avvocati-scrittori: perché questo libro?
Per saldare un debito di verità contratto la sera del 7 gennaio 1978. Fallita la via giudiziaria, per far luce finalmente sull’eccidio di Acca Larentia rimaneva solo la ricerca storica. Infatti siamo convinti che esista un solo modo per impedire al passato di continuare a generare danni: conoscerlo e capirlo...
La strage di Acca Larentia significa Franco Bigonzetti (19 anni), Francesco Ciavatta (18 anni) e Stefano Recchioni (19 anni), tutti e tre freddati nella stessa giornata, ma in due momenti diversi. I primi caddero alle 18:30 sotto i colpi di mitraglietta e pistola esplosi nell’agguato terroristico covato da odio politico e trame eversive. La terza vittima fu ferita a morte due ore più tardi, negli scontri tra militanti di destra, Polizia e Carabinieri. All’indomani degli incidenti, sulle colonne di Repubblica uscì l’intervista a Silvana Recchioni, la mamma di Stefano: “Io sono disperata perché mi manca mio figlio, ma sono felice perché è morto per un atto d’amore e non per un atto politico. Stefano era uscito di casa per andare a trovare un amico morto: il suo gesto è stato un atto d’amore. E se non capiamo che soltanto l’amore ci potrà salvare, siamo perduti”.
Oggi come ieri, felicità e amore sono diametralmente opposti all’odio, così come la vita è inversamente proporzionale alla morte delittuosa, cagionata con atto terroristico. Sentimenti contrastanti e stati d’animo sconvolgenti che hanno tempestato il ricordo dei sopravvissuti, gettati nel tunnel dell’incubo.
Chi erano le vittime di quell’assurdo 7 gennaio di 33 anni fa?
Tre ragazzi che, nel cuore degli anni di piombo, avevano scelto di stare dalla parte più scomoda. Nel libro abbiamo cercato di raccontarli in modo semplice, senza retorica, grazie ai racconti dei loro amici. L’aspetto umano non può prescindere da quello politico.
Nelle vostre pagine si leggono passaggi da pelle d’oca. Tra questi, la disperazione ad effetto domino dei famigliari delle vittime. Il papà di Ciavatta arrivò addirittura a suicidarsi, colpa l’insopportabile dolore di quello scempio di giovanissime vite umane...
La peculiarità di questa strage sta anche nell’aver generato una terribile scia di sangue proseguita nel corso degli anni. La vicenda umana di Giuseppantonio Ciavatta lo testimonia in modo drammatico...
Il libro inserisce a pieno titolo la strage di Acca Larentia nel clima di tensione degli anni di piombo, in quell’annus horribilis datato 1978, la stagione dei lutti politici che stroncò lo slancio giovanile di neri e rossi, del Campo Hobbit e del Parco Lambro, paralleli alla crisi dell’arco costituzionale democristiano e del governo Andreotti, con la concreta ipotesi di ingresso del Partito Comunista Italiano nella squadra di maggioranza parlamentare, causa di apprensione degli analisti Cia e della Nato. Tutto questo avvenne 5 anni dopo il rogo di Primavalle in cui arsero vivi i fratelli Virgilio e Stafano Mattei (1973), figli del segretario del Msi di zona. E 3 anni dopo l’omicidio di Mario Zicchieri (1975), ma solo 68 giorni prima dal rapimento di Aldo Moro.
Insomma, oltre che in chiave storica, Acca Larentia si può capire anche in ottica geopolitica?
L’eccidio fu un’azione di “retroguardia” partorita da un ambiente politico molto più complesso di quanto comunemente si possa ritenere. Inoltre non va scisso dal particolare contesto storico in cui si consumò. Il 1978 è un anno cruciale per la storia italiana, la tragedia del 7 gennaio lo annuncia in modo esemplare. Solo che la classe politica d’allora non volle ascoltare quei pericolosissimi campanelli d’allarme...
Acca Larentia è mistero, vuol dire l’enigma di una matrice assassina sconosciuta ma riconducibile all’area romana del terrorismo rosso anni ’70 e alle strategie eversive di strutture clandestine e paramilitari. Si scopre così che la mitraglietta Skorpion puntata contro Bigonzetti e Ciavatta era gemella di quella usata dalle Brigate Rosse nel delitto di Aldo Moro. Forse quell’arma è la chiave del mistero: Acca Larentia venne assaltata dalle stesse cellule che uccisero Moro, nel 1985 l’economista Ezio Tarantelli e poi nel 1986 anche l’ex sindaco di Firenze Lando Conti? La strage del Tuscolano fu un vero e proprio viatico di iniziazione al fuoco? Una sorta di banco di prova a cielo aperto per estremistiche formazioni marxiste-leniniste che si esercitarono sul martirio missino, alzando poi il tiro su bersagli istituzionali? Oppure Acca Larentia servì da scudo depistante, come per confondere le idee agli inquirenti prima di sferrare l’assalto frontale al cuore dello Stato per mano BR? Certo però che è anche vero il contrario e cioè che per molti giovani schierati a destra, quella sera di 33 anni fa divenne il punto di non ritorno, sabbie mobili in cui sprofondarono i sogni della Contea tolkieniana alla Gandalf e Tom Bombadil, infrangendo l’azione nell’irrazionalità di auto-sopravvivenza, concorrendo in una guerra civile a mano armata senza esclusioni di colpi. Combattuta contro tutto e tutti.
La Belfast del Tuscolano spense gli entusiasmi di un’intera generazione militante, radicalizzando lo scontro tra gli opposti estremismi. Senza Acca Larentia non ci sarebbe stata nemmeno la deriva terroristica dei Nuclei Armati Rivoluzionari di Fioravanti e Mambro?
La questione è complessa e i pareri discordanti. Appare indubbio, comunque, che i fatti del 7 gennaio contribuirono in modo rilevante all’accelerazione terroristica di una parte dell’estrema destra. Per spiegare metaforicamente il concetto, nel libro usiamo l’immagine del detonatore che agisce ovunque trovi “sostanze” infiammabili. Accadde come nei procedimenti chimici...
Ma senza Acca Larentia non ci sarebbe stato nemmeno il delitto di Aldo Moro? O meglio: i due casi sono collegati? Il primo come prova generale per l’esecuzione del secondo?
La questione, a nostro avviso, va posta in termini leggermente diversi. I mesi che precedono l’agguato di Via Fani sembrano portare all’irlandizzazione di Roma. Si cercò di creare nelle strade della città un clima torbido e propizio. La Questura di Roma era allarmata dal rinfocolarsi dello scontro tra opposti estremismi e rimase spiazzata la mattina del sequestro Moro. L’eccidio di Acca Larentia potrebbe essere anche questo. Sicuramente però, come abbiamo scritto nel libro, c’è dell’altro...
In esclusiva, dentro “Acca Larentia, quello che non è stato mai detto” c’è anche l’intervista all’ufficiale dei Carabinieri Eduardo Sivori, additato da diversi testimoni come il responsabile del ferimento mortale di Recchioni. Fu lui a sparargli addosso? “So di essere indicato come il responsabile di quest’omicidio. Non è vero”, ha ripetuto Sivori a Beatrice Ricci, curatrice dei dialoghi inseriti nell’inchiesta. Ma anche qui il dubbio resta, nonostante il calibro dei proiettili in dotazione alle forze dell’ordine risultò diverso dall’ogiva conficcata nella testa della vittima.
Che opinione vi siete fatti sull’omicidio Recchioni?
La soluzione del caso Recchioni deve rendere compatibili, per forza di cose, gli esiti dell’esame balistico disposto all’epoca dal Tribunale di Roma con le dichiarazioni dei testimoni, le persone presenti al momento della tragedia. La questione è complessa, ma solo in apparenza...
Inoltre nel libro parlate di un fil rouge che lega la strage ai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale e quest’ultimi alle sigle del sottobosco eversivo della sinistra extraparlamentare, giungendo sino alla colonna romana delle Brigate Rosse. Che vuole dire?
All’epoca venivano usate di frequente sigle di comodo, tese a confondere le acque per trasmettere l’immagine suggestiva di un’area dell’eversione eccezionalmente vasta. Bisogna capire, però, se dietro quella miriade di sigle abbia agito a Roma un solo “ambiente” specializzato negli omicidi di giovani fascisti...
E allora perché, secondo voi, la Skorpion fabbricata in Cecoslovacchia è la chiave di svolta sulla matrice della strage di Acca Larentia?
Quella pistola mitragliatrice nel corso degli anni viaggiò lungo i canali dell’estrema sinistra romana. Nel 1985 le BR la usarono per uccidere il Professor Tarantelli. Studiare il suo percorso deve portare a capire chi la impugnò la sera del 7 gennaio 1978...”
Un altro dato inquietante emerge dall’incuria e dalle disattenzioni che additate alla magistratura, incapace di individuare gli esecutori della strage. Scrivete di inquirenti troppe volte ad un passo dalla verità, però mai acciuffata. Perché?
Il processo per fatti eversivi che ha monopolizzato le attenzioni degli inquirenti romani è stato quello relativo all’omicidio di Aldo Moro. Ne hanno fatto le spese, per varie ragioni, tutte le cosiddette inchieste “minori”. E quella sui NACT è purtroppo un’inchiesta minore. La partita importante è stata giocata altrove, attorno ai misteri di Via Montalcini e di Via Caetani e non certo su Via Acca Larentia...
Addirittura lasciate intendere una sorta di protezionismo para-istituzionale di cui avrebbero goduto alcuni terroristi, all’epoca imputati in processi eccellenti. Come a dire, un patto subdolo con lo Stato, un baratto: la loro collaborazione sul delitto Moro per il condono su Acca Larentia….
La collaborazione offerta da parte degli imputati nel processo Moro ha generato conseguenze piuttosto evidenti nei giudizi “minori”. Significativa, a riguardo, è l’intervista resa dall’Avvocato Giorgio inserita nel libro...
Stefano Giorgio era nel collegio difensivo della famiglia di Mario Zicchieri, appena 16 anni, bonariamente soprannominato Cremino, ucciso a colpi di fucile davanti alla sezione romana dell’MSI nel quartiere Prenestino. Era il 1975 e, come i ragazzi di Via Acca Larentia, anche il piccolo Mario si stava organizzando per un’azione di volantinaggio del Fronte della Gioventù, ma in cambio della distribuzione dei ciclostilati ricevette una raffica di pallottole piombate. Non si è mai saputo da parte di chi. E anche in questo caso, si tratta di un killer senza volto, né nome, né cognome.
“Il Processo Zicchieri fu un processo artefatto, condizionato sin dall’origine da un patto politico giudiziario stipulato dopo il sequestro Moro tra lo stato ed i brigatisti i quali godevano di protezioni ai massimi livelli. Non sarebbe altrimenti spiegabile l’atteggiamento ostruzionistico della Corte”.
Sono parole forti, dure, affermazioni laceranti quelle pronunciate da Giorgio, un procuratore legale che con la toga sulle spalle ha condotto una battaglia di legalità, impattando però contro i mulini a vento. E non guerreggiò certo nelle piazze con molotov, P38 o chiavi inglesi in pugno, ma nelle aule di tribunale armato di codice penale e articoli di legge del sistema democratico.
Il pensiero dell’avvocato Giorgio suona come un cazzotto nello stomaco: non può lasciare inermi, non può non scuotere la coscienza di quanti credono fermamente nelle garanzie costituzionali offerte ai cittadini nel nome dello Stato di Diritto dove, almeno sulla carta, “la legge è uguale per tutti”. Ma come per la vicenda di Cremino, anche per la strage di Acca Larentia ci fu qualcuno che preferì tirare dritto abbassando il capo, invece di assumersi doveri morali e responsabilità politico-istituzionali.
E’ questa la sintesi con cui gli autori chiudono queste amare pagine di storia contemporanea: “La mattina del 16 Marzo 1978, quando l’imprevedibile diventò cronaca nera (rapimento Moro, NdR), un sentimento d’incredulità prevalse persino sull’orrore. L’eco degli spari di via Acca Larentia, rimasta sorda per settimane, violò all’improvviso le aule grigie del potere. Ma la nostra classe dirigente non fece tesoro dei suoi errori. Non s’è mai adoperata per far cessare l’odio tra rossi e neri. Ha preferito annaspare tra retorica e propaganda”.
Da qui lo spunto per l’ultima domanda per Cutonilli e Valentinotti: oggi cosa può fare la nostra classe politica per rileggere Acca Larentia e chiudere definitivamente i conti con gli anni di piombo? Ma soprattutto: credete ci sia la volontà politica di farlo?
Le questioni cruciali degli anni di piombo restano sostanzialmente irrisolte. Acca Larentia lo dimostra in modo schiacciante. Ciò consente a furbi, mitomani e professionisti della faziosità di diffondere incontrastati tesi fantasiose oppure politicamente interessate.
Sarebbe il caso di spezzare finalmente questo circolo vizioso. Ricercando in modo coraggioso la verità storica sulla stagione del terrorismo. Senza timore di evidenziare la dimensione sovranazionale delle questioni connesse. Questa è la premessa indispensabile per fare i conti in modo onesto con il nostro passato. Se ci sia o meno la volontà di procedere in questa direzione... lo diranno i fatti”.
Ieri mattina il libro è stato presentato nella Sala del Carroccio in Campidoglio, sede istituzionale di Roma Capitale. Con gli autori sono intervenuti i consiglieri capitolini Pdl Alessandro Cochi e Ugo Cassone.
fonte: Rinascita
di Maurizio Martucci
Non solo il caso dell’estradizione dal Brasile dell’ergastolano Cesare Battisti. C’è una vicenda che più di altre ha segnato i destini di un’intera generazione radicata a destra: è la strage di Acca Larentia, l’eccidio di tre aderenti al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del disciolto Movimento Sociale Italiano. Sabato 7 gennaio 1978 è una data scolpita sulla pelle di chi ha vissuto la maledizione di quella sezione di frontiera. Sabato 7 gennaio 1978 è una data impressa nelle mente di quanti, col passare degli anni, ne hanno preservato il ricordo in ogni anniversario, gettandosi alla ricerca della verità, oltre gli ostacoli. Troppe domande senza risposta. Troppi omissis, tra interrogativi insoluti e il silenzio dopo l’orrore. Perché un agguato armato contro ragazzi inermi? Perché accanirsi come bestie contro il nemico ferito, spingendosi a finirlo con il colpo di grazia? Come sarebbe stata la storia degli anni ’70 senza il sangue sparso nel cortile di Via Acca Larentia?
Quanto influì questo martirio nello scacchiere della cosiddetta strategia della tensione? Ma soprattutto: chi e per quale motivo riuscì ad ordire uno scempio così brutale? In nome dell’antifascismo militante o di cos’altro? E infine, perché? La magistratura italiana non s’è mai pronunciata: non esiste una verità giudiziaria accertata e nemmeno una giustizia sentenziata. Nessuno ha pagato per quelle giovani vite strappate agli affetti più cari.
Tutto è passato sotto traccia, in sordina. Con disinvoltura, come se in realtà quegli omicidi non fossero mai avvenuti o come se, nella peggiore delle ipotesi (a quei tempi addirittura accreditata), quei neo-maggiorenni missini si fossero uccisi da soli, in un regolamento di conti interno. Oppure come se stare dalla parte del torto, in fin dei conti significasse essere figli di un Dio minore, vivere una vita senza garanzie, morire da morto senza diritti e con la damnatio memoriae. Così per tentare di saldare un debito insoluto, colmando almeno il vuoto storiografico, a 33 anni di distanza da quegli spari esce un libro che racconta la parabola di quella giornata in cui il quartiere romano del Tuscolano si trasformò in una Belfast d’Italia.
Pallottole, morti, scontri, incidenti, barricate, sirene di ambulanze e di camionette delle forze dell’ordine. E poi la rabbia, la sete di vendetta, l’odore acre dei lacrimogeni, le retate, l’apertura della caccia all’uomo in stile carne da macello, selvaggina politica in salsa extraparlamentare. Un’infernale spirale di violenza senza limiti, seguita da coni d’ombra, depistaggi e imperdonabili dimenticanze durate oltre tre decenni. Tutto questo ora è nel saggio inchiesta “Acca Larentia, quello che non è stato mai detto” (Edizioni Trecento), frutto del lavoro investigativo degli avvocati Valerio Cutonilli e Luca Valentinotti.
Il volume è un’attenta disamina di testimonianze inedite di prima mano, ipotesi ed atti processuali basati su perizie e verbali, incrociando i dati del paniere probatorio con quelli emersi, molti anni più tardi, nelle confessioni dei pentiti della lotta armata. Un lavoro certosino effettuato col bisturi tagliente della deontologia forense e della critica sensata, senza sensazionalismi di parte o anacronistici slanci vendicativi. Un libro verità che può contribuire ad abbattere un muro di gomma chiamato futuro. Si, perché sembra inverosimile, ma nel 2011 pacificazione e verità storica fanno ancora paura: perché? Questi dubbi li lanciano direttamente gli autori del volume, impegnati per quattro anni in ricerche e conversazioni serrate con i protagonisti dell’epoca. Di ogni colore e parte, dell’una e dell’altra, compreso un leader indiscusso del brigatismo rosso come Valerio Morucci.
Cutonilli e Valentinotti, due avvocati-scrittori: perché questo libro?
Per saldare un debito di verità contratto la sera del 7 gennaio 1978. Fallita la via giudiziaria, per far luce finalmente sull’eccidio di Acca Larentia rimaneva solo la ricerca storica. Infatti siamo convinti che esista un solo modo per impedire al passato di continuare a generare danni: conoscerlo e capirlo...
La strage di Acca Larentia significa Franco Bigonzetti (19 anni), Francesco Ciavatta (18 anni) e Stefano Recchioni (19 anni), tutti e tre freddati nella stessa giornata, ma in due momenti diversi. I primi caddero alle 18:30 sotto i colpi di mitraglietta e pistola esplosi nell’agguato terroristico covato da odio politico e trame eversive. La terza vittima fu ferita a morte due ore più tardi, negli scontri tra militanti di destra, Polizia e Carabinieri. All’indomani degli incidenti, sulle colonne di Repubblica uscì l’intervista a Silvana Recchioni, la mamma di Stefano: “Io sono disperata perché mi manca mio figlio, ma sono felice perché è morto per un atto d’amore e non per un atto politico. Stefano era uscito di casa per andare a trovare un amico morto: il suo gesto è stato un atto d’amore. E se non capiamo che soltanto l’amore ci potrà salvare, siamo perduti”.
Oggi come ieri, felicità e amore sono diametralmente opposti all’odio, così come la vita è inversamente proporzionale alla morte delittuosa, cagionata con atto terroristico. Sentimenti contrastanti e stati d’animo sconvolgenti che hanno tempestato il ricordo dei sopravvissuti, gettati nel tunnel dell’incubo.
Chi erano le vittime di quell’assurdo 7 gennaio di 33 anni fa?
Tre ragazzi che, nel cuore degli anni di piombo, avevano scelto di stare dalla parte più scomoda. Nel libro abbiamo cercato di raccontarli in modo semplice, senza retorica, grazie ai racconti dei loro amici. L’aspetto umano non può prescindere da quello politico.
Nelle vostre pagine si leggono passaggi da pelle d’oca. Tra questi, la disperazione ad effetto domino dei famigliari delle vittime. Il papà di Ciavatta arrivò addirittura a suicidarsi, colpa l’insopportabile dolore di quello scempio di giovanissime vite umane...
La peculiarità di questa strage sta anche nell’aver generato una terribile scia di sangue proseguita nel corso degli anni. La vicenda umana di Giuseppantonio Ciavatta lo testimonia in modo drammatico...
Il libro inserisce a pieno titolo la strage di Acca Larentia nel clima di tensione degli anni di piombo, in quell’annus horribilis datato 1978, la stagione dei lutti politici che stroncò lo slancio giovanile di neri e rossi, del Campo Hobbit e del Parco Lambro, paralleli alla crisi dell’arco costituzionale democristiano e del governo Andreotti, con la concreta ipotesi di ingresso del Partito Comunista Italiano nella squadra di maggioranza parlamentare, causa di apprensione degli analisti Cia e della Nato. Tutto questo avvenne 5 anni dopo il rogo di Primavalle in cui arsero vivi i fratelli Virgilio e Stafano Mattei (1973), figli del segretario del Msi di zona. E 3 anni dopo l’omicidio di Mario Zicchieri (1975), ma solo 68 giorni prima dal rapimento di Aldo Moro.
Insomma, oltre che in chiave storica, Acca Larentia si può capire anche in ottica geopolitica?
L’eccidio fu un’azione di “retroguardia” partorita da un ambiente politico molto più complesso di quanto comunemente si possa ritenere. Inoltre non va scisso dal particolare contesto storico in cui si consumò. Il 1978 è un anno cruciale per la storia italiana, la tragedia del 7 gennaio lo annuncia in modo esemplare. Solo che la classe politica d’allora non volle ascoltare quei pericolosissimi campanelli d’allarme...
Acca Larentia è mistero, vuol dire l’enigma di una matrice assassina sconosciuta ma riconducibile all’area romana del terrorismo rosso anni ’70 e alle strategie eversive di strutture clandestine e paramilitari. Si scopre così che la mitraglietta Skorpion puntata contro Bigonzetti e Ciavatta era gemella di quella usata dalle Brigate Rosse nel delitto di Aldo Moro. Forse quell’arma è la chiave del mistero: Acca Larentia venne assaltata dalle stesse cellule che uccisero Moro, nel 1985 l’economista Ezio Tarantelli e poi nel 1986 anche l’ex sindaco di Firenze Lando Conti? La strage del Tuscolano fu un vero e proprio viatico di iniziazione al fuoco? Una sorta di banco di prova a cielo aperto per estremistiche formazioni marxiste-leniniste che si esercitarono sul martirio missino, alzando poi il tiro su bersagli istituzionali? Oppure Acca Larentia servì da scudo depistante, come per confondere le idee agli inquirenti prima di sferrare l’assalto frontale al cuore dello Stato per mano BR? Certo però che è anche vero il contrario e cioè che per molti giovani schierati a destra, quella sera di 33 anni fa divenne il punto di non ritorno, sabbie mobili in cui sprofondarono i sogni della Contea tolkieniana alla Gandalf e Tom Bombadil, infrangendo l’azione nell’irrazionalità di auto-sopravvivenza, concorrendo in una guerra civile a mano armata senza esclusioni di colpi. Combattuta contro tutto e tutti.
La Belfast del Tuscolano spense gli entusiasmi di un’intera generazione militante, radicalizzando lo scontro tra gli opposti estremismi. Senza Acca Larentia non ci sarebbe stata nemmeno la deriva terroristica dei Nuclei Armati Rivoluzionari di Fioravanti e Mambro?
La questione è complessa e i pareri discordanti. Appare indubbio, comunque, che i fatti del 7 gennaio contribuirono in modo rilevante all’accelerazione terroristica di una parte dell’estrema destra. Per spiegare metaforicamente il concetto, nel libro usiamo l’immagine del detonatore che agisce ovunque trovi “sostanze” infiammabili. Accadde come nei procedimenti chimici...
Ma senza Acca Larentia non ci sarebbe stato nemmeno il delitto di Aldo Moro? O meglio: i due casi sono collegati? Il primo come prova generale per l’esecuzione del secondo?
La questione, a nostro avviso, va posta in termini leggermente diversi. I mesi che precedono l’agguato di Via Fani sembrano portare all’irlandizzazione di Roma. Si cercò di creare nelle strade della città un clima torbido e propizio. La Questura di Roma era allarmata dal rinfocolarsi dello scontro tra opposti estremismi e rimase spiazzata la mattina del sequestro Moro. L’eccidio di Acca Larentia potrebbe essere anche questo. Sicuramente però, come abbiamo scritto nel libro, c’è dell’altro...
In esclusiva, dentro “Acca Larentia, quello che non è stato mai detto” c’è anche l’intervista all’ufficiale dei Carabinieri Eduardo Sivori, additato da diversi testimoni come il responsabile del ferimento mortale di Recchioni. Fu lui a sparargli addosso? “So di essere indicato come il responsabile di quest’omicidio. Non è vero”, ha ripetuto Sivori a Beatrice Ricci, curatrice dei dialoghi inseriti nell’inchiesta. Ma anche qui il dubbio resta, nonostante il calibro dei proiettili in dotazione alle forze dell’ordine risultò diverso dall’ogiva conficcata nella testa della vittima.
Che opinione vi siete fatti sull’omicidio Recchioni?
La soluzione del caso Recchioni deve rendere compatibili, per forza di cose, gli esiti dell’esame balistico disposto all’epoca dal Tribunale di Roma con le dichiarazioni dei testimoni, le persone presenti al momento della tragedia. La questione è complessa, ma solo in apparenza...
Inoltre nel libro parlate di un fil rouge che lega la strage ai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale e quest’ultimi alle sigle del sottobosco eversivo della sinistra extraparlamentare, giungendo sino alla colonna romana delle Brigate Rosse. Che vuole dire?
All’epoca venivano usate di frequente sigle di comodo, tese a confondere le acque per trasmettere l’immagine suggestiva di un’area dell’eversione eccezionalmente vasta. Bisogna capire, però, se dietro quella miriade di sigle abbia agito a Roma un solo “ambiente” specializzato negli omicidi di giovani fascisti...
E allora perché, secondo voi, la Skorpion fabbricata in Cecoslovacchia è la chiave di svolta sulla matrice della strage di Acca Larentia?
Quella pistola mitragliatrice nel corso degli anni viaggiò lungo i canali dell’estrema sinistra romana. Nel 1985 le BR la usarono per uccidere il Professor Tarantelli. Studiare il suo percorso deve portare a capire chi la impugnò la sera del 7 gennaio 1978...”
Un altro dato inquietante emerge dall’incuria e dalle disattenzioni che additate alla magistratura, incapace di individuare gli esecutori della strage. Scrivete di inquirenti troppe volte ad un passo dalla verità, però mai acciuffata. Perché?
Il processo per fatti eversivi che ha monopolizzato le attenzioni degli inquirenti romani è stato quello relativo all’omicidio di Aldo Moro. Ne hanno fatto le spese, per varie ragioni, tutte le cosiddette inchieste “minori”. E quella sui NACT è purtroppo un’inchiesta minore. La partita importante è stata giocata altrove, attorno ai misteri di Via Montalcini e di Via Caetani e non certo su Via Acca Larentia...
Addirittura lasciate intendere una sorta di protezionismo para-istituzionale di cui avrebbero goduto alcuni terroristi, all’epoca imputati in processi eccellenti. Come a dire, un patto subdolo con lo Stato, un baratto: la loro collaborazione sul delitto Moro per il condono su Acca Larentia….
La collaborazione offerta da parte degli imputati nel processo Moro ha generato conseguenze piuttosto evidenti nei giudizi “minori”. Significativa, a riguardo, è l’intervista resa dall’Avvocato Giorgio inserita nel libro...
Stefano Giorgio era nel collegio difensivo della famiglia di Mario Zicchieri, appena 16 anni, bonariamente soprannominato Cremino, ucciso a colpi di fucile davanti alla sezione romana dell’MSI nel quartiere Prenestino. Era il 1975 e, come i ragazzi di Via Acca Larentia, anche il piccolo Mario si stava organizzando per un’azione di volantinaggio del Fronte della Gioventù, ma in cambio della distribuzione dei ciclostilati ricevette una raffica di pallottole piombate. Non si è mai saputo da parte di chi. E anche in questo caso, si tratta di un killer senza volto, né nome, né cognome.
“Il Processo Zicchieri fu un processo artefatto, condizionato sin dall’origine da un patto politico giudiziario stipulato dopo il sequestro Moro tra lo stato ed i brigatisti i quali godevano di protezioni ai massimi livelli. Non sarebbe altrimenti spiegabile l’atteggiamento ostruzionistico della Corte”.
Sono parole forti, dure, affermazioni laceranti quelle pronunciate da Giorgio, un procuratore legale che con la toga sulle spalle ha condotto una battaglia di legalità, impattando però contro i mulini a vento. E non guerreggiò certo nelle piazze con molotov, P38 o chiavi inglesi in pugno, ma nelle aule di tribunale armato di codice penale e articoli di legge del sistema democratico.
Il pensiero dell’avvocato Giorgio suona come un cazzotto nello stomaco: non può lasciare inermi, non può non scuotere la coscienza di quanti credono fermamente nelle garanzie costituzionali offerte ai cittadini nel nome dello Stato di Diritto dove, almeno sulla carta, “la legge è uguale per tutti”. Ma come per la vicenda di Cremino, anche per la strage di Acca Larentia ci fu qualcuno che preferì tirare dritto abbassando il capo, invece di assumersi doveri morali e responsabilità politico-istituzionali.
E’ questa la sintesi con cui gli autori chiudono queste amare pagine di storia contemporanea: “La mattina del 16 Marzo 1978, quando l’imprevedibile diventò cronaca nera (rapimento Moro, NdR), un sentimento d’incredulità prevalse persino sull’orrore. L’eco degli spari di via Acca Larentia, rimasta sorda per settimane, violò all’improvviso le aule grigie del potere. Ma la nostra classe dirigente non fece tesoro dei suoi errori. Non s’è mai adoperata per far cessare l’odio tra rossi e neri. Ha preferito annaspare tra retorica e propaganda”.
Da qui lo spunto per l’ultima domanda per Cutonilli e Valentinotti: oggi cosa può fare la nostra classe politica per rileggere Acca Larentia e chiudere definitivamente i conti con gli anni di piombo? Ma soprattutto: credete ci sia la volontà politica di farlo?
Le questioni cruciali degli anni di piombo restano sostanzialmente irrisolte. Acca Larentia lo dimostra in modo schiacciante. Ciò consente a furbi, mitomani e professionisti della faziosità di diffondere incontrastati tesi fantasiose oppure politicamente interessate.
Sarebbe il caso di spezzare finalmente questo circolo vizioso. Ricercando in modo coraggioso la verità storica sulla stagione del terrorismo. Senza timore di evidenziare la dimensione sovranazionale delle questioni connesse. Questa è la premessa indispensabile per fare i conti in modo onesto con il nostro passato. Se ci sia o meno la volontà di procedere in questa direzione... lo diranno i fatti”.
Ieri mattina il libro è stato presentato nella Sala del Carroccio in Campidoglio, sede istituzionale di Roma Capitale. Con gli autori sono intervenuti i consiglieri capitolini Pdl Alessandro Cochi e Ugo Cassone.
fonte: Rinascita
Vale la pena di ricordare che la Skorpion usata per il massacro di Acca Larentia, fu rinvenuta in casa di Giuliana Conforto, al momento dell'arresto dei brigatisti rossi Faranda e Morucci, tale arma automatica, servì in seguito anche nel sequestro e uccisione di Aldo Moro. La Giuliana era figlia della spia del KGB decorato per meriti spionistici con la "Stella Rossa"Giorgio Conforto.Costui fu usato anche per fini spionistici dall'OVRA mussoliniana. Alla fine della guerra, ci fu un patto segreto tra il capo comunista Palmiro Togliatti e il commissario per la punizione dei delitti fascisti Pietro Nenni e il capo dell'OVRA Guido Leto.L'accordo segreto stabilì che dalle celebri liste delle spie dell'OVRA vennero depennati circa trecento nominativi di spie al soldo dell'OVRA, tra questi l'agente doppio Giorgio Conforto.Naturalmente i mai troppo vituperati "storici di regime" per decenni hanno sparso veleno e depistato giornalisti,magistrati e opinione pubblica, affermando su una presunta continuità e complicità tra apparati di stato e neofascisti, guardandosi bene dal nominare gli sporchi giochi di potere intercorsi tra i socialcomunisti e gli apparati di polizia fascista.Una di queste leggende metropolitane riguarda il questore di Milano Marcello Guida ai tempi della strage di Milano di piazza Fontana, accusato dagli "storici di regime" (falsi ed omertosi sugli intrallazzi intercorsi tra i boss socialcomunisti e l'OVRA)di essere l'artefice del riconoscimento di Pietro Valpreda da parte di Cornelio Rolandi.Omertosi,falsari, depistatori, nonché creatori di una presunta collusione tra apparati statali e neofascisti, quando in realtà quest'ultimi furono sempre e solamente usati e quindi scaricati al momento che non servivano più, nell'ottica del "destabilizzare per stabilizzare".
RispondiEliminaNo, una Skorpion fu rinvenuta a casa Conforto. La Skorpion di Acca Larentia è arrivata nell'arsenale delle Br-Pcc ed è stata usata per uno degli ultimi omicidi (Tarantelli o, più probabilmente Lando Conti).
RispondiEliminaSul riconoscimento assai discutibile di Valpreda Cucchiarelli, che attribuisce agli anarchici un ruolo secondario nella strage, scrive decine di pagine.
Tv, hai dimenticato di siglarti: perché ti rendi conto che questo commento è ai limiti dello spam e un po' ti vergogni?
Il demonio si cela nei dettagli...siccome ci sono solo io con la fissa degli anarchici meneghini coinvolti nella strage della BNA, repetita iuvant ad ogni piè sospinto.Ma perché invece di soffermarti su un piccolo dettaglio non parli dell'agente doppio Giorgio Conforto?Perché non poni il quesito agli "storici di regime" circa la sparizione dei fascicoli rossi, in cui comparivano gli informatori dell'OVRA fascista, militanti socialcomunisti, nominativi che non furono iscritti nell'elenco pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, a seguito dell'accordo segreto tra il capo dell'OVRA Guido Leto e i due boss socialcomunisti Palmiro Togliatti e Pietro Nenni?Tieni presente che il mio fine è quello di sbeffeggiare uno "storico di regime", il quale ha scritto che il riconoscimento fatto da Cornelio Rolandi di Pietro Valpreda, non era autentico, in quanto il questore di Milano Marcello Guida, aveva mostrato la foto al tassinaro in precedenza. Ma quello che mi indigna è il fatto che sostiene lo "storico di regime", è quello che il questore era il custode a Ventotene di Sandro Pertini e quindi fascista e colluso coi stragisti!Ma si possono scrivere tesi demenziali simili? Temistocle Vaccarella già Ephyfanius, va bene così?
RispondiEliminaAlmeno per me non c'era bisogno di firmarti.
RispondiEliminaPer il resto invoco il magistrale lavoro di Cucchiarelli ...
Quanto a Conforto non vedo cosa dovrei obiettare.
Giuliana Conforto era figlia di una spia.
Embè? Le colpe dei padri ricadono sui figli? Mi sembra una logica evangelica.
Claudia Serpieri era figlio di Stefano, uno dei deuteragonisti del feuilleton di piazza Fontana: ma credo che nessuno possa trarne conseguenze sulla purezza della di lei militanza rivoluzionaria.