Va bene che Napoli è in rovina ma chi l'affiderebbe allo sponsor di Izzo?
Sul blog del settimanale "Gli Altri" Andrea Colombo lancia l'allarme: il partito di Vendola e di Pisapia vuole candidare Libero Mancuso a sindaco di Napoli. Parliamo cioè del pm della strage di Bologna, del grande sponsor di Angelo Izzo. Ma chi si fida a fare amministrare una città così "complessa" da uno che si è fatto così platealmente abbindolare da un palese psicopatico dalla compulsione pluriomicida?
PS: Comunque Colombo sbaglia. Falcone e Ayala hanno fatto condannare Izzo per calunnia: istruì il compagno di cella sui delitti eccellenti e i due grandi magistrati antimafia li sgamarono.
Cara Sel, candidare Libero Mancuso a Napoli è un suicidio
- Autore: Andrea Colombo
- Pubblicato: 03 dic 2010
- Commenti: 12
Sinistra Ecologia e Libertà ha candidato a sindaco di Napoli Libero Mancuso, ex magistrato ed ex assessore nella Giunta Cofferati a Bologna. Non è una buona idea. E’ anzi una pessima idea ed è bene che a dirlo con massimo rispetto, ma anche con assoluta chiarezza, sia un giornale che di Sel è molto amico. Non si tratta di giudicare la persona ma di definire le scelte politico-culturali che la messa in campo di una candidatura inevitabilmente comporta. L’onorevole Calearo, ex presidente di Federmeccanica, è probabilmente un’ottima persona, e tuttavia la decisione veltroniana di candidarlo nel 2008 come capolista Pd nel Veneto rappresentava un preciso segnale politico sul fronte delle politiche sociali piddine.
Identico discorso, sul fronte del garantismo e della politica giudiziaria, vale in questo caso. Non so a quale logica corrisponda l’indicazione di Mancuso a Napoli, ma di certo deve trattarsi di un criterio molto distante da quello che ha spinto la stessa Sel ad appoggiare Giuliano Pisapia a Milano. L’avvocato milanese e l’ex magistrato emiliano-campano incarnano concezioni opposte del diritto, del rispetto delle garanzie e delle politica giudiziaria. Conosco un solo leader capace di sostenere l’uno “ma anche” l’altro. Si chiama Walter Veltroni e non è che l’ambiguità programmatica abbia portato molta fortuna né a lui né al suo partito. Mancuso è stato il pm e il grande regista del processo per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Chiunque si sia occupato non episodicamente di quel processo, inclusi numerosissimi magistrati, sa bene che lì si è fatto strame di qualsiasi rispetto delle garanzie.Né la faccenda si è chiusa con il processo. Nel corso del tempo sono emersi una certa quantità di elementi che avrebbero quanto meno dovuto destare qualche dubbio. Mancuso si è sempre rifiutato di prenderli in considerazione. A ogni contestazione, pur se avanzata da magistrati al di sopra di ogni sospetto come Guido Salvini o Rosario Priore, oppure da un presidente della commissione Stragi come Giovanni Pellegrino, o da un giornalista certo non tenero con i terroristi come Giovanni Fasanella, ha opposto un atteggiamento di pura e violenta belligeranza.
Salvini fu deferito al Csm per invasione di campo, la sua carriera fu bloccata per anni e anni. Finché non smise di impicciarsi di Bologna. Pochi mesi fa Priore e Fasanella, in occasione dell’uscita del loro libro “Intrigo internazionale”, sono stati trattati quasi da complici degli stragisti. Nel corso di una presentazione del libro in Emilia la claque dell’ex assessore gli ha di fatto impedito di parlare. Gli esempi potrebbero continuare a lungo. Per supportare il suo impianto accusatorio, Mancuso si è basato in larga misura sulle rivelazioni del pentito Angelo Izzo, massacratore al Circeo e poi di nuovo trent’anni dopo, in libertà provvisoria. Un massacratore può anche essere un buon testimone, ma non è questo il caso. Accusò Fioravanti dell’omicidio di Piersanti Mattarella, presidente della Dc siciliana. Quando fu portato davanti a Falcone, il magistrato siciliano, che era garantista sul serio, minacciò di inquisirlo per calunnia e falsa testimonianza. Altrettanto fece Simonetta Matone quando Izzo, per poter accedere alla condizione di “pentito”, si accusò di un delitto mai commesso.
Uno così, massacratore o meno, non è un buon testimone. Mancuso decise lo stesso di concedergli piena fiducia, ed è in buona misura grazie a questo che Izzo uscì dal carcere, con le note e sanguinose conseguenze. E’ lecito il sospetto che detta fiducia nascesse non dall’esperienza ma dal fatto che il pentito supportava l’impianto accusatorio per la strage. Tanto bastava, anzi avanzava. Nella sua breve e recente carriera politica, Libero Mancuso è stato assessore della giunta Cofferati a Bologna: un faro e un punto di riferimento per i sindaci-sceriffo. Non metto in dubbio che, come lui stesso assicura, fosse in dissenso con la politica della sicurezza del sindaco. Tuttavia quella politica era già dispiegata quando gli fu offerto il posto: non risulta che lo abbia accettato con un pistola alla tempia, né che abbia sostanziato il dissenso dimettendosi. Si possono facilmente intuire quali considerazioni politiche abbiano suggerito a Sel campana di orientarsi su questa candidatura: non sono trascurabili né disdicevoli. Però un partito che ambisce a combattere e superare i vizi che hanno portato la sinistra italiana sull’orlo della dissoluzione deve poi saperli riconoscere, e vincere le tentazioni. Deve saper scegliere. Può essere il partito che appoggia Pisapia a Milano o quello che sostiene Mancuso a Napoli. Se cercherà di essere l’uno ma anche l’altro rischia forte di non essere niente.
Guido Salvini ha letto il pezzo suddetto e mi ha chiesto (lui ha delle difficoltà informatiche) di postare il seguente commento:
RispondiEliminaSono il giudice Guido Salvini di Milano. Concordo anch’io sull’inopportunità di una candidatura come quella di Libero Mancuso perché ho di lui un ricordo di poco rigore e di scarsa lealtà verso i colleghi e se la personalità è una, come credo, il politico rischia di non essere migliore del magistrato.
Ricordo, tra i tanti, un episodio di certo sconosciuto a molti, ma che fu grave per le indagini che conducevo su Piazza Fontana. All’inizio degli anni ’90 i P.M. e i Giudici Istruttori che si occupavano di stragi ed eversione di destra si erano dati un coordinamento informale e si scambiavano gli atti istruttori che facevano per aiutare il lavoro dei colleghi.
In pratica tutti avevano copia degli atti di tutte le indagini in corso.
Le diverse indagini, tuttavia, non erano destinate a concludersi nello stesso momento e vi era quindi la necessità di non svelare gli atti altrui ancora segreti. Quando, nel 1993, il G.I. di Brescia Gianpaolo Zorzi concluse l’indagine bis sulla strage di Piazza della Loggia non depositò e mi restituì gli interrogatori di Digilio che contenevano il nome di Delfo Zorzi e di altri percorsi investigativi, allora riservati, che per Brescia non erano determinanti.
L’anno successivo, invece, il P.M. Libero Mancuso si comportò esattamente in modo contrario. Inserì, senza avvisarmi e senza alcuno scrupolo per le indagini altrui, nella sua requisitoria finale per l’indagine bis sulla strage di Bologna (quella con Massimo Carminati e il colonnello Mannucci Benincasa, in pratica i depistaggi) molte parti dei verbali di Digilio che con la strage di Bologna non avevano nulla a che fare poiché parlavano di soggetti come Freda, Ventura e Zorzi.
Servivano però ad “abbellire” la sua requisitoria. Inutilmente protestai per questa scorrettezza.
Risultato: la requisitoria destinata al Giudice Istruttore Leonardo Grassi finì in tempo reale sulle pagine dei quotidiani (addirittura prima di arrivare al Giudice) e nel giro di poco tempo qualche giornalista più attento notò gli atti istruttori depositati riguardanti Digilio e scrisse, e come giornalista non saprei dargli torto, che per Piazza Fontana c’era una nuova pista e che il principale indagato era Delfo Zorzi.
Lascio, a chi legge, immaginare il danno per le indagini su Piazza Fontana che precedette di poco lo scoop suggerito dalla procura di Venezia su Martino Siciliano.
Se il magistrato non è cambiato diventando un politico, e sono cambi di casacca che comunque in genere non condivido, sarebbe davvero meglio non candidarlo.
Guido Salvini
Tribunale di Milano