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Un altro compagno sedotto da CasaPound

Un altro compagno "sedotto" da CasaPound. Dal blog pontinologia.wordpress.com

Immobilità e dinamismo. Noi e Casapound.

Posted: dicembre 21, 2010 by Graziano Lanzidei in Due cose al volo
L’incontro tra Cesare Bruni, Giorgio De Marchis, Antonio Pennacchi e Stefano Savino è stato interessante, perché s’è riusciti a parlare della città fuori dai classici schemi preconfezionati, e ha fatto anche notizia, perché Pennacchi ha fatto l’endorsment a De Marchis per le primarie, e m’ha fatto scoprire Casapound.
Guardandomi intorno ho visto i locali, dalla palestra al pub alle abitazioni alla sala riunioni del blocco studentesco alla libreria. Un centro sociale a tutti gli effetti che hanno saputo creare dal nulla. Lì dove c’era uno dei tanti stabili abbandonati di questa città, adesso c’è un centro d’aggregazione. Lì dove c’erano ferri vecchi che venivano lasciati arrugginire, adesso c’è una comunità che vive, progetta e studia una società migliore. Dal loro punto di vista, è chiaro, e che magari nemmeno è il mio. Ma chi si definisce genuinamente democratico, chi si vanta un giorno sì e l’altro pure di essere il figlio della Resistenza, non può pensare che le forze dell’ordine, con uno sgombero, possano risolvere le differenti visioni della società che abbiamo. Perché se vogliamo il repulisti per Casapound, poi non possiamo strillare come ossessi perché Alemanno voglia la stessa cosa per Forte Prenestino, Villaggio Globale e altre situazioni romane. “Se occupi e non la pensi esattamente come me, via dai coglioni”. Devono funzionare così le cose? Se pensiamo che i razzisti non abbiano diritto di cittadinanza nella nostra società – ammesso che a Casa Pound lo siano, perché a me non sembra – allora mi sa che dobbiamo iniziare a sfoltire anche dalle nostre parti, compagni.
Sarà anche perché il grado di preparazione – organizzativo, strategico e tattico – che hanno quelle persone, ce lo sogniamo. Si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato a programmare, a mettere in piedi una comunità mattone dopo mattone, persona dopo persona. Hanno dovuto evitare uno sgombero, hanno dovuto difendere un’occupazione. E lo hanno fatto facendo alleanze, alzando la voce, coinvolgendo un intero quartiere e un’intera città. Sono una realtà, con cui bisogna confrontarsi. Sono, o stanno per diventare, classe dirigente di questa nuova destra. Chi deciderà di lasciare Casapound, credo verrebbe accolto a braccia apertissime nella vecchia destra. Se riduciamo tutto al commento: “eccerto, sono fascisti, ci mancherebbe altro”, vuol dire che non vogliamo capire. Che vogliamo continuare ad essere ciechi. Questi ci stanno già facendo un culo così, sulla dialettica e sulla militanza, sulla capacità di comunicare le proprie idee. Sull’apertura mentale. Perché non soltanto a sinistra non sarebbe mai stato invitato uno di loro, ma anche perché a sinistra avremmo esitato ad invitare lo stesso Cesare Bruni o Stefano Savino.
E’ evidente che quella realtà – Casapound intendo – nessuno dalle nostre parti la voglia conoscere, e non per opposte visioni della società e della politica. Più semplicemente per paura, di capire come a destra, dopo anni di ghettizzazione, abbiano saputo tirar fuori il meglio di tante loro esperienze passate. Dall’esperienza di Fiume fino a Terza Posizione. Non hanno più confini e spaziano su tutto. Sul sociale, tanto per fare un esempio: il mutuo sociale, il microcredito. Ma noi dove cazzo stavamo? A fare il tifo perché Berlusconi morisse, cadesse, facesse un’altra delle sue cazzate, confidasse qualche segreto di Stato per sbaglio, tra un bunga bunga e l’altro. O a fare il tifo per Vendola, per Bersani, per Matteo Renzi. Oppure a ripeterci le stesse cose da sempre, i soliti slogan e le solite canzoni. Magari a dividerci, come se fossimo ancora tanti.

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