Scontri di Roma, Martucci: le differenze tra stadio e piazza. Parlano i professori
DAMA NO, DASPO SI
Doppiopesismo?Il parere degli esperti: i costituzionalisti Valerio Onida e Michele Ainis sul divieto da stadio in vigore dal 1989, oggi avanzato per le piazze bollenti.
di Maurizio Martucci
Per rendere il senso, potremmo finire prima di iniziare. Con Bruno Tinti, ex magistrato, corsivo su Il Fatto Quotidiano: “Io non lo sapevo che il divieto di accedere allo stadio si chiamava DASPO e per la verità non ero nemmeno troppo interessato alla cosa (…) perché la tutela dell’ordine pubblico negli stadi è problema che non ha colore politico”. E allora, meno male che c’è la politica. Sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano: “DASPO in piazza? E’ una ipotesi di lavoro che dev’essere vagliata da parte di tutti gli uffici tecnici competenti e per la quale serve uno studio tecnico adeguato”. Ministro dell’Interno, Roberto Maroni: “Mi sembra una proposta interessante perché il DASPO sta funzionando molto bene dentro gli stadi. Riteniamo che questo modello sia esportabile”. Infine Maurizio Gasparri, Presidente del gruppo parlamentare al Senato del Popolo delle Libertà, che s’è pure spinto oltre, sino all’arresto preventivo: “Serve una vasta e decisa azione preventiva. Per non far vivere all’Italia nuove stagioni di terrore occorre agire con immediatezza. Si sa chi c’è dietro la violenza scoppiata a Roma.” E così, nel concitato dibattito parlamentare di queste ore, l’opinione pubblica nazionale inizia a familiarizzare con un acronimo sconosciuto, fino a ieri confinato nel mondo del calcio, sin da quando nel 1989 (prima dei mondiali Italia ‘90) venne introdotto come misura d’emergenza per diffidare tifosi indesiderati, aggiornato e limato nel tempo sino all’era Tessera del Tifoso.
DASPO sta per Divieto di Accedere alle Manifestazioni Sportive, inibizione da 1 a 5 anni da curve e tribune su disposizione del Questore, senza un processo e nemmeno l’ombra di un giudice penale (e pure di difesa e contraddittorio, solo ricorso al TAR). Almeno fino al 2002, quando la sentenza 512 della Corte Costituzionale ne dispose la legittimità lasciando al Giudice Indagini Preliminari la convalida in 48 ore (non per tutti) per gli obbligati alla firma in questura nei giorni di gara. Un pò come potrebbe essere il DAMA, Divieto di Accedere alle Manifestazioni, proposto da esponenti di Governo e maggioranza: in concomitanza di cortei, presìdi o sit-in, studenti (anche solo potenzialmente pericolosi per l’ordine pubblico) impossibilitati a scendere in piazza ma obbligati a firmare in commissariato. “Una cosa è comprimere il diritto di tifare Lazio, un’altra limitare il diritto di manifestare contro una riforma universitaria - aveva detto a Repubblica il costituzionalista Michele Ainis - in questo secondo caso, infatti, c’è una tutela costituzionale rafforzata, perché esistono diritti funzionali ad altri”, perché “la democrazia non si limita al voto e se prima delle elezioni non potessi manifestare la mia opinione, verrebbe aggredito un bene costituzionale di valore ben superiore al tifo calcistico”. Ma lo stadio è uno spazio extra-territoriale? Gli articoli 13, 17 e 21 della Costituzione (libertà personale, di riunione e di espressione del proprio pensiero) valgono solo per gli studenti impegnati e non per i tifosi disimpegnati? Sono dei cittadini di Serie Z i seguaci di Serie A-TIM, Serie B-Win e Lega Pro? Dove finisce il garantismo e dove inizia il giustizialismo, la prevenzione del reato anche col solo sospetto di compierlo o reiterarlo? Nelle curve non bisogna assaltare blindati delle forze dell’ordine: negli stadi si beccano il DASPO anche i tifosi che accendono un fumogeno, non siedono sul loro seggiolino o espongono striscioni non autorizzati, senza aggredire fisicamente nessuno. Dietro al DASPO c’è un groviglio sterminato di divieti, modifiche e integrazioni, frutto di 21 anni di azioni legislative prodotte da 7 diverse legislature in cui si sono alternati i governi Andreotti, Amato, Ciampi, Prodi, D’Alema e Berlusconi. Per lo più, si tratta di leggi nate sull’onda dell’emotività e dell’indignazione popolare, vissute come strumenti d’emergenza per rispondere ai casi di cronaca nera che hanno costellato la storia del calcio italiano, segnato dal sacrificio di troppi Cuori Tifosi, vittime di un sistema culturale retrogrado e di inefficienze risultate fatali. E poi l’emergenza che da impellente s’è fatta permanente, stabile, con le misure restate comunque immutate, nonostante l’abbassamento del livello di tensione: c’è DASPO per il lancio di oggetti pericolosi, per scavalcamento e invasione di campo durante le manifestazioni sportive, per possesso di artifizi pirotecnici, per violenza o minaccia nei confronti degli addetti ai controlli, per turbativa di eventi agonistici e per esposizione di cartelli o striscioni offensivi.
DASPO sta per Divieto di Accedere alle Manifestazioni Sportive, inibizione da 1 a 5 anni da curve e tribune su disposizione del Questore, senza un processo e nemmeno l’ombra di un giudice penale (e pure di difesa e contraddittorio, solo ricorso al TAR). Almeno fino al 2002, quando la sentenza 512 della Corte Costituzionale ne dispose la legittimità lasciando al Giudice Indagini Preliminari la convalida in 48 ore (non per tutti) per gli obbligati alla firma in questura nei giorni di gara. Un pò come potrebbe essere il DAMA, Divieto di Accedere alle Manifestazioni, proposto da esponenti di Governo e maggioranza: in concomitanza di cortei, presìdi o sit-in, studenti (anche solo potenzialmente pericolosi per l’ordine pubblico) impossibilitati a scendere in piazza ma obbligati a firmare in commissariato. “Una cosa è comprimere il diritto di tifare Lazio, un’altra limitare il diritto di manifestare contro una riforma universitaria - aveva detto a Repubblica il costituzionalista Michele Ainis - in questo secondo caso, infatti, c’è una tutela costituzionale rafforzata, perché esistono diritti funzionali ad altri”, perché “la democrazia non si limita al voto e se prima delle elezioni non potessi manifestare la mia opinione, verrebbe aggredito un bene costituzionale di valore ben superiore al tifo calcistico”. Ma lo stadio è uno spazio extra-territoriale? Gli articoli 13, 17 e 21 della Costituzione (libertà personale, di riunione e di espressione del proprio pensiero) valgono solo per gli studenti impegnati e non per i tifosi disimpegnati? Sono dei cittadini di Serie Z i seguaci di Serie A-TIM, Serie B-Win e Lega Pro? Dove finisce il garantismo e dove inizia il giustizialismo, la prevenzione del reato anche col solo sospetto di compierlo o reiterarlo? Nelle curve non bisogna assaltare blindati delle forze dell’ordine: negli stadi si beccano il DASPO anche i tifosi che accendono un fumogeno, non siedono sul loro seggiolino o espongono striscioni non autorizzati, senza aggredire fisicamente nessuno. Dietro al DASPO c’è un groviglio sterminato di divieti, modifiche e integrazioni, frutto di 21 anni di azioni legislative prodotte da 7 diverse legislature in cui si sono alternati i governi Andreotti, Amato, Ciampi, Prodi, D’Alema e Berlusconi. Per lo più, si tratta di leggi nate sull’onda dell’emotività e dell’indignazione popolare, vissute come strumenti d’emergenza per rispondere ai casi di cronaca nera che hanno costellato la storia del calcio italiano, segnato dal sacrificio di troppi Cuori Tifosi, vittime di un sistema culturale retrogrado e di inefficienze risultate fatali. E poi l’emergenza che da impellente s’è fatta permanente, stabile, con le misure restate comunque immutate, nonostante l’abbassamento del livello di tensione: c’è DASPO per il lancio di oggetti pericolosi, per scavalcamento e invasione di campo durante le manifestazioni sportive, per possesso di artifizi pirotecnici, per violenza o minaccia nei confronti degli addetti ai controlli, per turbativa di eventi agonistici e per esposizione di cartelli o striscioni offensivi.
Ma dopo l’ultimo pacchetto sicurezza approvato il 5 Novembre dal Consiglio dei Ministri, per contrastare la violenza negli stadi è stato varato anche l’arresto della flagranza in differita, un istituto che non venne adottato nemmeno negli anni di piombo o contro i terroristi. “Viene introdotto l’arresto in flagranza differita, entro 48 ore da termine della manifestazione, per procedere all’arresto sulla scorta di riprese video”, ha ripetuto Maroni. “E vengono ampliati i poteri e i compiti degli steward e rafforzata la tutela penale degli stessi”. Per capirne di più sul labile confine che separa DASPO e DAMA, tra i dispositivi adottati da Maroni e quelli caldeggiati da Mantovano e Gasparri, mettiamo a confronto le opinioni di due emeriti costituzionalisti: il Prof. Valerio Onida, Presidente dell’Associazione Italiana Costituzionalisti, giudice costituzionale e membro della consulta che 8 anni fa dichiarò infondata la questione di legittimità costituzionale sul DASPO con obbligo di firma, e il Prof. Michele Ainis, ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico nell’Università di Roma Tre, per le edizioni Chiarelettere autore del saggio La Cura, contro il potere degli inetti, per una Repubblica degli eguali.
Intervistato dal TG3, il Prof. Stefano Rodotà ha detto che “l’arresto preventivo è improponibile nel nostro ordinamento costituzionale” ed ha criticato l’ipotesi DAMA. Ma 8 anni fa il DASPO passò il vaglio della consulta. Qual’è la differenza tra DASPO e DAMA?
Onida: “Dobbiamo separare i piani. Un conto è quando parliamo di manifestazioni sportive, un conto è la piazza, perché la costituzione non parla del diritto di difendere la libertà di tifare, mentre garantisce la libertà di manifestare e, rispetto alla prima, si tratta di una libertà molto più ampia, molto più protetta. E poi, rispetto alla piazza, quale sarebbe il parametro per decidere a quale manifestazione si può partecipare e quale no? Invece gli eventi sportivi sono ben identificati in se, mentre per il diritto a manifestare, si tratta di un argomento con un ambito più esteso”.
Ainis: “Cambia da un punto di vista di qualità del diritto. Perché nel caso delle manifestazioni in piazza parliamo della libertà di riunirsi, mentre per gli stadi si tratta di un diritto alla ricreazione, visto che lo sport non ha copertura costituzionale. Una cosa però è chiara: non si può limitare il diritto costituzionale per ragioni di sicurezza.”
Appunto, perché i tifosi sono cittadini. E se un tifoso va allo stadio con uno striscione anti-Berlusconi? Infondo è il patron del Milan. E poi ad Avellino un tifoso ha avuto il DASPO per lo striscione “Giustizia per Gabriele Sandri”. Quella scritta simboleggiava un diritto civile garantito dall’art. 21 della Costituzione…
Onida: “Questo è un aspetto molto delicato. Cosa può dar luogo ad un DASPO? Sicuramente una violenza, una condotta illegale. Ma non si può pensare che sia una violenza esporre uno striscione politico in uno stadio, questo no, mai. Un conto è se si tratta di uno striscione razzista, offensivo, ma non vedo come possa essere destinatario di un DASPO un tifoso che espone uno striscione dove è riprodotto un suo libero pensiero, garantito dalla Costituzione.”
Ainis: “Si tratta di un caso di abuso, non c’è dubbio. Perché il DASPO va applicato ai responsabili di gesti violenti. Esporre uno striscione che non offende nessuno ma richiama solo alla rivendicazione di un diritto non è certamente un gesto violento, anzi…”
Riproposto idealmente nel DAMA, alla luce del DASPO si può dire che gli stadi sono laboratori sperimentali permanenti per lo studio di tecniche di controllo sociale di massa?
Onida: “In parte è vero, perché gli stadi e gli ultrà sono da sempre al centro di studi sui fenomeni sociali di massa”.
Ainis: “E’ un’espressione che evoca dittature passate come quella cilena. In uno stato di diritto non c’è spazio per il controllo sociale di massa. Certo, proteggere l’incolumità in un luogo dove convergono migliaia di persone è molto difficile, ma i diritti vanno sempre garantiti…”
Rispetto agli studenti, i tifosi lamentano un diverso trattamento dalla magistratura: dopo l’omicidio Sandri, i fermi dell’11 Novembre 2007 divennero arresti in attesa di giudizio, processati per devastazione e per alcuni venne addirittura avanzata l’ipotesi aggravante di terrorismo. I fermati negli scontri di Roma dello scorso 14 Dicembre sono invece tornati liberi l’indomani, sospettati di violenze e danneggiamento. Eppure gli effetti delle due sommosse non sono sembrati poi tanto diversi. Basta guardare le immagini…
Onida: “I motivi vanno sempre valutati nella concretezza delle situazioni. Per i fermati della scorsa settimana, i giudici hanno detto che c’è bisogno di capire se queste persone si sono concretamente rese protagoniste degli atti contestati: per subire una misura di custodia cautelare preventiva devono sussistere gravi indizi di colpevolezza, il pericolo di fuga e la reiterazione del reato. I fatti vanno sempre accertati in concreto e i giudici valutano di volta in volta i singoli casi. Non ha senso fare paragoni…”
Ainis: “Perché per i ragazzi fermati negli scontri della manifestazione si è ritenuto che non esistessero gravi responsabilità a loro carico”.
L’ultima domanda: Rodotà ha detto che “gli studenti di oggi non sono un movimento violento e che il Governo è stato assente alla richiesta di consultazione per considerare modifiche ragionevoli” al Ddl Gelmini. Perché non si può affermare lo stesso principio per quei tifosi che pacificamente chiedono ascolto sulle falle del programma Tessera Tifoso? E’ una fidelity card commerciale resa necessaria su scala nazionale senza un supporto legislativo…
Onida: “Queste sono valutazioni di tipo politico, al limite anche di tipo sociologico. Il terreno però è ancora una volta un po’ vago: bisognerebbe capire le ragioni della ribellione, se e come possono essere più o meno profonde e la loro intensità. Sono discorsi che riguardano la politica e l’atteggiamento di sfiducia dei giovani verso la politica”.
Ainis: “Personalmente non conosco le rivendicazioni dei tifosi ma è sempre bene dialogare con i destinatari dei provvedimenti. E poi c’è uno strumento importante, si chiama AIR, ovvero la valutazione e l’Analisi di Impatto sulla Regolazione che prevede la consultazione di categorie sociali interessate ai provvedimenti.”
Dialogo, confronto, dibattito, perché alcuni studenti sono pure dei tifosi e tutti i tifosi sono sempre dei cittadini. Nessuno escluso. Ma non si poteva ragionare in questi termini anche per la Tessera del Tifoso? Un po’ come oggi viene detto per gli studenti che chiedono ascolto sulla riforma Gelmini. Almeno per non fare figli e figliastri. All’italiana…
Maurizio Martucci
fonte: Ultrasblog
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