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Scontri di Roma, contro il ritorno del mito dei katanga

LA MALAPIANTA DEI KATANGA
dopo il 14 dicembre

I NOSTALGICI DEL SERVIZIO D’ORDINE PROPONGONO LA LORO RICETTA

Non appena una protesta esce dai binari del loro ordine costituito, subito padroni, politicanti e pennivendoli perdono la testa, e si abbandonano alle più demenziali supposizioni, invocando i più luridi provvedimenti sbirreschi. I padroni e i loro servi non riescono a concepire che esseri umani, soprattutto quelli di bassa condizione sociale, possano, invece, pensare e agire con la propria testa.

La giornata del 14 dicembre ha dato la stura a strilli e strepiti, mescolando protervia e demenza. I sinistri hanno dato il fischio di inizio, denunciando infiltrati e provocatori. Sciocca ipotesi, che presto è naufragata. Ecco allora i destri, proporre arresti preventivi, in occasione dei cortei. Misura che evoca il ventennio fascista, e, con un velo di ipocrisia, è stata lasciata cadere (per ora). Alla fine, i moderati hanno tirato le fila, invitando, con gesuitica malizia, i «ragazzi» del movimento a isolare i violenti.

Come? Si è fatto subito avanti un esperto in materia, quel Mario Martucci, che nel post- Sessantotto, contribuì a organizzare i «katanga», il servizio d’ordine del Movimento studentesco milanese.
Un’organizzazione che, sotto una veste vetero stalinista, agiva sostanzialmente al servizio dell’establishment «progressista» milanese. I suoi componenti erano tutti figli di papà, visceralmente ostili a ogni lampo sovversivo, soprattutto in tuta operaia.
A questo picchiatore in servizio permanente effettivo, il «Corriere della Sera» ha dedicato
un’intervista (PAOLO FOSCHINI, L’inventore dei «katanga» ai ragazzi «Imitateci, fate il servizio d’ordine», 22 dicembre 2010, p. 3). Martucci dichiara «Un servizio d’ordine organizzato come il nostro è esattamente quel che manca agli studenti di oggi. Per tenere fuori dalle balle quei quattro imbecilli violenti. [...] Anche allora, come dovrebbe essere oggi, l’urgenza era quella di difendere il Movimento da quelli come loro. Come? In primo luogo dialogando con la polizia: io ricordo interi pomeriggi trascorsi a parlare con gli uomini della Questura, per studiare come isolare i violenti».

E il 12 dicembre 1970, primo anniversario della strage di piazza Fontana, Martucci e gli allora capi del Movimento studentesco milanese (Mario Capanna, Luca Cafiero, Turi Toscano) dialogando con la Questura, fecero un accordo infame: organizzarono un cordone «sanitario» intorno al loro feudo, l’Università Statale, per impedire l’accesso a chi manifestava contro la strage dei padroni, per la scarcerazione di Valpreda e degli altri anarchici detenuti.

Quando la polizia caricò il corteo, nei pressi dell’Università, anarchici e altri sovversivi si trovarono la via di fuga sbarrata: da una parte, i manganelli della polizia, dall’altra, le spranghe dei katanga.
Chiusi in una morsa, i manifestanti furono facile bersaglio dei candelotti sparati dagli sbirri. E un candelotto colpì e uccise il giovane internazionalista Saverio Saltarelli [cfr. Che cosa è stato il 12 dicembre, terrorismo fascista, ipocrisia democratica, «Rivoluzione Comunista», 12 dicembre 2010).

Dopo questo esordio da ausiliari dell’ordine pubblico, nei primi anni Settanta, i katanga si prodigarono a colpire ogni voce di dissenso, sprangando, in primis, gli internazionalisti, poi i militanti di Lotta Comunista e di Potere Operaio, quelli di Lotta Continua e gli autonomi, e anche quei pesci in barile di Avanguardia Operaia. E molti operai, che nelle fabbriche e nei cortei, levavano note fuori dal coro.
I katanga non ci sono più, da oltre trent’anni; i suoi effettivi si sono tutti sistemati, come Martucci conferma («noi abbiamo trovato lavoro in fretta, e anche con un certo successo», vorrei ben dire, erano ricchi di famiglia ... e negli anni Ottanta si son goduti la Milano da bere, alla corte di Craxi).

Ma la mala pianta dei servizi d’ordine è proseguita a lungo. Solo ultimamente, si stava estinguendo, sull’onda dei nuovi movimenti di lotta, che pongono l’autorganizzazione in primo piano. Ma non abbastanza. Il 14 dicembre, sono entrati in scena i nostalgici del servizio d’ordine. Sempre pronti a fiancheggiare gli sbirri, a suon di caschi sulle altrui teste. E sotto un casco è finita la testa del quindicenne Cristiano Ciarrocchi, ora all’ospedale, con un brutto ematoma, che preme sul cervello. Il casco che l’ha colpito era di un affiliato a un circolo di amici della polizia che, in quella, e in altre occasioni, si era distinto nello sporco mestiere di tutore dell’ordine dei padroni. Chi fa lo sbirro o da sbirro si comporta, ama a tal punto questa società fetente, che, per difenderla, non esita a seminar morte e galera. Come sempre, unico antidoto dei proletari, è l’autonomia politica e l’autorganizzazione pratica.

Dino Erba
Milano, 25 dicembre 2010

fonte: sollevazione.blogspot.com

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