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Il sogno rivoluzionario di Paolo Signorelli

Oggi va in edicola "Gli altri", il settimanale di Piero Sansonetti e Andrea Colombo. Mi hanno chiesto un "ritratto" di Paolo Signorelli. Eccolo.
C'erano pochi giovani ai funerali di Paolo Signorelli, il "grande vecchio" della destra radicale italiana. Probabilmente perché da parecchi anni aveva rinunciato alla militanza di gruppo per promuovere un laboratorio orientato alla costruzione di un progetto per quello che chiamava il Movimento di liberazione nazionale, in una logica di oltrepassamento della dicotomia destra/sinistra, un tema che caratterizza il suo impegno politico da oltre trent'anni, dai tempi di "Costruiamo l'azione", il gruppo più complesso della storia dei movimenti nazionalrivoluzionari italiani. Perché lì dentro c'era veramente di tutto:

1) la sordida figura di Aldo Semerari, il luminare della psichiatria criminale, pronto a mettersi al soldo di tutti i padroni e i poteri occulti, dalla massoneria ai servizi segreti, dalla criminalità di strada alla camorra. Tanto da rimanerci ucciso
2) la contorta personalità di Fabio De Felice, transitato dall'esperienza della prima conventicola evoliana (I Figli del Sole) a una giovanile esperienza parlamentare missina ("grazie" alle ferite riportate nelle battaglie di strada per "Trieste italiana") e poi al fianco di Pacciardi e delle manovre presidenzialiste (dirigeva con il fratello Alfredo, legato a Licio Gelli, la rivista ufficiosa del "partitodel golpe" Politica e Strategia)
3) l'ambiguo Massimiliano Fachini, sodale di Freda e poi animatore di una propria rete militante ma al tempo stesso frequentatore del capitano Labruna, quadro operativo del Sid e protagonista di tutti gli inguacchi della "strategia della tensione" (dagli espatri dei collaboratori dei servizi ai depistaggi)
4) i giovani leoni Sergio Calore e Paolo Aleandri, all'epoca convinti sostenitori del fronte unico rivoluzionario ma, negli anni successivi, dopo l'arresto, passati armi e bagagli al fronte avverso, collaboratori di giustizia e ricostruttori (a modo loro) di trent'anni di storia dell'eversione nera
5) i solari ribelli del Mrp Lele Macchi e Marcello Iannilli, capaci di compiere micidiali attentati contro i simboli del potere senza provocare danni alle persone ma anche di sostenere la battaglia per la chiusura dei manicomi, con un'incursione a Santa Maria della Pietà con tanto di apertura dei cancelli e di messa (provvisoria) in libertà dei "matti".
E il perno di questa realtà così articolata e complessa era proprio Paolo Signorelli, impegnato a inseguire il suo sogno rivoluzionario e quindi interessato a tenere insieme sistemi di relazione forte e ribellismo giovanile, reti clandestine strutturate e spontaneismo armato.
Aveva cominciato presto a sporcarsi le mani: a undici anni partecipando all' Intifada de' noantri, il lancio di sassi degli scugnizzi romani contro le camionette degli occupanti americani, distratti dal trastullo con le "segnorine". Si era ben presto distinto per coraggio e sprezzo del pericolo, manifestati alla fine degli anni '50 nelle attività di supporto ai latitanti dell'Oas, spingendosi fino a sostenere un conflitto a fuoco con la polizia. Quindici anni dopo farà parte dello sparuto manipolo di missini assediato nella sezione di Prati, in occasione degli scontri per il processo di Primavalle, che si concluderanno con la morte di Miki Mantakas, esponente greco del Fuan.
Signorelli era popolarissimo nella base militante romana, per il carattere gioviale e goliardico: tra le sue imprese memorabili la scommessa vinta sulla "mano morta" sulle natiche di Papa Pio XII, che era tra l'altro considerato un "cammmerata". Ma all’epoca, ovviamente, le misure di sicurezza intorno a Sua Santità erano irrisorie
Signorelli è tra quelli che rientrano con Rauti nel Msi ma a sentire Vinciguerra e i magistrati che hanno istruito l'ultimo giro di processi per le stragi (tutti finiti miseramente con assoluzioni generalizzate) era uno dei componenti della "cupola ordinovista" (con Maggi, Rognoni e Zorzi) promotrice della strategia stragista. Certo è che è tra i primi a rendersi disponibili quando scatta la “persecuzione democratica” che porta allo scioglimento della frazione intransigente di Ordine Nuovo, quella che si era costituita in Movimento politico, sotto la guida di Clemente Graziani, rifiutando “l’ombrello protettivo” del Msi, scelto da Rauti alla vigilia della strage di piazza Fontana. Così al tempo stesso è tra gli animatori della scissione di Lotta popolare e responsabile della rete clandestina in Italia di Ordine nuovo, esautorato quando il “comandante militare” Concutelli rientra dalla Spagna per organizzare la lotta armata. Così sarà anche nel 1979: alla precipitazione militarista dei giovani irriducibili di Costruiamo l’azione opporrà la scelta delle Comunità organiche di popolo, un progetto di “lunga marcia” e di costruzione lenta delle soggettività rivoluzionaria, che gli procurerà, da parte di Fioravanti, la beffarda qualifica di “fascista bucolico”.
Questa via di fuga non gli impedirà di finire nel tritacarne giudiziario, a partire da un presunto scoop del quotidiano Lotta Continua che lo qualifica come “il capo dei Nar”. Risultato: tre condanne all’ergastolo per omicidi in cui c’entrava poco (Occorsio) o niente (Leandri, Amato) sulla base di accuse di improbabili collaboratori di giustizia; un’infinita carcerazione preventiva (quasi dieci anni) che gli ha spezzato le ossa ma non l’ha piegato, facendolo diventare il simbolo dei guasti dell’emergenzialismo giudiziario negli anni di piombo. Allo sciopero della fame a catena organizzato a suo sostegno dai radicali parteciperanno militanti di destra e di sinistra. Data da allora il suo impegno per una “giustizia giusta”, che molte volte vede invece la sinistra distratta o improvvidamente attirata dalle sirene giustizialiste.
PS: Erano pochissimi i politici presenti al funerale. Per una strana coincidenza tutti e tre fillini, ma si tratta di pura casualità: perché una (Perina) era sua allieva al liceo De Sanctis, gli altri due erano uno (Granata) pupillo del “professore” nella sua militanza giovanile estremista, l’altro (Barbaro) amico del figlio Luca.  

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