Dicembre, mese maledetto-3: l'arresto di Sergio Calore
Dicembre 1979, un mese maledetto, dicevamo. Vediamo, dopo la cattura di Dimitri, come raccontavo l'arresto di Sergio Calore in "Guerrieri".
La sera del 17 dicembre 1979 tocca a Calore e Bruno Mariani, il leader dell’ala movimentista di Ordine nuovo e il (modesto) capo dell’apparato illegale. Lo studente operaio Antonio Leandri, ventiquattr’anni, deve ritirare un regalo in un negozio di viale Regina Margherita.
Parcheggia davanti all’isolato di piazza Dalmazia, dove c‘è lo studio dell’avvocato Arcangeli condannato a morte perché ritenuto responsabile della soffiata contro Concutelli per l’omicidio Occorsio. Il giovane scende dall’auto, in due attraversano di corsa la strada e gli si fanno incontro: lui è soprappensiero e neanche se ne accorge. I sicari restano perplessi: Leandri, che è stempiato come Arcangeli, va in direzione opposta al portone. Valerio, per un ultimo controllo, lo chiama: «Avvocato!», la vittima designata, d’istinto, si gira. Bruno Mariani spara per primo. Tre colpi su sei a segno (al braccio, all’addome), ma il bersaglio neanche cade. Fioravanti interviene con un solo colpo mortale della sua Browning 9. Scappano con una Fiat 131 rubata, guidata dal sedicenne D’Inzillo. Raggiungono Calore che li aspetta sull’auto pulita, la sua Simca, a via dei Colli: lui non ha partecipato perché Arcangeli lo conosce bene. La mattina è stato in Tribunale per una causa di diffamazione contro un giornalista e ha controllato il vestito (un loden verde) per descriverlo agli altri che non l’avevano mai visto. Incrociandolo nei corridoi del Palazzo di Giustizia, lo saluta beffardamente: «A presto». Valerio se ne va con l’auto sporca: gli era stata data da un pischello di Tp e non vuole che sia collegata al delitto. L’imprudenza lo salva. L’autista della Simca è nervoso e guida a velocità sostenuta, in una zona presidiatissima: a poche centinaia di metri, tre giorni prima, è stato decapitato il vertice operativo di Tp e subito si spargerà la voce infondata che ad Arcangeli bisognasse far pagare quest’ultima soffiata. Un’auto civetta intercetta la Simca , intima l’alt, poi apre il fuoco. L’auto sbanda e finisce la corsa contro un’utilitaria. I quattro, a bordo hanno tre pistole, un mitra, due bombe a mano e due giubbotti antiproiettile ma si arrendono ai due agenti dell’antidroga. L’unico che prova a resistere è l’autista sedicenne ma Mariani lo blocca. Provano a spiegare: Abbiamo sparato a un individuo che ha fatto bere un nostro camerata.
D’Inzillo, studente del liceo “Vico”, figlio di un noto ginecologo, appena portato in Questura scoppia a piangere e racconta come era andata. Che poi vent’anni dopo quel ragazzino ingenuo sia accusato di essere diventato uno degli ultimi killer della banda della Magliana è un’altra storia, di personale disperazione e del ruolo del carcere come dispositivo di riproduzione allargata della criminalità.
Una settimana prima lui e Mariani (19 anni, militanza studentesca in Avanguardia nazionale, braccio destro di Marcello Jannilli, responsabile militare del Mrp e stretto sodale di Lele Macchi) avevano aspettato l’avvocato per più di un’ora a piazza Dalmazia, per un pestaggio. Poi, con il reclutamento di Fioravanti, matura la decisione di alzare il tiro. A lui, che si offre di guidare l’auto, assicurano che si tratta di una gambizzazione. I giornalisti si scatenano sul baby-killer ma lo scavo del passato non offre spunti da scoop: scuole elementari dalle suore, medie dai preti, un padre che tenta di dissuaderlo dalla passione neofascista: Un ragazzo entusiasta, ancora fragile affascinato dalle parole dei più grandi, di solito tranquillo, ma capace di scatti nervosi da far paura...un ragazzo affettuoso che la sera andava a letto alle nove e usciva soltanto il sabato, qualche ora in una discoteca di piazza Flaminio con gli amici di sempre, quasi tutti assieme, sin dall’infanzia. Lunedì 17 dicembre era rimasto in casa quasi tutto il pomeriggio. A guardarsi i cartoni animati alla tivù dei bambini»
Quindici anni dopo, nel quadro di un più generale tentativo di riscrittura della sua vicenda politica, enfatizzando un filo rosso inesistente, Sergio Calore tenterà di accreditare con i ricercatori dell’Istituto Cattaneo che lo intervistano per una ricerca sul vissuto dei militanti rivoluzionari degli anno ’70, una versione fantasiosa del movente dell’attentato. Ad Arcangeli avrebbero inteso far pagare non la “vendita” di Concutelli ma la soffiata – compiuta insieme a Delle Chiaie – che avrebbe mandato al cimitero la nappista Annamaria Mantini, uccisa appena rientrava in un covo. Il grado di approssimazione della fandonia è evidenziato dal fatto che Calore parla di un’informazione passata ai carabinieri. Ad agire però furono le forze di polizia. Tant’è che nel febbraio 1976 un commando dei Nap tentò di uccidere un agente dell’antiterrorismo, accusato di aver giustiziato “a freddo” la donna.
I durissimi colpi inferti dalle forze dell’ordine non disarmano l’ambiente. Il 20 dicembre entra in azione un commando superstite del Fuan, guidato dal braccio destro di Pedretti, Luigi Aronica. Un colpo facile (una rapina in casa a un avvocato) ma fruttuoso (un bottino ingente in gioielli) per rimpinguare le casse.
Nel vuoto di leadership e nel generale sbandamento trova spazio il progetto anarco-nichilista di Valerio. Tra l’altro nell’affanno per il colpo subito, Fiore e Adinolfi, consapevoli della propria goffaggine operativa, commettono l’imperdonabile leggerezza di affidare la responsabilità del nucleo operativo a Valerio Fioravanti, designando come suo luogotenente il vice di Nistri, Giorgio Vale, nome d’arte “the drake”.
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