Quel mai abbastanza maledetto giorno di tre anni fa -6: Verità e giustizia per Gabbo dj
Tre anni fa moriva, ammazzato da un poliziotto scellerato, Gabriele Sandri. L’assassino se l’è cavata con sei anni di condanna, meno di quelli presi da uno dei suoi amici, che, furioso e indignato, partecipò alla guerriglia violentissima scatenata quella stessa sera a Roma e culminati con un assalto alla caserma di polizia, livello di scontro che neanche il movimento del ’77 aveva attinto. La morte di “Gabbo dj” arrivò mentre stavo chiudendo la correzione delle seconde bozze e quindi chiesi e ottenni dall’editor di aggiungere questo post scriptum al volume …
POST SCRIPTUM Message in a battle (I send an Sos)
Alla fine ci siamo. Il libro è finito e ancora una volta mi è toccato confrontarmi col paradosso di Achille e la tartaruga. Era già successo con Fascisteria 1 (lo ripeto, questo è un nuovo libro, non è una seconda edizione): in correzione di seconde bozze, il 22 dicembre 2000, Andrea Insabato si fa scoppiare un petardone sulla porta del “Manifesto”. Io che l’avevo descritto come la persona più mite e generosa dell’ambiente (pura verità) ho avuto un attimo di panico ma ho deciso di non farmi condizionare dall’(apparente) evidenza. E così ho raccontato il suo dramma in appendice, senza riaprire l’impaginato. E senza mettere in discussione la sua natura: troppo buona (e alla fine ho avuto ragione, anche le sue vittime ne hanno riconosciuto, come dire, l’innocenza dell’anima).
Stavolta la prova è stata più dura. Fontana di Trevi, il rom romeno, i nazisti dell’Illinois e i vigilanti democratici: a libro già chiuso, non è mancata una notizia da sviluppare ogni settimana, perché si intrecciava con temi fondamentali del saggio.
Non poteva che farmi piacere scippare tempo all’editore, per me vale come la sigaretta del condannato. Ci ho messo dodici anni per scriverlo, questo libro, e meno di dodici mesi per riscriverlo, rivoltandolo come un calzino, e con tante parti assolutamente nuove e l’intero impianto documentario aggiornato (a voler essere pignoli: non c’è un capoverso in tutto il libro, credo di poter dire, in cui non è stata cambiata una frase…). E me lo sarei coccolato ancora.
Eppure bisogna chiudere. E mi resta sul groppone, ma anche come groppo alla gola, la storia di “Gabbo”, che non sono riuscito a raccontare. Perché è una morte insensata, frutto di un “imperdonabile errore” (non lo dico io, ma il capo dello sciagurato che ha tolto una vita senza sapere né come né perché), certo, ma anche produttrice di una catena di insensatezze. Come si fa a pensare per ore, al Viminale, non nell’affanno di una piazzola di autostrada bagnata di sangue, che si può occultare la dinamica dell’omicidio? Come ci si può illudere che una coperta troppo corta possa bastare, nell’era di internet e degli sms? Così, mentre le fonti ufficiali vagheggiavano, tutti gli ultras d’Italia rilanciavano il grido di dolore: ogni morte pesa una montagna, fermiamo il campionato.
Mica ci vuole un perito balistico o un testimone diretto per capire che se un proiettile colpisce alla nuca un uomo in automobile a una distanza di sessanta-settanta metri, il braccio che ha premuto il grilletto era perfettamente parallelo al terreno (prima lezione di trigonometria al liceo…). E così alla fine, come al solito, stanno pagando gli ultras che, sì certo, hanno ecceduto nei gesti della rabbia ma accusarli di terrorismo (sia pure sotto la formula attorcigliata di una lesione della personalità dello stato), pure mi sembra eccessivo. E’ un paese sciagurato il nostro, se si avverte la mancanza di un eroe come il Pannella dei bei tempi andati, capace di prendere la parola nell’agorà e spiegare chiaro e tondo che se le misure amministrative di polizia non vanno bene per i delinquenti abituali, come è ormai stabilito da decenni, è ora di smetterla di usarle solo con gli ultras.
Per restare alla mia maniacale pulsione al catalogo, bisogna pur dire che la rivolta per Gabbo djnon è “monocolore”. Sì, certo, il capetto liberato a Milano per un codice non aggiornato è un “fascio”, ma uno degli arrestati romani con l’accusa più grave ha l’avvocato dell’ex-brigatista Paolo Persichetti: vorrà pur dire qualcosa? E le due curve che hanno imposto lo stop (a Bergamo e a Taranto) hanno un passato “rosso” e un’identità politicamente poco definita oggi.
In conclusione, che dire?Grazie al mio editore, per la pazienza e la disponibilità; grazie al lettore, per avermi seguito fino alla fine. E infine, giustizia e verità per “Gabbo dj”.
PS: Stanotte mi scrive sdegnato sulla bacheca di facebook un amico, ultrà laziale: sono un lettore appassionato del blog ma stavolta hai scritto cazzate. Nella foga non si era accorto che mi ero limitato a ripubblicare le cronache di repubblica.it del giorno maledetto. Perché tre anni dopo alla fine siamo fermi là. L'incidente, la disgrazia. E quindi sostanziale impunità per l'assassino, punizione eccessiva per chi, travolto dalla rabbia, si è dato alla violenza. Tant'è che il "padrone" delle Autostrade oggi si può permettere il lusso di parlare di "incidente" e poi fare marcia indietro di fronte alle 25mila firme. E quindi, anch'io, tre anni dopo, devo ripetermi: "Vogliamo verità e giustizia per Gabbo dj".
POST SCRIPTUM Message in a battle (I send an Sos)
Alla fine ci siamo. Il libro è finito e ancora una volta mi è toccato confrontarmi col paradosso di Achille e la tartaruga. Era già successo con Fascisteria 1 (lo ripeto, questo è un nuovo libro, non è una seconda edizione): in correzione di seconde bozze, il 22 dicembre 2000, Andrea Insabato si fa scoppiare un petardone sulla porta del “Manifesto”. Io che l’avevo descritto come la persona più mite e generosa dell’ambiente (pura verità) ho avuto un attimo di panico ma ho deciso di non farmi condizionare dall’(apparente) evidenza. E così ho raccontato il suo dramma in appendice, senza riaprire l’impaginato. E senza mettere in discussione la sua natura: troppo buona (e alla fine ho avuto ragione, anche le sue vittime ne hanno riconosciuto, come dire, l’innocenza dell’anima).
Stavolta la prova è stata più dura. Fontana di Trevi, il rom romeno, i nazisti dell’Illinois e i vigilanti democratici: a libro già chiuso, non è mancata una notizia da sviluppare ogni settimana, perché si intrecciava con temi fondamentali del saggio.
Non poteva che farmi piacere scippare tempo all’editore, per me vale come la sigaretta del condannato. Ci ho messo dodici anni per scriverlo, questo libro, e meno di dodici mesi per riscriverlo, rivoltandolo come un calzino, e con tante parti assolutamente nuove e l’intero impianto documentario aggiornato (a voler essere pignoli: non c’è un capoverso in tutto il libro, credo di poter dire, in cui non è stata cambiata una frase…). E me lo sarei coccolato ancora.
Eppure bisogna chiudere. E mi resta sul groppone, ma anche come groppo alla gola, la storia di “Gabbo”, che non sono riuscito a raccontare. Perché è una morte insensata, frutto di un “imperdonabile errore” (non lo dico io, ma il capo dello sciagurato che ha tolto una vita senza sapere né come né perché), certo, ma anche produttrice di una catena di insensatezze. Come si fa a pensare per ore, al Viminale, non nell’affanno di una piazzola di autostrada bagnata di sangue, che si può occultare la dinamica dell’omicidio? Come ci si può illudere che una coperta troppo corta possa bastare, nell’era di internet e degli sms? Così, mentre le fonti ufficiali vagheggiavano, tutti gli ultras d’Italia rilanciavano il grido di dolore: ogni morte pesa una montagna, fermiamo il campionato.
Mica ci vuole un perito balistico o un testimone diretto per capire che se un proiettile colpisce alla nuca un uomo in automobile a una distanza di sessanta-settanta metri, il braccio che ha premuto il grilletto era perfettamente parallelo al terreno (prima lezione di trigonometria al liceo…). E così alla fine, come al solito, stanno pagando gli ultras che, sì certo, hanno ecceduto nei gesti della rabbia ma accusarli di terrorismo (sia pure sotto la formula attorcigliata di una lesione della personalità dello stato), pure mi sembra eccessivo. E’ un paese sciagurato il nostro, se si avverte la mancanza di un eroe come il Pannella dei bei tempi andati, capace di prendere la parola nell’agorà e spiegare chiaro e tondo che se le misure amministrative di polizia non vanno bene per i delinquenti abituali, come è ormai stabilito da decenni, è ora di smetterla di usarle solo con gli ultras.
Per restare alla mia maniacale pulsione al catalogo, bisogna pur dire che la rivolta per Gabbo djnon è “monocolore”. Sì, certo, il capetto liberato a Milano per un codice non aggiornato è un “fascio”, ma uno degli arrestati romani con l’accusa più grave ha l’avvocato dell’ex-brigatista Paolo Persichetti: vorrà pur dire qualcosa? E le due curve che hanno imposto lo stop (a Bergamo e a Taranto) hanno un passato “rosso” e un’identità politicamente poco definita oggi.
In conclusione, che dire?Grazie al mio editore, per la pazienza e la disponibilità; grazie al lettore, per avermi seguito fino alla fine. E infine, giustizia e verità per “Gabbo dj”.
PS: Stanotte mi scrive sdegnato sulla bacheca di facebook un amico, ultrà laziale: sono un lettore appassionato del blog ma stavolta hai scritto cazzate. Nella foga non si era accorto che mi ero limitato a ripubblicare le cronache di repubblica.it del giorno maledetto. Perché tre anni dopo alla fine siamo fermi là. L'incidente, la disgrazia. E quindi sostanziale impunità per l'assassino, punizione eccessiva per chi, travolto dalla rabbia, si è dato alla violenza. Tant'è che il "padrone" delle Autostrade oggi si può permettere il lusso di parlare di "incidente" e poi fare marcia indietro di fronte alle 25mila firme. E quindi, anch'io, tre anni dopo, devo ripetermi: "Vogliamo verità e giustizia per Gabbo dj".
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